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Recensione

Dragon Quest VII - Frammenti di un mondo dimenticato

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Editor

Pubblicato il 13/09/2016 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8.5

Dei numerosi giochi di ruolo giapponesi usciti per la prima PlayStation che noi europei non abbiamo mai avuto la fortuna di poter giocare (se non rivolgendoci al costoso mercato d’importazione), Dragon Quest VII rappresentava uno dei migliori in assoluto, insieme a titoli del calibro di Xenogears e Chrono Cross (lacrimuccia!).
Fortunatamente per noi, Square Enix e ArtePiazza, sotto l’ala protettrice di Nintendo, hanno pensato bene di portare anche nel vecchio continente il remake uscito nel 2013 per 3DS, aggiungendovi il sottotitolo Frammenti di un Mondo Dimenticato e regalando così all’utenza della piccola console stereoscopica un gioco di ruolo che, a modo suo, ha scritto la storia recente del genere di appartenenza.
Speriamo per voi che abbiate un centinaio abbondante di ore libere, perché Dragon Quest VII non si accontenterà di niente di meno.
Ricomporre il puzzle
In un mondo coperto quasi interamente dalle acque, dove gli abitanti dell’unica, minuscola isoletta emersa sono convinti di essere gli unici rimasti, solo la voglia di scoprire e la curiosità di tre adolescenti può smuovere le cose: come una fiaba che trae ispirazione dai lunghi pomeriggi d’estate dell’infanzia, Dragon Quest VII fonda la gran parte del suo fascino sul piacere della scoperta, sulla spinta viscerale che muove l’uomo verso l’ignoto.
L’inquietudine e la diffidenza verso la credenza di essere soli nell’universo, che animano tanto il silente protagonista quanto il principe Kiefer, suo amico d’infanzia, costituiscono la molla dell’intera vicenda, i cui complici sono delle misteriose rovine magiche, un buffo servitore di un’entità divina e delle tavolette di vari colori, che come in un enorme puzzle vanno a ricomporre portali che garantiscono viaggi nel tempo.
Tornando indietro, in epoche in cui le terre emerse e le civiltà erano molte di più, i nostri tre eroi liberano ognuna di esse dalla piaga che ne ha causato la fine, che sia un’innaturale siccità, un vulcano in attività o, più spesso, l’oscuro disegno di individui quantomeno loschi. Durante questi viaggi fantastici, i giovani protagonisti incontrano personalità interessanti, alcune delle quali si uniranno al gruppo per un tratto dell’avventura, facilitando notevolmente la vita al party: se vi aspettate nemesi dalle motivazioni particolarmente elaborate, intrighi politici e contenuti maturi, Dragon Quest VII non è decisamente il gioco che fa al caso vostro.
Ad onor del vero, d’altronde, la saga non ha mai regalato intrecci memorabili, preferendo adagiarsi su toni spensierati e mondi ricchi di colore, assecondando la voglia di esplorazione dei più giovani e strappando un sorriso nostalgico ai più navigati.
Se all’epoca dell’uscita, mentre il genere dei giochi di ruolo cercava di evolversi e trattare temi decisamente più adulti, la trama dietro Dragon Quest VII fu da più parti accusata di poggiare troppo su un’infinita sequela di cliché molto abusati, oggi paradossalmente risulta una boccata di aria fresca tra tanti prodotti similari che insistono su concetti come la morte, il tradimento, la vendetta.
Quasi a farsi perdonare una narrativa tutto sommato modesta, poi, ci sono meccaniche di gioco di grande qualità e una quantità sbalorditiva di contenuti: è difficile, insomma, tenere il broncio alla settima fatica di Horii-san.
Chirurgia plastica
Come una bella donna che non si rassegna al passare del tempo, Dragon Quest VII è andato incontro ad un profondo lifting prima di fare irruzione sul mercato moderno: gli sviluppatori di ArtePiazza hanno svolto un lavoro imponente in alcuni settori e appena percettibile in altri, e il risultato finale rasenta la perfezione, senza toccarla.
Tralasciando quelle tecniche, per le quali vi rimandiamo al seguente paragrafo, le due modifiche immediatamente percettibili riguardano lo stravolgimento dei ritmi di gioco e l’eliminazione degli scontri casuali, due elementi che avrebbero appesantito l’esperienza di gioco per il pubblico odierno.
Se nel titolo originale la fase introduttiva si protraeva per oltre quattro ore, con il primo combattimento che giungeva solo all’alba delle cinque, in Frammenti di un Mondo Dimenticato quest’attesa è stata ridotta a poco più di un’ora, un tempo comunque considerevole per gli standard del 2016 ma assolutamente accettabile.
Ancora più importante è la quasi totale eliminazione delle battaglie casuali, limitate adesso alle sole fasi di spostamento con mezzi, e comunque ad un ritmo assai più sincopato di quello originario: i nemici sono tutti visibili sulla mappa, sulla falsariga degli ultimi episodi del franchise, anche se tendono ad apparire e scomparire, causando spesso incontri non voluti.
Poco male, comunque, perché questi si risolvono, in genere, in una manciata di secondi, complice anche il livellamento verso il basso del livello di difficoltà, una delle modifiche che meno abbiamo gradito.
