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Recensione

Hellblade: Senua's Sacrifice, recensione della nuova opera di Ninja Theory

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 08/08/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7.5

Informazioni sul prodotto

Immagine di Hellblade: Senua's Sacrifice
Hellblade: Senua's Sacrifice
  • Sviluppatore: Ninja Theory
  • Produttore: Ninja Theory
  • Distributore: Ninja Theory
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , SWITCH
  • Generi: Azione
  • Data di uscita: 8 agosto 2017 - 11 aprile 2018 (Xbox One) - 11 aprile 2019 (Switch)

Steam su instantgaming

€4 €29.99

Xbox One su amazon

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PS4 su amazon

N/D

Il rischio che Ninja Theory si è preso con Hellblade non è stato solo aver gestito il progetto come uno studio indipendente, affrontando tutte le difficoltà che un simile percorso prevede; è stato piuttosto aver deciso di trattare un tema delicato come la psicosi e scegliere il videogioco per rappresentare al meglio una malattia così difficile da raccontare. Per farlo con grande accuratezza, Ninja Theory ha consultato medici e pazienti, rimasti colpiti dal lavoro della software house. Lo siamo stati anche noi, perché Hellblade: Senua’s Sacrifice riesce in maniera brillante a comunicare il dramma che si vive in una simile condizione mentale, dove lucidi deliri, allucinazioni e il completo distacco dalla realtà diventano le sbarre di una prigione da cui è difficile evadere.
The Darkness Within
Hellblade inizia presentandoci la guerriera celtica Senua a bordo di una canoa, mentre solca un fiume limaccioso e s’inoltra nei territori misteriosi del grande Nord, dove mitologia norrena e il mondo allucinatorio della protagonista si mescolano in un amalgama credibile, cupo e surreale. Alla ricerca dell’anima del suo amato e di se stessa, Senua è in lotta perpetua con l’oscurità che l’ha divorata più volte, col male invisibile e strisciante con cui deve convivere e col passato che la tormenta. 
All’Io narrante a cui viene lasciato il compito di raccontare la storia, si aggiungono le voci che Senua ha nella mente (splendida l’intuizione di mettere i sottotitoli nella parte superiore dello schermo, quando queste si presentano a più riprese), che con la loro incoerenza e le manifestazioni di nessi associativi alterati perfezionano una caratterizzazione del personaggio già assicurata dallo spessore interpretativo di Melina Juergens.
La scrittura è intensa, intima, solida e in grado di raccontare con disinvoltura una malattia complessa e sfaccettata. Trova nella potenza del medium e nella sua capacità di far immedesimare l’utente il suo alleato migliore, perché a memoria non ricordiamo nella storia dei videogiochi una rappresentazione della psicosi così profonda e soddisfacente. Oltretutto, il contesto e la conduzione di gioco fanno in modo che la banalità non si presenti mai in Hellblade, e anzi contribuiscono a rendere ancora più particolare e unica l’opera. 
Tuttavia Hellblade è un gioco dalle due anime: se dal punto di vista narrativo il titolo funziona, sa come comunicare e sviluppare l’idea su cui si basa e fa di tutto per adattarla al sistema di gioco, i compromessi che gli sviluppatori hanno raggiunto sul fronte del gameplay non convincono pienamente. Ninja Theory si è molto concentrata sulla sua ottima intuizione e ha modellato il gioco attorno ad essa, sacrificando sull’altare alcuni elementi di fondamentale importanza pur di perseguire fino in fondo la propria visione.
I see your true colors
Ci riferiamo in particolar modo alle fasi di puzzle che costituiscono una buona percentuale dell’avventura, senza le quali è impossibile proseguire. Si consideri che gran parte delle porte che suddividono idealmente in segmenti la struttura degli ambienti, sono segnate da una fino a tre rune, le quali devono essere memorizzate tramite l’apposito tasto del focus al fine di ritrovare le stesse forme all’interno dell’ambiente circostante. Se ad esempio ci troviamo di fronte a una porta su cui è intarsiata una runa che somiglia vagamente a una ipsilon, bisognerà andare alla ricerca di due alberi che, alla giusta angolazione e altezza, consentono di vedere i loro rami intersecati che danno corpo al medesimo simbolo di sbarramento. 
