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Recensione

Bedlam

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Avatar di Specialized

a cura di Specialized

Pubblicato il 01/11/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6.5

Ammettiamo candidamente di non conoscere Christopher Brookmyre e il suo romanzo Bedlam, che si dà il caso sia l’origine di questo FPS old-school approdato da poco su PC tramite Steam (la versione qui recensita), Xbox One e PlayStation 4. Nonostante ciò, immaginiamo che il buon Brookmyre sia un super appassionato di sparatutto in prima persona dei tempi andati, anche perché Bedlam vuole essere proprio una summa di quanto visto nel genere partendo da Doom e Quake, incrociando Call of Duty e terminando con Halo. 
Heather e l’accento impossibile
Insomma, un viaggio nel tempo che inizia con una grafica pixellosa da metà anni ’90 e che, nel proseguo del gioco, propone un comparto visivo sempre più curato. Bedlam però non vuole limitarsi a rappresentare la storia degli FPS, anche se già così si tratterebbe di un’operazione interessante e fuori dagli schemi. Visto infatti che alla base di tutto c’è un romanzo, possiamo contare anche su una trama di discreto interesse, in cui la nostra eroina scozzese Heather Quinn (il suo accento scottish è davvero fantastico) si ritrova da un minuto all’altro all’interno di un mondo videoludico-virtuale, con lo scopo di sconfiggere il signore del male che tiene in scacco questo universo in soggettiva. L’unico difetto che abbiamo riscontrato sul versante narrativo è che i dialoghi e i soliloqui di Heather avvengono sempre mentre si gioca; non capendo quasi nulla a causa dell’accento scozzese strettissimo di questa adorabile nerd, siamo stati costretti a leggere i sottotitoli, ma tra bombe, proiettili, laser ed esplosioni ci siamo persi diversi passaggi scritti proprio perché dovevamo concentrarci sul gioco e non sui testi. Per il resto Brookmyre ha scritto un libro (e un gioco) con chiari intenti parodistici e citazionisti e dobbiamo ammettere che il risultato funziona, proponendo toni sempre esagerati e sopra le righe e una decisa leggerezza di fondo che rende il tutto divertente e nostalgico al punto giusto.
Boss senza anima
Giocare a Bedlam è come tornare indietro di 15-20 anni e non ci riferiamo solo al comparto grafico dei primi livelli. Moltissime armi (ne abbiamo contate almeno 15) e di ogni genere e specie (c’è anche una spada che lancia palle di fuoco), medikit sparsi qua e là, armature e munizioni da raccogliere, niente salute autorigenerante e manca addirittura un comando per ricaricare l’arma. Di mini-mappa nemmeno a parlarne e la bussola in alto è piuttosto imprecisa, cosa che non facilita il raggiungimento degli obiettivi nei livelli più aperti e ampi. Qui tra l’altro sono presenti aree nascoste che forniscono e-mail e documenti per approfondire la trama; nulla di eccezionale, ma se vi siete lasciati prendere dalla narrazione si tratta di un corredo informativo da non sottovalutare, oltreché di un incentivo per esplorare il più possibile le mappe. Per il resto non ci sono upgrade, livelli di esperienza, modifiche da fare ad armi o ad armature, veicoli da guidare o altri elementi ormai tipici degli FPS odierni. Si va essenzialmente da un punto A a un punto B e nei livelli di intermezzo, dove Heather si ritrova catapultata in un mondo virtuale in stile Tron, c’è anche qualche passaggio platform di cui francamente avremmo fatto a meno. Bedlam convince maggiormente nella varietà delle ambientazioni (ce n’è davvero per tutti i gusti), ma molto meno in altri ambi come la longevità (in cinque ore siamo giunti alla fine), i boss anonimi in modo preoccupante (l’ultimo poi è da barzelletta) e la gestione della difficoltà.
Il passato che ritorna
In generale Bedlam non è un FPS impegnativo, ma all’improvviso, avvicinandosi alla fine con il livello in stile Halo, si assiste a un aumento della difficoltà tanto inaspettato quanto senza senso. Non solo i cecchini che ci colpiscono da distanze folli togliendoci una marea di salute, ma anche una sezione al limite dell’impossibile in cui dobbiamo resistere all’attacco di alcuni nemici. Va bene aumentare la difficoltà nei livelli avanzati, ma qui si è decisamente esagerato. Altre volte, come nello stesso livello, Bedlam se ne esce con trovate geniali catapultandoci all’improvviso in un pixelloso shoot ‘em up anni ’80 in stile R-Type, o lanciandoci contro in un altro livello una marea di zombi in stile Left4Dead. Insomma, le idee non mancano e si vede chiaramente come all’origine di tutto ci sia la grande passione di Brookmyre per il genere degli FPS. Peccato però che su tutta l’esperienza aleggi un po’ di “confusione” e di scomodità per chi è abituato agli sparatutto di oggi e, se questa da un lato era proprio l’intenzione dell’autore, dall’altro un simile approccio poteva essere fatto meglio, magari con boss e un finale degni di questo nome, picchi di difficoltà meglio calibrati, una o due ore in più di gioco e livelli meno confusionari. Se però siete ancora legati sentimentalmente agli FPS che furono, Bedlam è un titolo da provare e con cui fare un piacevole e malinconico salto indietro nel tempo.   

– Trama e protagonista funzionano

– Tanta nostalgia

– Molte armi a disposizione

– Varietà dei livelli

– Picchi di difficoltà mal calibrati

– Boss da dimenticare

– La longevità non è il suo forte

6.5

Bedlam è un tuffo nel passato e nella storia degli FPS che farà piacere a molti nostalgici degli anni ’90 (ma ci sono riferimenti anche al decennio precedente). La trama funziona e si vede che alle spalle c’è un romanzo e non una storiella da quattro righe, ma anche la protagonista femminile ha un suo perché e i livelli risultano sufficientemente vari e fedeli alle varie “epoche” degli sparatutto in prima persona che si sono succedute dai tempi di Doom. Purtroppo i difetti non mancano e il voto in alto lo dimostra chiaramente, ma come operazione di omaggio storico a un intero genere videoludico il gioco funziona a dovere.

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