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Recensione

Call of Juarez: The Cartel

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Avatar di rspecial1

a cura di rspecial1

Pubblicato il 25/07/2011 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

5.5

Nel mercato dei videogiochi non c’è mai stato molto spazio per i titoli ambientati nel selvaggio west, eppure alcune produzioni sono riuscite a ricavarsi un loro mercato dando una boccata d’ossigeno a generi troppo inflazionati, come la serie Call of Juarez di Techland. Sparatorie degne dei migliori film di Sergio Leone e quell’ambientazione unica davano ai due FPS un tocco distintivo che li caratterizzava, permettendo loro di distinguersi dai numerosi sparatutto in prima persona ambientati durante guerre più o meno moderne. Call of Juarez: Bound in Blood è stato l’ultimo capitolo dove si poteva respirare la particolare atmosfera del post-Guerra di Secessione, questo perché, nonostante le buone valutazioni ottenute dalla stampa specializzata e l’apprezzamento del pubblico, sembra che Ubisoft non ami poi molto il west. Abbandonate dunque le fughe in carrozza e le battaglie tra indiani ed esercito, con Call of Juarez: The Cartel ci ritroveremo in una modernissima Los Angeles a combattere contro un cartello della droga messicano. Sembra proprio che l’originalità dei primi due episodi abbia lasciato spazio ad uno dei tanti FPS disponibili sul mercato, teoria che presto trova conferme anche più preoccupanti delle premesse.

La generazione McCallUno degli aspetti migliori dei precedenti Call of Juarez era costituito dalla trama, sempre ben intrecciata, coinvolgente, che non dava per scontato nulla di ciò che poteva capitare al McCall di turno. In questo The Cartel c’è ben poca narrativa, sostituita da una scontata missione: eliminare gli spacciatori più pericolosi di Los Angeles con le cattive, senza mezzi termini. A far da collante tra questo titolo ed i precedenti c’è l’immancabile erede della famiglia McCall, in questo caso Benjamin, e nient’altro. Per smantellare il Cartello il governo decide di utilizzare tre dei peggiori agenti a disposizione delle forze dell’ordine, unendo così per l’occasione Benjamin a Eddie Guerra, infiltrato della DEA, e Kimberly Evans, attraente agente dell’FBI. Ogni personaggio ha dei motivi ben precisi per cercare di sgominare i trafficanti messicani; Guerra, essendo indebitato fino al collo, desidera approfittare dell’occasione per sistemare i suoi affari, Kimberly ha un fratello all’interno di una banda e deve cercare di tirarlo fuori dai guai lasciandone la fedina penale pulita, McCall è all’inseguimento della propria vendetta personale contro un reduce dalla guerra in Vietnam. Sebbene non cambino di molto il percorso predefinito studiato dai programmatori, le piccole differenze tra i vari personaggi offrono accesso a delle quest extra che aumentano la varietà d’azione. Ognuno dei protagonisti dovrà infatti svolgere determinati compiti durante le missioni, senza farsi però scoprire dagli altri due. Tutto questo accade durante incessanti sparatorie con gangster e trafficanti che daranno vita al cuore dell’azione, mentre si cerca di regolamentare i transiti di droga sul confine e raggiungere ciò che resta della città di Juarez.

