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Recensione

Bound

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Avatar di AG

a cura di AG

Pubblicato il 22/08/2016 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

I legami, specie quelli di sangue, sono i più difficili da recidere. Lasciano, nel bene o nel male, segni indelebili, strascichi che ci portiamo dentro tutta la vita. Un ricordo può rimanere doloroso anche dopo decenni, e fare i conti con il proprio passato è una decisione che può costare fatica prendere, ma il prezzo da pagare in caso contrario può essere una vita di rimpianti per gli anni sprecati senza aver fatto nulla per risanare quelle vecchie ferite mai cicatrizate. Queste riflessioni sono alla base dell’esperienza videoludica offerta da Bound, ultima fatica di Plastic Studios, piccola casa di sviluppo polacca nata nell’ambito delle demoscenes (ovvero demo tecniche) che ha precedentemente partorito le esperienze di Linger In Shadows e Datura, ed è stata coadiuvata da Santa Monica Studios nella creazione di questo gioco alquanto particolare.

Inner TurbulenceUna donna incinta cammina a piedi nudi su una spiaggia. In mano regge un diario. Una volta aperto, la scena cambia, e dalla realtà quotidiana siamo catapultati in uno strano mondo composto di tiles color pastello. Qui una giovane principessa è incaricata dalla regina di sconfiggere il mostro che sta minacciando il regno. Se questa cronaca vi lascia spaesati è normale: Bound catapulta il giocatore in una strana realtà e gli fa vivere il mondo di gioco in modo libero, senza condizionamenti dettati da linee di dialogo o informazioni testuali. Le uniche battute sono quelle pronunciate sporadicamente  dagli abitanti di questo strano mondo sottosopra, a noi restituite sotto forme di versi amorfi sottotitolati (una soluzione che richiama alla mente i lavori del Team Ico). Il compito di ricostruire mentalmente gli accadimenti, mettendo insieme le informazioni di volta in volta centellinate nel prosieguo dell’avventura, spetta al giocatore soltanto. Intendiamoci, non si tratta di chissà quale mistero, ma una storia, per quanto fumosa, c’è, e alla fine della partita se ne avrà una percezione grossomodo totale, pur con ampi margini lasciati all’immaginazione personale di ognuno di noi. Senza svelare nulla in proposito, basti dire che la cornice narrativa che si svolge nel mondo degli uomini ha un riflesso, un suo doppio speculare nel mondo surreale all’interno del quale prende vita il gameplay effettivo. La turbolenza interiore della donna si rispecchia nell’instabile e mutevole mondo che andremo effettivamente ad esplorare. Da questo punto di vista, il gioco si configura come un classico platform a livelli, che per essere superati richiedono il completamento di un percorso che va da un punto A a un punto B. Il nostro avatar è la principessa del regno, una giovane aliena dalle fattezze umanoidi e dalle movenze leggiadre. La danza è una componente importante dell’esperienza, in quanto i movimenti della protagonista sono stati ricalcati sulle movenze di una vera ballerina, Maria Udod, coadiuvata dal coreografo Michał Adam Góral. Con un incedere fluido la principessa si muoverà in questi ambienti altrettanto armoniosi e instabili. Il mondo di gioco è sicuramente l’aspetto che più colpisce dell’intera produzione: stilsiticamente si presenta come una costellazione di tessere dalle accese colorazioni pastello (qualcosa che richiama alla mente Journey, ma anche i monocromatismi esasperati di un Mirror’s Edge), le quali si combinano fra loro andando a formare di volta in volta pareti, gradini, piattaforme, ascensori, simulacri di edifici e così via. I livelli appaiono così sospesi, fluttuanti a loro volta in un mondo dove le leggi della gravità non corrispondono alla fisica cui siamo abituati (ad esempio è possibile moversi su sfere percorrendone l’intera superficie senza cadere, o percorrere lunghi corridoi di tessere sottosopra senza temere di precipitare nel vuoto). A dare l’impressione di un mondo plasmato dall’immaginazione concorre l’instabilità delle tessere stesse, che tenderanno a deformarsi leggermente al nostro passaggio e in generale a comporre strutture che non sembrano mai perfettamente solide. Gli sviluppatori citano fra le fonti di ispirazione estetica movimenti artistici quali il Concretismo, il Neoplasticismo e l’esperienza della Bauhaus: gli appassionati d’arte e d’architettura non faticheranno a convalidare queste affermazioni. Il colpo d’occhio è ammirevole, andando a costituire una delle esperienze visive più peculiari degli ultimi anni in ambito videoludico, il che non è poco. In questo contesto, assume un ruolo rilevante la modalità fotografia, che permette di freezare il gioco in qualunque momento per effettuare i nostri scatti personalizzati, non solo adattando una varietà di filtri e correzione dei parametri quali esposizione, sfocatura, contrasto e profondità di campo, ma  anche modificando a piacere il punto di vista; potremo muovere la telecamera come più ci aggrada, in qaunto essa verrà momentaneamente sganciata dal personaggio sottomettendosi al pieno controllo del giocatore. C’è da sperare che questa funzione possa dar vita a una grande proliferazione e condivisione di screenshots da parte dell’utenza, poichè la libertà creativa nella composizione degli scatti è pressochè totale (per inciso, le immagini di accompagnamento a questa recensione sono tutte istantanee scattate dal sottoscritto).