La lista dei cambiamenti non si ferma qui: l’inserimento di un radar, che lampeggia in maniera sempre più continua quanto più ci si avvicina ad un frammento, la diminuzione del numero di punti esperienza necessari per salire di livello, e una revisione del costo degli equipaggiamenti disponibili dai vari mercanti snelliscono notevolmente il gameplay, rendendo più semplice e intuitiva l’esperienza di gioco, con buona pace dei veterani.
Complice una trama spezzettata, che si presta splendidamente alla fruizione portatile, l’introduzione di una comoda funzione di salvataggio veloce e un sistema di dialoghi che non manca mai di ricordare al giocatore la sua prossima destinazione, Frammenti di un mondo dimenticato risulta un’esperienza assai più user friendly di quanto non fosse Dragon Quest VII sedici anni fa.
Al di là delle considerazioni sulla scarsa difficoltà generale, tutte le modifiche apportate concorrono a fare del prodotto un JRPG più godibile e meno enciclopedico, decisamente a suo agio sugli schermi di 3DS in quanto a ritmo e dinamiche di gioco.
Dispiace, allora, che il team di sviluppo non abbia ritenuto di intervenire in altre aree, che mostrano impietosi i segni del tempo: la gestione dell’inventario è atroce (in linea con gli altri episodi del franchise) e costringe a passare molto più tempo di quanto si vorrebbe tra i menu a spostare oggetti, e risulta anacronistica anche l’impossibilità di selezionare il nemico cui indirizzare i nostri attacchi, a meno che non sia l’unico di una determinata specie impegnato nel combattimento.
Un nuovo motore sotto il cofano
Conscio che i sedici anni passati dalla release originaria avrebbero pesato come un macigno sull’estetica di Dragon Quest VII, il team di ArtePiazza ha implementato un motore tridimensionale nuovo di zecca, che mette da parte l’isometria del titolo pubblicato su PsOne e lascia il giocatore libero di muoversi in ambienti realmente in tre dimensioni, con la telecamera ruotabile a piacimento tramite l’utilizzo dei dorsali della console. Inutile dire che l’effetto finale è incredibilmente più gradevole di quello originale, e si addice maggiormente al mercato attuale e agli ultimi capitoli della serie, mantenendo una continuità visiva che risulterà particolarmente gradita a tutti coloro che hanno già giocato i quattro capitoli usciti su Nintendo DS.
Il character design del maestro Toriyama si avvantaggia della nuova veste grafica, così come le fasi di esplorazione all’interno dei dungeon, in cui la possibilità di muovere la visuale a piacimento rende più semplice raggiungere ognuno degli innumerevoli scrigni nascosti.
Il prezzo da pagare, anche su New Nintendo 3DS, è rappresentato dalla scarsissima varietà di modelli poligonali per i personaggi non giocanti, con sette o otto facce che si ripeteranno fino alla noia nei vari villaggi, e da una manciata di rallentamenti, perlopiù riscontrabili durante gli spostamenti a piedi sulla mappa del mondo: niente che renda il prodotto ingiocabile, beninteso, ma l’hardware della grande N, a quasi sei anni dal lancio sul mercato, comincia a mostrare la corda con i titoli più esigenti.
In assenza di doppiaggio, la colonna sonora (firmata ancora una volta dal veterano Koichi Sugiyama), non risente più di tanto del limitato spazio su cartuccia, né tantomeno del ritorno ad una versione MIDI, in luogo di quella orchestrata di cui hanno potuto godere gli utenti giapponesi al lancio del remake nel 2013: i temi storici della serie sono tutti lì, con una manciata di gustosi arrangiamenti inediti e una serie di motivi che sono entrati a far parte della storia del medium videoludico.
Menzione d’onore anche per l’eccelso lavoro di localizzazione, diverse spanne sopra quello svolto nel 2000 in lingua inglese: è anche in questi campi che l’industria videoludica ha fatto passi da gigante, e Frammenti di un Mondo Dimenticato ne rappresenta un’ulteriore testimonianza.
Per quanto concerne la longevità, un’intelligente implementazione dello Street Pass (grazie al quale è possibile reperire tavolette aggiuntive che sbloccano dungeon inediti e il cui livello di difficoltà si innalza quanto più alto è il numero di giocatori che li ha visitati), si somma alla spropositata quantità di contenuti del titolo originale, che già da solo era capace di garantire decine e decine di ore di gioco, anche ai più frettolosi.

– Finalmente in Europa

– Centocinquanta ore di divertimento

– Imponente opera di svecchiamento

– Nuovo motore grafico

– Dungeon inediti via Street Pass

– Inventario scomodissimo

– Livello di difficoltà annacquato

8.5

Nessun appassionato di JRPG che possieda una console della famiglia 3DS dovrebbe lasciarsi scappare l’occasione di giocare Dragon Quest VII Frammenti di un Mondo Dimenticato, che sia un neofita o che conosca la serie da vent’anni.

Il lavoro di ammodernamento operato dal team di sviluppo lo rende un prodotto moderno sotto quasi tutti i punti di vista, ad eccezione di un inventario difficile da digerire, e rende ancora più piacevoli le cento e passa ore che è possibile spendere all’interno di questo mondo incantato.

Probabilmente i vecchi lupi di mare avrebbero gradito un selettore della difficoltà, perché l’abbassamento del livello di sfida è consistente rispetto al passato, ma il risultato finale porterà senza dubbio nuove schiere di fan al marchio Dragon Quest.

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