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Recensione

E.Y.E.: Divine Cybermancy

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Avatar di Ctekcop

a cura di Ctekcop

Pubblicato il 19/09/2011 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6.9

I ragazzi di Streum on Studio sono una dozzina di francesi che, dopo essersi fatte le ossa a suon di mod tra cui l’interessante Syndicate Black Ops per il primo Half-life, hanno finalmente coronato il loro sogno di diventare sviluppatori professionisti aprendo il proprio studio nel 2007. Esce ora, quasi 4 anni dopo, il loro primo titolo E.Y.E.: Divine Cybermancy. Si tratta di un ibrido tra gioco di ruolo e sparatutto in prima persona dall’ambientazione futuristica sulla falsariga di Deus Ex.

Nonostante il relativamente basso budget a disposizione è in realtà un titolo molto ambizioso considerate le promesse e le feature sciorinate dagli sviluppatori. Purtroppo il titolo in questione ha subito un lancio travagliato che lo ha visto in cima alle classifiche di Steam per qualche giorno nonostante fosse irrimediabilmente farcito da una miriade di bug e crash in grado di inficiarne pesantemente la fruibilità, cui si è fatto fronte con una titanica ed effettivamente un po’ tardiva patch da 1,3 Gigabyte capace di risolvere numerosi problemi, seppur non tutti, e fornire nuovi tweak e bilanciamenti a livello di gameplay.
Il Cyberpunk non passa mai di moda
Il titolo propone un discretamente ampio background narrativo basato su un oscuro futuro dove imperversa una lotta quasi infinita tra due fazioni: la Federazione e la Forza Metastreumonica, composta da misteriosi mostri sovrannaturali. 
In questo universo ci si ritrova ad impersonare una spia infiltrata negli E.Y.E., un elitario gruppo di forze speciali in grado di vantare poteri psichici e cybernetici. Si lavora, almeno inizialmente, per la Secreta Secretorum, ossia una millenaria organizzazione segreta desiderosa di sovvertire il potere imposto dalla Federazione, che dovrà vedersela anche con gli immancabili banditi. Ci si farà quindi largo tra intrighi, cospirazioni, faide personali, ed attraverso giochi di potere ed amici o nemici necessariamente lasciati alle spalle  il giocatore viene tirato in causa in prima persona consentendogli di scegliere da che parte stare creando il suo personale epilogo che giunge dopo una quindicina di ore di gioco.
Peccato che si tratti tutto sommato di una storia che difficilmente coinvolge appieno a causa di una complessità confusionaria condita al tempo stesso da una certa superficialità. Infine l’epilogo risulta alquanto disarmante, quasi da far cadere le braccia. Non vi sono vere e proprie cut-scene; l’ampio background è spiegato, per quanto possibile, attraverso lunghi scritti disponibili in-game, mentre la narrazione passa attraverso esclusivamente i dialoghi a scelta multipla con i personaggi più importanti.
L’ibrido è il futuro
Come già accennato il gameplay si basa su una miscela tra elementi tipici dei giochi di ruolo e le solide meccaniche di uno sparatutto in prima persona. In pratica ogni missione si svolge in ambienti medio-grandi liberamente esplorabili, anche se spesso si tratta solo di strade e poco più, per raggiungere tutta una serie di obiettivi, spesso nell’ordine che vogliamo, primari e secondari eliminando, ad armi spianate o meno, chiunque ci si pari davanti. Alcuni di queste specie di sotto quest saranno disponibili solo dopo aver parlato con certi personaggi da scoprire all’interno della mappa. Si deve spesso fare attenzione alla scelta dialogica per non precludere il raggiungimento di qualche obiettivo oppure far adirare il nostro interlocutore che  farà prontamente fuoco su di noi.
A rendere più vario il tutto ci pensano le caratteristiche del personaggio con punti da spendere come in un vero RPG ad ogni aumento di livello di esperienza, per influenzare le tre barre, rispettivamente di vita, energia e psi. I potenziamenti sono presenti in grande quantità e varietà, passando da semplici bonus per le statistiche del personaggio o rendendo zone del corpo più resistenti ai proiettili e agli infortuni, arrivando infine a veri e proprio poteri speciali, come la possibilità di compiere grandi salti, diventare invisibili, creare dei nostri cloni oppure effettuare specifiche e potenti mosse. Discreta importanza ha anche l’hacking, mediante il quale ci si può far largo attraverso porte altrimenti chiuse o impadronirsi di qualche torretta, e la gestione dell’inventario che costringe ad effettuare scelte oculate ad ogni missione.
Il tutto viene spiegato mediante tanti brevi video-tutorial in quella che risulta alla fine un’interfaccia “stilosa” ma non riuscitissima dal punto di vista della praticità.
C’è del marcio in questo mondo
È dunque spesso possibile scegliere l’approccio di maggior gradimento: si può arrivare direttamente di gran carriera sfoderando un’armatura pesante ed una minigun calpestando implacabili tutto e tutti, si può compiere un grande balzo per raggiungere un punto sopraelevato per “cecchinare” in scioltezza gli ignari nemici o in alternativa scoprire un tunnel di una fogna da percorrere leggeri e veloci per sbucare all’improvviso proprio in mezzo ad un nido di nemici che saranno letteralmente decapitati dalla nostra affilatissima spada.
Il problema è che i frangenti in cui ciò può accadere sono limitati. Il più delle volte ci si trova a girare a zonzo per la mappa a causa di un sistema che visualizza l’obiettivo a schermo solo una volta che si è nelle vicinanze. Inoltre l’approccio stealth è confinato tutt’ora quasi esclusivamente ai livelli più elevati: l’IA fa di tutto per renderlo poco convincente. Da invisibili risulta difficili effettuare una backstab poiché i nemici possono udirvi o odorarvi a meno che non si abbiano a disposizione i potenziamenti specifici.
È proprio l’intelligenza artificiale a rendere spesso tutto molto poco stimolante: è sufficiente trovare una posizione sopraelevata di qualche metro per avvicinarsi notevolmente ai nemici mentre il più delle volte essi si limitano a correre incontro al giocatore, senza sfruttare alcuna copertura, sparando da distanze siderali ancora prima che si abbia la possibilità di scorgerli. Senza dimenticare che pure l’IA amica è deprecabile, risultando spesso d’impiccio o addirittura in grado di eliminarsi da sola facendo tagliare la strada di un clone davanti ad un altro che stava sparando.
Il tutto si riflette anche sulle modalità multiplayer online. Si può affrontare in cooperativa l’intera campagna oppure affrontare missioni a parte, sempre mantenendo uno stesso personaggio volendo, per accumulare esperienza e guadagnare soldi da spendere in impianti cybernetici, o nella modalità teamplay dove due squadre si fronteggiano tra loro per raggiungere per prime determinati obiettivi.
Probabilmente la vera anima di questo gioco risiede proprio qui, in un continuo livellare ed una sfrenata ricerca degli obiettivi, spesso in grado di costringere a ripetere da capo l’avventura principale per via di un particolare sistema di autosalvataggio che salva ogni 3 minuti ed una gestione della morte definita “non penalizzante” in grado di far re-spawnare esattamente dove si è morti, meccanismo che però spesso vi porterà incontro al game over svariate volte di fila.
Quando lo stile non è tutto
E.Y.E.: Divine Cybermancy utilizza l’engine creato da Valve, il Source. Graficamente parlando, considerando sopratutto le ristrettezze del team, è stato svolto un buon lavoro. Viene garantito un colpo d’occhio notevole, sopratutto nella parte iniziale del gioco, dove si rimane colpiti ed incantati dalla maestosità ed opulenza di alcune architetture o dalle atmosfere cyberpunk piene di neon. Vi sono in alcuni punti, come l’armatura dei personaggi animati decentemente, vette stilistiche non indifferenti. L’HDR viene usato in maniera egregia, addirittura spesso esagerata magari per coprire qualche problemino a livello di draw distance. Insomma nulla di eclatante ma comunque meglio di molte mod che si trovano in giro per il Source. Putroppo in alcune zone, sopratutto verso il finale, vi sono dei cali di qualità allarmanti con pochezza di poligoni negli ambienti, che sembrano vuoti, e texture non proprio al passo coi tempi.
Il comparto sonoro è quello che più tra tutti ha subito il basso budget: il doppiaggio, comunque sostituito degnamente da una gran mole di testi in inglese o francese, è praticamente inesistente sostituito solo talvolta da strani versi. Meglio per quel che riguarda l’effettistica, familiare a chi ha già avuto a che fare col Source. Le musiche sono per lo più d’ambiente e non colpiscono né per varietà né per cura realizzativa risultando forse troppo anonime e dimesse.
Come già ribadito nell’apertura, i bug possono infastidire ed inficiare l’esperienza di gioco, sopratutto in multiplayer con snervanti crash nei momenti meno opportuni. Gli sviluppatori sono ancora al lavoro tutt’ora non paghi dell’ultima patch e consci del fatto che ci sia ancora da migliorare.

