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Recensione

Hot Tin Roof: The Cat That Wore a Fedora

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 09/06/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6

Ricevo tutti i giorni parecchie mail di lavoro. Alcune di queste sono di carattere puramente promozionale, altre ancora, invece, sono decisamente più interessanti. Ogni tanto arrivano anche mail indesiderate che col lavoro non c’entrano nulla, quelle che già dall’oggetto o dal mittente lasciano intendere una fregatura bella grossa o dei brutti guai che sarebbe meglio evitare. Essendo solitamente un malfidato, quando ho visto il nome di Megan Fox mi si è accesa immediatamente una spia rossa in testa, eppure il titolo faceva intendere chiaramente che all’interno c’era il codice Steam di un “metroidvania noir” dove dei gattini indossano un pittoresco borsalino. Naturalmente non ho potuto fare a meno di aprire all’istante quella mail, e oltre a scoprire che Megan Fox è l’autrice del gioco e la donna a capo di Glass Bottom Games, mi sono anche reso conto che Hot Tin Roof: The Cat that Wore a Fedora era in effetti un titolo troppo lungo per entrare nell’oggetto assieme alle informazioni che ho condiviso con voi poc’anzi. Visto che sto concludendo l’introduzione, e che sarebbe meglio evitare di usare la prima persona per tutta la durata della recensione, lasciatemi dire un’ultima cosa: non ho mai visto in vita mia un gatto così petulante.

Provetti investigatoriIl gatto che indossa il particolare cappello, tuttavia, non è esattamente il protagonista dell’avventura; è in realtà la fida spalla del detective che cercherà di venire a capo di un intricato caso, al fine di trovare il killer che terrorizza una fittizia città che pare essere uscita direttamente dagli anni ‘30. Per essere più precisi, si tratta di una coppia di investigatori tutta al femminile: sebbene il suo vero nome sia Francine, la gatta si fa chiamare Frank, mentre quell’abbozzata figura a cubi in 2 bit è sorprendentemente una donna. È dunque chiaro come l’autrice voglia giocare sul sesso di appartenenza delle due, dando a Francine un nome maschile e a Emma Jones un aspetto tutt’altro che aggraziato e femminile. Il comune denominatore tra le due, però, è l’incredibile e sovrabbondante loquela, capace di raggiungere spesso punte di pedanteria assolutamente non necessarie, che diventano faticose da digerire anche da chi non si fa intimidire da dialoghi in cui i botta e risposta sembrano non finire mai quando dovrebbero. A scanso di equivoci va detto immediatamente che la qualità dei testi (tutti in inglese) è molto buona, ed è anche evidente come la cura riposta in certi sketch e situazioni – a cui non manca quella teatralità da commedia che fa sempre un po’ sorridere – sia frutto di grande passione. I giocatori, che apprezzeranno senz’altro la scrittura e i toni poco seriosi della vicenda, avranno però dei sentimenti contrastanti, finendo per essere intrigati e disinteressati al contempo. Se è vero che da una parte si viene a creare quell’alone di mistero necessario per portare avanti la vicenda nel migliore dei modi, è vero anche che alcuni scambi di battute non brillano particolarmente e appaiono più come riempitivi aggiunti in fretta e furia. Inoltre, sebbene sia evidente l’amicizia di lunga data tra le due, non c’è mai nessun riferimento a come questa sia iniziata, e non mancano momenti in cui il giocatore si sente escluso dalla conversazione. Un po’ come quando due persone parlano di eventi a cui il terzo incomodo non ha mai preso parte.Alcune conversazioni sono ramificate, ma non è possibile cambiare argomento quando si parla con qualcuno, pertanto si dovrà arrivare alla fine, ricominciare tutto da capo e scegliere l’altra opzione. Si tratta insomma di un sistema di dialoghi infelice, che avrebbe dovuto essere sviluppato con maggiore accortezza e un pizzico in più di intelligenza. Soprattutto perché una buona parte di Hot Tin Roof è basato proprio su questo aspetto.

Potremmo essere sulle tracce giusteSi parlava all’inizio di un titolo che si autodefinisce una sorta di “metroidvania noir”, e questo è vero soprattutto perché la struttura è assolutamente allineata al sottogenere e perché per la maggior parte del tempo si vaga da una zona all’altra alla ricerca di indizi che talvolta sembrano proprio non voler uscire fuori. In tutta onestà, è proprio il continuo e infruttuoso peregrinare – spesso congenito a questa tipologia di giochi – che può diventare rapidamente un atto di grande frustrazione, in particolar modo quando si sentirà il bisogno vitale di qualche indicazione utile e non ci sarà nemmeno uno straccio di mappa a venire in soccorso. Considerate poi che gli ambienti non scorrono sempre lateralmente, ma presentano angoli in cui si può svoltare, che provocano una rotazione parziale degli scenari in grado mandare nel pallone chi ha poco senso dell’orientamento. Immaginate dunque di dover memorizzare una delle grandi mappe dei giochi bidimensionali di una volta, ma aggiungendo per esempio una svolta a sinistra, altri corridoi, un’altra svolta a destra e così via; immaginate poi quanto lo sforzo mnemonico diventi ancora più arduo quando l’ambientazione si sviluppa ulteriormente, e pensate infine al forzato backtracking che vi costringerà a trovare indizi, parlare coi personaggi e sperare in una buona (o fortunata) intuizione, perché in Hot Tin Roof, in sostanza, dovrete fare esattamente questo mentre cercate di non farvi prendere troppo dal tedio. I semplici enigmi si risolvono quasi tutti col revolver non letale di Emma, o usando un paio di altri attrezzi del mestiere che acquisirete durante l’avventura, ma non c’è nulla di davvero troppo impegnativo a precludervi una strada che tutto sommato è abbastanza scorrevole e priva di insidie.Hot Tin Roof: The Cat that Wore A Fedora non è un brutto gioco, ma ci sono troppi elementi sviluppati in modo piuttosto sommario e frettoloso. Potreste in definitiva passare qualche ora in modo rilassato e spensierato, a patto che non vi siano indigesti i lunghi dialoghi e che abbiate una memoria fotografica fuori dal comune.

– Buona qualità dei testi

– Struttura da metroidvania con realizzazione tridimensionale degli ambienti

– Orientarsi non è affatto semplice

– Backtracking corposo e presenza di dialoghi riempitivi

– Potreste annoiarvi ben prima di arrivare alla fine

6.0

Hot Tin Roof è capace di spegnere l’entusiasmo dell’utente con grande facilità per via di alcune scelte di game design non proprio intelligenti, che mettono involontariamente i bastoni tra le ruote anche a chi ha una grande pazienza e adora i metroidvania. Pare quasi che alcuni elementi di gioco siano slegati tra di loro, come se agli sviluppatori sia mancata – in ultima battuta – la capacità di amalgamarli in maniera armonica e coerente col mondo di gioco.

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