La Colt Walker colpisce ancora…Sebbene la trama sia ambientata nell’odierna Los Angeles, Call of Juarez: The Cartel propone un gameplay tutt’altro che realistico. Durante le partite in single player avrete una buona libertà di azione, comunque sempre riconducibile agli obiettivi da portare a termine che compariranno a schermo, ma noterete subito che l’azione di gioco è costituita principalmente da sparatorie senza fine e scazzottate in pieno stile Chuck Norris. L’azione si divide tra la ricerca di indizi per trovare tracce dei malviventi, ottenendo anche la possibilità di metterli gli uni contro gli altri, e diverse sezioni di guida estrema. A bordo di possenti fuoristrada potrete decidere se mettervi alla guida del mezzo, lasciando all’intelligenza artificiale il compito di sgominare i criminali, oppure salire al posto del passeggero e svolgere tutto il lavoro sporco in prima persona. Le sezioni a piedi vi vedranno impegnati in molte sparatorie e sarà quindi fondamentale, come nei precedenti capitoli, riuscire a trovare ripari adeguati e duraturi. Purtroppo, una delle caratteristiche meno convincenti del titolo è la gestione poco credibile delle esplosioni; se riparandovi dietro una macchina vi sentirete relativamente al sicuro, peggio per voi, dato che i mezzi hanno la brutta abitudine di esplodere dopo pochi colpi. Qualche problema da segnalare anche nel reparto armi: sbloccabili attraverso il compimento degli obiettivi secondari legati ad ogni personaggio, offrono una scarsa varietà e risultano incredibilmente potenti, dato che con qualche colpo di pistola riuscirete a far saltare in aria un SUV come se lo aveste bersagliato con un lanciarazzi. Purtroppo dobbiamo segnalare come le sedici missioni e i tre personaggi non riescono ad intrigare e coinvolgere come dovrebbero, non portandoci a desiderare di vedere la fine. Il fatto che a livello di gameplay non ci siano differenze marcate tra i tre poliziotti non aiuta. In Call of Juarez: Bound in Blood i fratelli McCall erano ben caratterizzati, in questo caso i programmatori sembra si siano invece soffermati sulle curve della dolce Kim e ben poco altro. Il multiplayer non riesce nemmeno ad essere così vario come in passato, risulta anzi più povero del precedente considerando che le varie modalità sono tutte incentrate su poliziotti contro spacciatori, scrivendo così la parola addio all’esperienza delle taglie, sebbene sia rimasta in altra forma. In sostanza avremo semplicemente il  classico deathmatch a squadre con qualche variante, nella quale dovremo cercare di proteggere o salvare un membro del nostro team, oltre a delle mappe che sembrano ben poco varie e troppo aperte per riuscire a gestire una qualche strategia di gioco. Decisamente più interessante la possibilità di affrontare la storia in cooperativa sia offline che online.

Gioco piatto per menti piatteSebbene i ragazzi di Techland abbiano sfruttato il nuovo motore grafico da essi ideato, le performance non risultano affatto buone. Nonostante gli ottimi effetti grafici delle esplosioni, crepe sui vetri ed altri piccoli dettagli di buona qualità, l’insieme è davvero sotto la media. Le sessioni di guida sono caratterizzate da una presenza di pop-up fastidioso che non affligge solo i fondali, senza contare la simulazione della fisica, poco realistica e soggetta a reazioni imprevedibili. L’aspetto meno curato è comunque l’intelligenza artificiale amica: i vostri compagni saranno perlopiù inutili, senza fornirvi adeguato supporto contro i nemici, i quali peraltro concentreranno il fuoco quasi esclusivamente sul personaggio da voi controllato. Mentre guiderete i mezzi la domanda “a chi stanno sparando?” vi balenerà spesso per la mente, considerando che nonostante i vostri compagni siano dotati persino di doppie bocche da fuoco la loro mira darà ben pochi frutti. I problemi si estendono anche alle controparti nemiche, le quali mostreranno una scarsa consapevolezza del territorio che li circonda. Anche il doppiaggio, sebbene completamente in italiano, lascia a desiderare, afflitto da una sincronia non perfetta.

– A tratti divertente

– Interessante modalità cooperativa

– IA non pervenuta

– Troppo lineare e semplice

– Storia poco accattivante

– Multiplayer monotono

– Realizzazione tecnica altalenante

5.5

Call of Juarez: The Cartel si propone come un FPS leggero e senza pretese, caratterizzato da una realizzazione tecnica sotto la media ed a stento sufficiente. Potrà comunque offrire qualche ora di gioco e divertimento, grazie ai dialoghi molto coloriti ed a qualche sparatoria divertente, ma ben poco altro. Dispiace vedere come anche Ubisoft abbia preferito inflazionare il suo franchise piuttosto che continuare sulla strada che aveva intrapreso, con buoni risultati. Perlomeno il vecchio west aveva il suo fascino, e da esso erano scaturite delle trame interessanti che lasciavano il giocatore incollato allo schermo, mentre questa virata sul moderno lascia decisamente l’amaro in bocca.

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