HARDWARE

OS supportati: Windows® 7 32/64-bit / Vista 32/64 / XPProcessore: Pentium 4 3.0GHz, Athlon 64 3000+ o miglioreMemoria RAM: 1 GB per XP / 2GB per Vista/7Scheda grafica: DirectX 9 compatibile con 128 MB, Shader 2.0. ATI X800, NVidia 6600 o miglioreHard-Disk: Almeno 6 GB di spazio liberoScheda Audio: DirectX compatibile

– Valido ibrido tra FPS ed RPG

– Tanta carne al fuoco per i giocatori più estremi

– Stile a tratti veramente ottimo

– Prezzo budget

– Ancora qualche piccolo bug da limare

– IA poco riuscita

– Varietà degli approcci non pienamente riuscita

– Sonoro sottotono

6.9

Tutto sommato E.Y.E.: Divine Cybermancy è un gioco che funziona ma solo a tratti. Si presenta come un misto tra FPS ed RPG giocabile sia in singolo che in multigiocatore. Ha purtroppo tanti, troppi piccoli difetti per consigliarlo spassionatamente.

Molti, o forse troppo pochi, potrebbero capirlo appieno e ritrovarsi a giocarlo per centinaia di ore nel solo tentativo di creare un personaggio coi fiocchi, sbloccare tutti gli obiettivi o vedere tutti i finali. Altri probabilmente lo abbandonerebbero dopo poco non catturati da una storia sovrabbondante, un’IA pessima, ed un comparto tecnico che è tutto tranne che “spacca mascella”.

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