Se è pur vero che la presenza di alcuni segnali inequivocabili fanno capire che ci troviamo nell’area giusta, è vero anche che si tratta di una meccanica che vi obbliga a peregrinare più del previsto, fin quando non dedurrete quali sono gli elementi dello scenario che ricordano l’estetica delle rune. Sono solitamente dei giochi di sovrapposizione, di prospettive, di ombre e luci, ma talvolta è tutto poco intuitivo e finalizzato ad allungare un tempo di gioco che normalmente non supererebbe le 5-6 ore. 
Fate lo sforzo di immaginare la progressione a compartimenti stagni intervallati da un paio di scontri e avrete un’idea piuttosto chiara della struttura di Hellblade, che è molto lineare per assecondare la natura story driven dell’opera e non presenta mai intersezioni o bivi decisionali.
Fight the Darkness
Il combat system di Hellblade è piuttosto semplice e immediato, non prevede un sistema di combo complesso e si basa principalmente sull’abilità di saper scegliere i tempi di attacco e parata, con l’opzione della schivata che solo in alcuni casi particolari vi tornerà davvero utile. Si è optato per un approccio realistico, quindi per affrontare le circa quattro tipologie di nemici presenti (boss esclusi) bisogna alternare l’attacco potente, quello leggero e un un colpo melée che sbilancia gli avversari o spezza la guardia. In tal senso, anche la parata perfetta metterà per qualche attimo fuori gioco le creature dandovi modo di gestire con più attenzione gli affondi che provengono da più direzioni o tentare un attacco in corsa. È inoltre possibile usare il focus anche nel combattimento, che funge da bullet time e consente di infliggere molti più colpi rispetto al normale. 
Non esiste un sistema di progressione, non ci sono abilità da sviluppare e dall’inizio alla fine dovrete arrangiarvi alternando le due-tre tipologie di attacchi messi a disposizione. 
La difficoltà non è affatto sostenuta e anche selezionando quella difficile non sarà complicato riuscire a farla franca tutte le volte: non cambiano i pattern di attacco e ad aumentare sono solo i danni che subirete. È anche possibile selezionare la difficoltà automatica, che tramite uno schema adattivo si modella attorno alle capacità del giocatore, rimanendo però tarato verso il basso. L’unica vera variante ai combattimenti è rappresentata dalla versione “oscura” che alcuni nemici possono assumere, diventando vulnerabili solo quando si entra in modalità focus, ma tutto sommato non rappresentano mai né un ostacolo degno di nota né una fonte di reale soddisfazione.
Se consideriamo che Ninja Theory ha sviluppato il gioco da software indipendente, con grande attenzione agli investimenti anche per mantenere il prezzo del gioco a trenta euro, tecnicamente Hellblade si difende bene e si presenta come un titolo in grado di rivaleggiare con diversi altri esponenti dello stesso genere. Certo, non manca qualche bug e glitch, ma non è nulla che non si possa sistemare con qualche patch post lancio, così come non dovrebbero esserci problemi per aggiungere qualche sottotitolo che talvolta non appare in sovrimpressione durante i confusi soliloqui della coscienza smarrita di Senua.

– Scrittura intensa e vibrante

– La psicosi è rappresentata in maniera encomiabile

– Gran lavoro di caratterizzazione

– I puzzle ambientali non convincono e diluiscono il tempo di gioco

– Combat system sin troppo basilare e poco vario

– Qualche bug e glitch

7.5

Hellblade: Senua’s Sacrifice dimostra che gli indie di lusso possono rappresentare un modello commerciale sostenibile, in grado di non rinunciare alla qualità a discapito del prezzo di vendita. Ninja Theory ha fatto un passo coraggioso in tutti i sensi, perché proporre una tematica così delicata e difficile da trattare merita un plauso e tutto il supporto necessario, soprattutto considerando la grande cura che la software house ha dimostrato di avere per questo aspetto del gioco. Il rovescio della medaglia è però rappresentato dagli enigmi ambientali troppo rigidi, dal sistema di combattimento sin troppo basilare e da alcune carenze strutturali.

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