Castello di carte

Tutto molto bello insomma, ma se vi steste ponendo domande quali “ma è divertente da giocare?” o “dà soddisfazione completarlo?”, qui purtroppo casca l’asino, e l’operazione mostra tutte le sue debolezze. Il gameplay di Bound è minato da alcuni difetti di fondo: come detto il gioco si struttura come platform multi-livello. La prima delusione è data dalla risicata quantità dei livelli stessi, 5 più un livello tutorial e dalla loro brevità, che vi porterà a concludere l’avventura in una manciata di ore. (Nota a margine: il tutorial è invero piuttosto lacunoso, con indicazioni dei comandi poco chiare: nella nostra prova, ad esempio, ci è stato indicato come correre, ma non come rotolare, cosa che abbiamo dovuto scoprire da soli. Poco male, dato che i comandi sono davvero basilari, ma non si capisce a questo punto lo scopo del tutorial stesso…)  Il platforming è invero molto elementare, e più che saltare da un posto all’altro e arrampicarsi su qualche fune non ci sarà molto altro da fare. Ciò è scoraggiante anche alla luce del fatto che potevano essere implementate molte soluzioni aggiuntive come dei puzzle ambientali, data la peculiare conformazione dei livelli, oppure si poteva conferire una struttura labirintica agli stessi facendo arrovellare il giocatore su quale fosse il percorso giusto da intraprendere. In breve, si sarebbe potuto creare un minimo di sfida, che purtroppo nel gioco risulta completamente non pervenuta. In effetti il game over non esiste e le uniche morti accidentali che possono capitare corrispondono a cadute dovute a salti sbagliati. In questo caso non incapperemo comunque in alcuna penalità, limitandoci a dover effettuare nuovamente il salto in questione. Altri eventuali tipi di ostacoli o avversari sono affrontabili con semplice pressione di un tasto che, tramite dei nastri da danzatrice, ci fornirà una sorta di scudo temporaneo da nemici che non potrebbero comunque ucciderci, tutt’al più rallentarci. L’unico vero nemico è la gestione della fisica, in particolare dei geodata a volte fallaci che faranno aprire le tiles sotto ai nostri piedi facendoci precipitare nel vuoto anche a seguito di un salto perfetto. Si tratta invero di problemi sporadici che non pregiudicano affatto il completamento del gioco, tuttavia possono indurre un certo disappunto perchè danno idea di scarsa ottimizzazione. Anche i comandi non sono proprio il massimo della responsività, un difetto che si nota vistosamente dato il genere, che dovrebbe prevedere una calibratura perfetta di questi elementi. Per il resto l’avventura scorre fluida e con caricamenti ridotti all’osso, ma una volta completata (può bastarvi un pomeriggio di gioco intensivo) non offre in pratica alcun motivo per essere rigiocata, se non lo sblocco delle prove a tempo in cui tentare di migliorare il proprio record battendo il fantasma del best score. Si sarebbe potuto aggiungere qualche collezionabile, qualche segreto sbloccabile come artworks o simili, invece nulla di tutto ciò è stato implementato, facendo di Bound solo un’esperienza usa e getta.

– Visivamente unico

– Narrativa per immagini

– Genera screenshots stupendi

– brevissimo

– livello di sfida nullo

– lievi problemi di geodata

7.0

Il lavoro dei Plastic Studios riflette su temi profondi in modo originale, con una narrativa silenziosa che incornicia un mondo di gioco dall’estetica unica che è un paicere per gli occhi. Se ci fosse stato un gioco vero e proprio dietro questa bella confezione sarebbe stato meglio. Così com’è Bound è più che altro una piacevole esperienza interattiva: suggestiva, ma ben poco ludica.

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