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Recensione

Hue

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Avatar di Aeffe87

a cura di Aeffe87

Pubblicato il 30/08/2016 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6.5

Chi vi scrive è sempre piuttosto contento quando gli viene proposto di trattare un titolo che porta il marchio di Curve Digital. Per chi non fosse particolarmente avvezzo al fantastico mondo delle produzioni indipendenti, stiamo parlando di un publisher – nonché studio di sviluppo – che ha all’attivo un roster videoludico di assoluto rilievo. Thomas Was Alone, Dear Esther, The Swapper e le serie OlliOlli e Stealth Inc. sono solamente i principali rappresentanti della qualità foraggiata dall’editore londinese. Piccole grandi perle del gaming che non crediamo abbiano bisogno di presentazioni – in caso contrario, il nostro database vi attende a braccia aperte. Hue, l’ultimo arrivato di questa famiglia ben più numerosa di quanto accennato, approderà sugli store digitali di Microsoft, Sony e Valve il prossimo 30 agosto, foriero di un’estetica minimalista dalle tinte artistiche decise e di una ricetta puzzle-platform molto semplice, che fa dell’impiego creativo della nota ruota dei colori la sua meccanica predominante. Il voto in cima alla pagina l’avete visto, ed è chiaro che stavolta qualcosa non abbia funzionato come ci si aspetterebbe. Il perché, per lo meno, ve lo spieghiamo passo passo.

Tutta colpa di GoetheDopo aver udito in sogno una voce femminile, il piccolo Hue si sveglia solo nel suo letto, in un mondo asettico e totalmente in scala di grigi. La voce apparteneva a sua madre, la quale aveva appena pregato il figlio di partire alla ricerca di uno strumento di vitale importanza. Un anello magico in grado di ridonare al mondo i colori di cui è stato privato, che purtroppo è stato distrutto in otto frammenti – poi sparpagliati nei luoghi più disparati – dal losco Dr. Grey. Come ulteriore incentivo, la donna afferma che l’assenza di colori ha in qualche modo provocato anche la sua sparizione, per cui il figlio non può permettersi di perdere altro tempo, o i danni per lei e per tutti diventeranno presto irreparabili. La storia di Hue si dipana per mezzo di messaggi che l’utente si trova a intercettare cammin facendo, subito recitate in – ottimo – voice over dalla mamma con lo scopo di mettere il fanciullo al corrente di quanto accaduto prima del misfatto. Il giocatore non tarderà così a scoprire le backstory della donna e di Grey, ma ci sarà anche spazio per qualche considerazione “filosofica” su temi come l’importanza dei colori nella percezione di un individuo e, specialmente, il concetto di realtà e a cosa esso sia legato, se a valori assoluti e immutabili o allo sguardo esclusivo di chi sta osservando un dato oggetto in un dato momento. Siamo insomma di fronte a un regime narrativo debole, privo d’interazioni dirette tra i personaggi – Hue vedrà spesso in lontananza uno strano sciamano, del quale però non saprà nulla fino al termine del racconto – ma che risulta comunque efficace nel donare un pizzico di contesto a un viaggio sostanzialmente in solitaria, dove a fare la voce grossa è soprattutto, innegabilmente il gameplay.

