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Recensione

D4 - Dark Dreams Don't Die

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 24/09/2014 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

L’unica cosa che ci si può aspettare da un’opera di Swery è proprio l’inaspettato.
Dopo quel titolo cult che risponde al nome di Deadly Premonition, gli amanti del videogioco d’autore e dei prodotti di nicchia – quelli che solitamente fanno a cazzotti coi successi commerciali – erano in attesa del misterioso D4, uscito quasi a sorpresa sullo store Microsoft. Sconosciuto da molti, D4 era stato annunciato come uno dei titoli di punta per Kinect quando ancora l’accessorio veniva considerato parte integrante di Xbox One, salvo poi diventare una bella promessa che ha in parte perso l’esclusività del suo sistema di controllo. Nonostante sia anche possibile giocarlo col pad, l’essenza e la follia con la quale è intrisa quest’avventura possono essere colte pienamente solo muovendosi davanti a uno schermo, avvantaggiandosi di un tasso di coinvolgimento maggiore e certamente più adatto a ciò che accade attorno al protagonista.

To be continueD…
Da qualche tempo è nata la nuova tendenza dei videogiochi a episodi, trattati come se fossero esattamente delle serie televisive: vendono abbastanza bene, il pubblico li compra e di conseguenza non c’è motivo di evitare una di quelle condizioni che in fondo abbiamo pienamente accettato. D4 – Dark Dreams Don’t Die è scritto proprio per essere una serie videoludica strutturata a stagioni, con puntate che – successo permettendo – arriveranno in seguito e in un periodo ancora imprecisato. Al costo di quindici euro, dunque, vi porterete a casa il prologo e i primi due capitoli della prima stagione, rimanendo impegnati per un periodo che oscilla tra tre e le cinque ore, a seconda che siate giocatori che vanno dritti al punto o che non si lasciano alle spalle nessun dettaglio. E in D4 di dettagli ce ne sono molti, alcuni assolutamente strambi e illogici, altri completamente fuori di testa e surreali, così come le missioni secondarie e tutto ciò che ruota attorno a David Young, il detective senza memoria che andrete a impersonare. Young ha perso la moglie per mano di un misterioso killer su cui indagherà per tutto l’arco dell’avventura, tuffandosi nel passato grazie a degli oggetti chiamati “mementum”, che gli permettono di vivere episodi già accaduti al fine di scovare indizi e raccogliere i pezzi di un puzzle piuttosto intricato. Sul punto di morte, la compianta Peggy gli rivela un ultimo grande segreto: “Cerca D”, senza lasciargli capire se si tratta di una persona, un luogo, un oggetto o chissà cos’altro. A quel punto per David la ricerca diventa un’ossessione, e tra diversi sorsi di tequila che gli annebbiano la mente e degli inaspettati risvegli nella vasca da bagno, il lavoro di detective si fa sempre più complicato e la storia riesce coinvolgere progressivamente. In questo senso, è bene sottolineare la superba caratterizzazione dei personaggi principali e secondari, alcuni dei quali presentano dei tratti fortemente caricaturali, vicini alla concezione dei più strampalati manga o anime nipponici, con vezzi, esagerazioni e tratti caratteriali che probabilmente non dimenticherete mai più. La sceneggiatura di Dark Dreams Don’t Die rispetta alla perfezione i tempi da serial televisivo/anime, presentando fin da subito una trama efficace che sa come incuriosire l’utente e renderlo interessato fino al momento cliffhanger del finale, che arriva proprio quando ci si comincia ad affezionare a David e agli altri strambi comprimari.
Meglio col Kinect
La poetica dell’assurdo e del surreale permea ogni tratto della produzione e non resta confinata alla sola storia, ai personaggi e a ciò che accade intorno a David Young, ma si sostanzia nel sistema di gioco creato appositamente per Kinect. D4 è un’avventura che si accosta pesantemente alle avventure grafiche, perché ne sfrutta le dinamiche e ne esalta i punti di forza, soprattutto per quanto riguarda la progressione. Non ci sono infatti le forzature tipiche nella risoluzione dei puzzle, né la necessità di dover investigare esattamente in un punto al fine di procedere; c’è piuttosto il bisogno di guardarsi attorno e interagire con icone ben visibili su schermo e con gli oggetti evidenziabili dalla cosiddetta “Visione”, da attivare portandosi le mani alle tempie. In D4 ci si sposta letteralmente muovendo il proprio corpo e si naviga tra gli scenari usando la propria mano come se fosse il cursore del mouse. Sollevando una mano davanti allo schermo si cercano gli elementi coi quali è