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Recensione

Daylight

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 02/05/2014 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

5.5

Ci vuole davvero un attimo per farsi travolgere dall’hype generato da qualche video promozionale ben confezionato, quelli in cui la concentrazione è posta sugli elementi cardine o sugli aspetti che fanno generalmente più presa sul giocatore. Nei titoli horror, poi, questa operazione diventa ancora più semplice ed efficace: succede nei trailer cinematografici e, ultimamente, la stessa cosa accade anche nei videogiochi. Il risultato finale, però, non sempre è vicino a ciò che vorrebbero farci credere, e talvolta è talmente al di sotto delle aspettative da lasciare atterriti più di qualunque spavento forzato.

Procedurale è sinonimo di male
Daylight è stato sviluppato usando l’Unreal Engine 4 e ha avuto a disposizione un’ottima capacità di calcolo per tirare fuori delle buone idee da quell’approccio alla programmazione procedurale che tanto sta andando di moda ultimamente. In verità, questa tanto decantata meraviglia presenta dei punti molto deboli e appiattisce terribilmente il game design, che si piega all’esigenza della generazione casuale degli ambienti a discapito di una direzione di gioco netta e precisa. La volontà di offrire partite sempre diverse è certamente apprezzabile, ma quando ci si rende conto che si tratta solo di variazioni minime, o di corridoi tutti uguali tra loro ma disposti in posizioni diverse rispetto a prima, si capisce come l’inconsistenza delle ambientazioni prenda il sopravvento su ogni buona intenzione. Sin dalle battute iniziali, quando la protagonista viene lanciata all’interno di un dedalo senza troppi convenevoli e senza capirne neanche il motivo, si intuisce la natura sottotono dell’opera di Zombie Studios. Nel momento in cui sarete costretti a districarvi in qualche modo tra le labirintiche strutture, non avendo alcun punto di riferimento all’infuori del vostro smartphone che vi mostra parte della mappa mentre avanzate a tentoni, avrete la netta sensazione che anche gli scenari successivi seguiranno diligentemente questo schema. E in effetti è così: in Daylight, nei quattro grandi stage di cui è composto il gioco, sarete dei topi intrappolati in un labirinto infestato da fantasmi, violenti poltergeist e ombre omicide, e dovrete trovare una via di uscita che è possibile sbloccare solo dopo aver raccolto un particolare oggetto che funge da chiave. Il problema è che per impadronirsi della chiave, bisogna necessariamente trovare delle note sparse lungo gli scenari, alcune delle quali sono nascoste dentro scaffali o particolari cassetti visibili solamente usando dei bastoncini luminescenti che li evidenziano. L’interazione è comunque possibile anche senza il conforto di andare a colpo sicuro, e dopo la prima mezz’ora capirete che non ci sarà bisogno di fare i salti mortali per indagare più a fondo. Talvolta, però, è strettamente necessario, e quando questo capiterà vi sentirete nel bel mezzo di una conduzione di gioco sin troppo artefatta e costrittiva, come se non bastasse già girare a caso alla ricerca della porta giusta o del documento che mancava alla collezione. Se proprio dovessimo inquadrare bonariamente il modo di proporsi di Daylight, potremmo sforzarci di giustificare la generazione casuale di ambienti labirintici allineandola alla grave condizione psicologica di Sarah, ma la leggerezza e il poco spessore narrativo non riescono a sorreggere questa ipotesi molto a lungo.

Guardati le spalle
Casuali sono anche le apparizioni delle entità che vi daranno la caccia durante il vostro girovagare tra ambienti tutti sin troppo simili tra loro. Quando lo schermo del vostro telefonino comincerà a essere disturbato, a subire qualche sussulto dell’immagine e a perdere il segnale della mappa, qualcosa sta cominciando ad avvicinarsi pericolosamente a voi. L’effettistica sonora si fa più densa e ossessiva, senza darvi un attimo di tregua, ed è da quel momento in poi che le cosiddette ombre potranno apparirvi da un momento all’altro, anche quando vi voltate per cambiare direzione. Salterete in aria di tanto in tanto, ma una volta capito il meccanismo e aver imparato a fare economia con i bengala che scacciano via queste minacce, vi sentirete senz’altro più preparati ad accogliere con relativa tranquillità gli immancabili “scarejump”, quei momenti di improvvisa scarica di adrenalina che andranno vieppiù scemando. In verità, Daylight non è mai capace di mantenere la tensione su alti livelli, e per chiunque sia un patito dei titoli horror, il gioco di Zombie Studios si rivela essere poco più di una passeggiata, anche perché lo si può tranquillamente portare a termine in un paio di ore. Gli autori hanno cercato in tutti i modi di mantenere alto quel senso di angoscia che si dovrebbe provare aggirandosi lungo ambienti bui e terrificanti, anche facendo dire di tanto in tanto qualche frase terrorizzante alla povera Sarah; peccato solo che anche queste siano riprodotte casualmente e, di conseguenza, senza alcuna coerenza con ciò che sta realmente accadendo intorno a voi. Sentire pronunciare parole come: “Cosa è stato?” o “So che c’è qualcuno lì!” anche quando siete davanti a una porta sbarrata e il silenzio regna sovrano, non rappresenta proprio il massimo della credibilità.
Daylight ha avuto il vantaggio di essere stato realizzato con un gran motore grafico, ma il risultato è talmente mediocre da far pensare a una preoccupante incapacità nel saperlo gestire e dominare: la modellazione degli ambienti e di quasi tutto ciò che è contenuto al loro interno è scarna, sommaria e quasi svogliata, e non c’è nulla che faccia intravedere un reale progresso tecnologico rispetto al passato. Onestamente, Daylight sembra in tutto e per tutto un progetto realizzato in grande economia e senza alcuna ambizione, se non quella di mettere paura ai giocatori nei momenti più inaspettati. E anche lì, francamente, il risultato è fiacco e largamente discutibile.

– Spaventi improvvisi assicurati

– Qualche spunto buono nella trama

– Rigiocabile, se si vuole davvero scoprire tutto

– La generazione procedurale di ambienti ed eventi affossa la produzione

– Conduzione di gioco fiacca, talvolta noiosa, raramente terrorizzante

– Tecnicamente mediocre

5.5

Daylight si comporta esattamente come quei titoli horror indipendenti che devono tutto alla filosofia di gioco messa in campo da Slenderman. Zombie Studios ha lasciato troppo spazio alla generazione procedurale di ogni singolo aspetto del gioco, con risultati spesso poco credibili e che portano inevitabilmente alla noia, anziché atterrire. La storia è telefonata e incredibilmente riciclata, e l’atmosfera si mantiene su livelli medi soprattutto a causa della natura labirintica degli ambienti, che non sembrano appartenere a niente che sia anche lontanamente da prendere sul serio.

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