I see your true colors shining throughAbbiamo inizialmente incasellato Hue a metà tra i due generi – storicamente affini – del puzzle e del platform game. La verità, però, è che qui il primo oscura nettamente il secondo, per cui la proverbiale spremitura di meningi prevale sempre sul saltello tra piattaforme fine a se stesso. Si tratta quindi di risolvere una serie di macro-rompicapi ambientali, che altro non sono se non camere chiuse ricolme di elementi con cui interagire per consentire al nostro avatar di raggiungere un punto d’uscita e varcarlo per passare al quadro successivo. Il focus è proprio l’interazione con la scenografia, che si mostra in tutta la sua originalità non appena il piccolo Hue entra in possesso del primo degli otto frammenti del cerchio portentoso che abbiamo menzionato nel paragrafo precedente. Mentre la levetta sinistra del pad serve a spostare il bambino sull’asse orizzontale, quella destra è adibita alla selezione dei colori di volta in volta sbloccati, ognuno dei quali può essere iniettato sullo sfondo all’occorrenza, rallentando nel contempo l’azione di gioco fino al rilascio del comando. La questione diventa interessante giacché, col naturale prosieguo dell’avventura, alcuni oggetti di scena – casse, fasci laser, piane mobili e quant’altro – risulteranno anch’essi tinti di uno dei colori della ruota cromatica, e diverrà dunque importante ragionare sul modo con cui gestirli in relazione al fondale. Ad esempio, può capitare che un baule azzurro ci sbarri la strada verso l’unica chiave che apre la porta verso lo scenario seguente, per cui sarà indispensabile tingere il background anch’esso d’azzurro affinché l’impedimento divenga un tutt’uno con la parete, lasciandoci transitare senza problemi e, nel caso servisse, decidere di farlo riapparire cambiando di nuovo colorazione ad ostacolo oltrepassato. Questa meccanica, l’unica che alimenta la produzione dall’inizio alla fine, è di certo particolare e avrebbe meritato qualche variazione sul tema in più rispetto a quanto, controller alla mano, sia possibile sperimentare nelle circa cinque ore utili a completare la prima run –  va detto che la presenza di collectible ben nascosti potrebbe giustificarne una seconda. Per una buona metà di gioco il puzzle design di Hue è infatti un’altalena di stanze ora dalla risoluzione abbastanza intuibile, perlopiù assoggettata al meccanismo di scomparsa e ricomparsa degli oggetti poc’anzi descritto, ora di corridoi di transito svuotati di qualsivoglia interesse ludico. La situazione cambia leggermente nella seconda metà dell’esperienza, quando il protagonista, ormai possessore dell’anello completo di tutte e otto le gradazioni, deve affrontare qualche enigma un po’ più articolato. La vera sfida, comunque, si riduce all’ultimissima manciata di quadri, il che, nell’ottica di una valutazione generale, non riesce a salvare l’insieme da una piattezza di fondo decisamente avvertibile. Qualche perplessità deriva poi dal sistema di gestione della ruota cromatica, che è sì immediatamente comprensibile, ma mostra il fianco quando deve combinarsi con la vena platformer del titolo che talvolta emerge e trasforma il confronto col software in una sorta di prova di riflessi. Benché, come detto, la dinamica rallenti il tempo fino alla scelta effettiva della tinta desiderata, spostarsi lateralmente in balzo e gestire contemporaneamente lo switch dei colori è operazione davvero poco pratica, capace d’indurre chi gioca all’imprecazione con estrema frequenza. Se dal punto di vista prettamente ludico il lavoro di Curve Digital scricchiola, ci viene difficile dire lo stesso per quanto concerne il suo lato artistico. L’universo bidimensionale di Hue, foggiato in una silhouette nera semplicissima ma aggraziata, convive infatti perfettamente con una colonna sonora dolce e melanconica, alle cui note al pianoforte è veramente difficile rimanere indifferenti.

– Un racconto semplice infarcito di tematiche interessanti

– Artisticamente delizioso

– Splendido tappeto musicale al pianoforte

– La meccanica di alterazione ambientale per mezzo dei colori è originale…

– …ma sfruttata in situazioni ludiche poco differenziate

– Controlli scomodi quando il platforming si accentua

– Livello di sfida mediamente basso

6.5

Nonostante il concept “cromatico” alla base di Hue sia di sicuro curioso e sulla carta molto personale, l’ultima fatica Curve Digital fatica a trasmettere al videogiocatore una propria dimensione ludica forte, accontentandosi di proporre una formula rompicapo senza guizzi e con qualche criticità a livello di gameplay. Non siamo comunque di fronte a un disastro del puzzle solving, e crediamo fermamente che gli amanti del genere, aiutati da una narrazione in filigrana garbata ma trascinante e da un impianto artistico preciso e ispirato, sapranno trovare del buono in un’opera il cui difetto più tangibile, in fin dei conti, è soltanto quello di non riuscire a rappresentare la propria visione di gioco con un ardire sufficiente ad essere ricordata oltre il game over.

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