possibile interagire e “si clicca” stringendo la mano a pugno, mentre per voltarsi bisogna muovere il busto di lato. Se queste sono le azioni di base per ottenere il minimo indispensabile, il bello arriva quando l’azione si fa più pepata, con scene action scandite da quick time event in cui bisogna compiere dei movimenti precisi in sincronia con ciò che accade su schermo. Si tratta di una divertente variante che dà mobilità al giocatore, facendolo sentire al centro dell’azione e portandolo a sorridere delle pazzesche situazioni in cui si trova coinvolto. In questo senso, il primo capitolo sa perfettamente come mettere sottosopra tutti gli schemi convenzionali della narrazione, presentandoli in forme e modalità francamente mai viste in un videogioco. Kinect non sempre è preciso, ma tutto sommato risponde con buona solerzia ai vostri movimenti, senza farvi penare e senza costringervi a passare al pad. Forse è tutto un po’ troppo meccanico, farraginoso e lento, ma trattandosi di un titolo dalle forti venature mistery, incentrato sul reperimento di prove e sulla ricerca di indizi che possano far luce su un passato in continua scoperta, la direzione intrapresa da Swery è largamente accettabile e comprensibile.
I sogni oscuri non muoiono
Così come in Deadly Premonition, anche in D4 – Dark Dreams Don’t Die non c’è nessuno sfarzo tecnico in grado di far brillare gli occhi di chi osserva. Ci si trova sempre all’interno di ambienti in cui la mobilità è limitata, pertanto ogni aspetto visivo della produzione è sempre statico e sotto controllo, furbescamente impossibilitato a presentare inaspettate sbavature. Ciononostante, qualche problema c’è, ma viene ben nascosto dalla scelta di Access Games di dare a D4 i decisi connotati di un cel shading classico, che ben si adatta alla natura del gioco. A essere onesti, faremmo tanta fatica a immaginare certi personaggi modellati in modo diverso, perché è proprio attraverso uno stile inconfondibile e un estro fuori dalla norma che vengono messi in risalto i loro tratti distintivi, che trasudano un’efficacia raramente riscontrabile in simili produzioni. Il campionario dell’assurdo passa attraverso uno stilista autoproclamatosi “Avant-Garde” che si accompagna con un manichino donna, fino ad arrivare a un altissimo uomo di colore con camice e mascherina bianchi che regge delle posate e mo’ di bisturi mentre parla con una lentezza esasperante. A dimostrazione del fatto che di normale, in D4, non c’è davvero niente. Dopo aver portato a termine il prologo e i primi due episodi di Dark Dreams Don’t Die, dunque, la sensazione che l’opera di Swery vi lascerà addosso sarà un misto tra soddisfazione, forte straniamento e curiosità. Quella stessa curiosità e smania che si provano quando si vuole andare avanti in una serie televisiva e non sono ancora disponibili le puntate successive. I quindici euro da sborsare sono un buon compromesso per appassionarsi a D4, ma una volta raggiunti i titoli di coda, capirete immediatamente che si è trattato solo di un unico grande inizio, e che era il primo passo verso la verità sulla scomparsa di Peggy. D4 e la sua natura episodica funzionano bene, e il titolo si premura anche di arricchire la sua trama con tematiche forti e controverse, edulcorate in parte dall’inverosimiglianza di situazioni di gioco sovrapponibili a quelle della vita reale. Ma cogliendo i numerosi sottotesti della scrittura di Swery, è impossibile non notare alcune forti critiche verso la dilagante diffusione delle droghe, i gap sociali e culturali tra occidente e oriente e tutta una serie di argomenti che sembrano appena lambiti, ma che in realtà sono colpiti esattamente in pieno centro.

– Ottima avventura, ben scritta e articolata

– Sa come incuriosire il giocatore e stimolarlo lungo gli episodi

– Fuori di testa, surreale e divertente

– Finalmente Kinect viene sfruttato come si deve

– Qualche imprecisione nell’uso del Kinect

– I giochi a episodi non sono per tutti

– Sistema di controllo un po’ rigido e farraginoso

– Qualche sbavatura grafica

8.0

Non è affatto semplice riuscire ad apprezzare D4 nella sua interezza, soprattutto perché il surrealismo di matrice nipponica è uno di quei modi di narrare che non tutti riescono ad accettare completamente. E lo stesso vale per l’accettazione di una storia dilatata in una serie videoludica a episodi. Superati questi scogli, ciò che vi troverete davanti è un’opera dai tratti del tutto particolari e ricercati, un’ode al videogioco d’autore non cantata a squarciagola, che adotta un registro tutto suo per dialogare con l’utente.

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