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Recensione

Finding Paradise, recensione della nuova avventura del creatore di To The Moon

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 26/12/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8.5

Quando Kan Gao pubblicò To The Moon, sapeva bene che avrebbe dovuto puntare sulla semplicità e sulla capacità di toccare le giuste corde per lasciare il segno. Ci riuscì alla grande con un’opera in grado di sorprendere, meravigliare e scuotere l’emotività, narrando direttamente al cuore del giocatore. Stupiti dalla qualità di un gioco creato creato con strumenti così essenziali, eravamo molto curiosi di scoprire verso quale direzione volesse puntare Finding Paradise, che arriva a oltre cinque anni di distanza dal primo capitolo.

Il Paradiso Che Vorrei

Sebbene non sia obbligatorio per avere un quadro d’insieme dell’opera, è consigliato recuperare To The Moon e A Bird Story. Sono legati a Finding Paradise da un forte senso di continuità, sia per l’utilizzo di una formula narrativa del tutto simile e certamente più vicina a una visual novel che non a un videogioco classico, sia per i riferimenti che l’ultimo titolo di Kan Gao fa. In un certo senso, si vuole creare un filo conduttore capace di rendere immediatamente riconoscibile quella fisionomia scolpita quasi totalmente nel pilastro portante che è la narrazione a tutti i costi, anche a discapito di tutto il resto. 
Comune denominatore tra To The Moon e Finding Paradise è la presenza della Sigmund Corp., una società in grado di modificare i ricordi del paziente al fine di esaudirne l’ultimo desiderio e accompagnarlo verso una dipartita meno dolorosa, preceduta da desideri esauditi e una realtà illusoria che possa addolcirne il corso. 
A differenza della storia strappalacrime di Johnny, desideroso di andare sulla luna, quella di Colin tocca tematiche che nell’immediato possono di certo essere meno d’impatto e dirette, e dunque meno capaci di colpire allo stomaco. Tuttavia non mancano i momenti in cui Finding Paradise si apre a prospettive di grande riflessione, centralizzando i sentimenti umani, le fragilità, la ricerca di una felicità sempre sfuggente e la difficoltà di accettare il percorso che tutti, prima o poi, dobbiamo intraprendere. 
La parte iniziale, e in generale l’opera tutta, incorpora al suo interno elementi narrativi più riflessivi, filosofici ed esistenziali, ma l’amalgama che ne esce fuori, complici dei momenti drammatici con rilevanti venature malinconiche, dà corpo a dei contenuti più complessi rispetto a To The Moon. Se il primo titolo di Kan Gao sapeva come fare centro, e in un certo senso rischiava ben poco per raggiungere l’obiettivo prefissato, Finding Paradise va oltre ed esplora i grandi e più intimi temi dell’uomo senza banalizzarli. 

Che la vita ti sia lieve

Si capisce dunque come Finding Paradise possa essere visto dai più come un gioco incapace di replicare la forza drammatica di To The Moon, ma in fin dei conti tutto ciò era preventivato e persino Kan Gao ha tentato in qualche modo di abbassare le aspettative. Sbagliando, perché in realtà Finding Paradise, nel complesso, è di certo un’opera più matura di quella precedente; concettualmente più ampia, nonostante le cinque ore circa per portarla a termine, più preziosa e creata da un autore oggi più consapevole dei propri mezzi comunicativi. Si consideri infatti che l’abilità compositiva di Gao, assieme all’immancabile Laura Shigihara  – autrice tra l’altro dell’ottimo Rakuen (Paradiso, in giapponese, NdV) – dà vita ancora una volta a una colonna sonora di grande intensità, che sottolinea i momenti più toccanti con grande disinvoltura e sensibilità. 
La storia di Colin è insomma diversa dal solito, poiché niente di particolamente disagevole c’è nella sua situazione familiare, ma è la complessità del suo vissuto a condurlo alla scelta di cambiare ciò che non va affinché possa liberarsi da pentimenti, mancate accettazioni e tribolazioni.
Qualcosa è cambiato anche nel gameplay, che si è fatto meno passivo, senza tuttavia cedere a derive che avrebbero potuto snaturare l’essenza dell’opera, che resta per l’appunto story driven. Capiterà dunque che dobbiate intrufolarvi nei ricordi di Colin e trovare il memento che possa collegare il segmento in cui vi trovate a quello successivo, attraverso un’interazione minimalista. Bisogna anche azzeccare delle combinazioni davvero elementari, e si capisce come tutto sommato queste varianti alla formula siano solo un’aggiunta per chi aveva puntato il dito contro la sostanziale immobilità di To The Moon. Non si tratta di niente di troppo elaborato, sia chiaro, ma di sicuro è una scelta buona, che rende il tutto un po’ meno passivo. 
Degno di nota è anche l’approfondimento che viene fatto sui due personaggi già apparsi in To The Moon, così come ci è parsa interessante la volontà di far riflettere sull’etica dietro cui opera la Sigmund Corp., assieme ad altri elementi narrativi che s’intrecciano e talvolta confondono, ma soddisfano e rendono il gioco indimenticabile esattamente come quello precedente.

– Narrativa degna di nota

– Storia diversa dal precedente capitolo, ma parimenti efficace e indimenticabile

– Piccole aggiunte a un gameplay altrimenti sin troppo statico…

– … Che potrebbero lasciare indifferenti i non amanti del gameplay minimalista

– Senza un buon inglese potrebbero sfuggirvi dettagli e sfumature della trama

8.5

Grazie a una scrittura encomiabile e alla capacità di andare oltre il successo di To The Moon, esplorando i grandi temi che interrogano e affliggono l’uomo, Kan Gao confeziona un altro gioco imperdibile, che vi rimarrà a lungo nella memoria.

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