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Recensione

999: 9 Hours, 9 Persons, 9 Doors

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Editor

Pubblicato il 14/03/2011 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8.3

Di tutte le produzioni singolari e sorprendenti che la sterminata ludoteca del DS può vantare, si distingue senza dubbio il genere delle avventure testuali, nel quale si sono distinti numerosi titoli, dalla intera saga di Phoenix Wright all’ottimo Hotel Dusk. Titoli caratterizzati da una corposa componente testuale, apparentemente poco adatti alla fruizione portatile, con dei contenuti che andavano dall’ilare al tremendamente serio: su nessun’altra console si può disporre di questa varietà nel genere, anche perché l’assenza del touch screen, fondamentale per la risoluzione di enigmi contestuali e di puzzle game basati sulla logica, avrebbe fortemente minato la riuscita di eventuali porting. Eppure, pur sfiorando questo genere, il gioco che ci troviamo tra le mani, a partire dal titolo 9 Hours, 9 Persons, 9 Doors, propone qualcosa d’altro, qualcosa cui difficilmente si appiccica un’etichetta sola, qualcosa da provare per poter giudicare.

Chi ha detto SAW?Sebbene dopo aver terminato il nostro primo playthrough ci siamo resi conto di come il paragone regga solamente fino ad un certo punto, è innegabile che l’incipit del gioco si rifaccia ad una delle serie cinematografiche più in voga degli ultimi anni, partita con una serie di buone idee e poi persasi in una trafila di sequel senza troppo significato. Parliamo di Saw L’Enigmista: anche qui il protagonista si risveglierà all’interno di una stanza fredda e inospitale, assolutamente ignaro di dove si trovi, di come ci sia arrivato e di come si faccia ad uscirne. Ad onor del vero, il titolo Chunsoft punta molto di più sulla suspense e sul mistero, rispetto allo splatter che ha caratterizzato la serie vista su grande schermo, ma certo la scoperta di un misterioso individuo incappucciato, che si fa chiamare Zero, autore dei rapimenti attorno a cui verte la trama, nonchè diversi momenti in cui il giocatore si troverà a fronteggiare lo spettro della morte, richiameranno ambientazioni e situazioni non del tutto inedite. Il nostro alter ego si chiama Junpei (nome molto in voga tra gli adolescenti nipponici) ed al risveglio non avrà che tre elementi su cui far vertere le sue riflessioni: un misterioso aggeggio digitale al suo polso, dalle sembianze ma non dalle funzioni di un orologio, sul cui visore appare lo stesso numero che è dipinto sulla porta (sbarrata) che gli impedisce di uscire da quella che ha tutta l’aria di essere una cabina di una vecchia nave. I sospetti diventano certezze quando l’oblò della camera si frantuma, lasciando entrare ettolitri d’acqua e mettendo il giocatore di fronte al primo vero enigma del gioco: se non si trova il modo di uscire dalla stanza utilizzando uno o più dei pochi oggetti con cui è possibile interagire, si finirà con l’annegare: il pathos e la sensazione di pericolo incombente si faranno subito sentire, e il gioco proseguirà su questa falsariga, anche dopo l’incontro con gli altri otto reclusi, inconsapevoli partecipanti di quello che prende il nome di Nonary Game. Come per un bel thriller o un libro appassionante, meno sveliamo della trama e meglio sarà per quanti vorranno cimentarsi con il titolo.

Un libro a due schermiIl riferimento ad altre forme di intrattenimento, come quella cinematografica e soprattutto quella letteraria, è tutt’altro che casuale: 9 Hours, 9 Persons, 9 Doors ha più del romanzo che del videogioco, e questo, come si può intuire, sottintende alcuni lati positivi ed altri meno. Diciamolo subito, a scanso di equivoci: il tempo passato a leggere la notevole mole di testo sarà tre se non quattro volte superiore ai momenti di pura interazione, limitati alla risoluzione di puzzle via pennino ed alla rotazione della telecamera, parzialmente controllabile dall’utente. In assenza di doppiaggio, il gioco va letto come faremmo con un libro digitale, tenendo però presente che lo schermo del DS non è esattamente quello delle piattaforme Apple in quanto a luminosità e definizione, con ripercussioni sul lungo periodo sulla qualità dell’esperienza: ci è capitato, differentemente da un normale titolo (e ne abbiamo giocati a centinaia nel lungo ciclo vitale della macchina Nintendo) di dover fare una pausa per riposare gli occhi, o di accusare una certa stanchezza per sessioni di lettura prolungate. Cosa che, a dire il vero, è uno dei meriti innegabili del gioco: la trama si dispiega in maniera magistrale, alternando possibili soluzioni a repentini stravolgimenti, e ponendo sempre nuovi interrogativi di pari passo con il passare delle ore: il sottile rapporto di fiducia/sfiducia che ci legherà agli altri partecipanti al macabro gioco, la reazione alle loro mosse, le scelte che saremo costretti a fare, tutto concorre a creare un’atmosfera unica, inquietante, magnetica, che ci porterà a divorare i contenuti proposti in poche ore. Nessuna avventura grafica a nostra memoria ha proposto scenari così maturi e avvolgenti, e pensiamo di non sbagliare nel consigliare il gioco più a coloro che amano la lettura che a quanti adorano il nostro medium interattivo preferito.Se il videogioco è concepito solo come rapporto tra uomo e macchina, interazione cognitiva e meccanica, allora il prodotto che Aksys si è premurata di far arrivare in Occidente (per adesso esclusivamente Stati Uniti) con una traduzione impeccabile deluderà quanti dal DS hanno attinto emozioni e divertimento in punta di pennino. Ma se da un gioco si pretende in primis una sceneggiatura curata, una storia che ti avvinghia e ti molla solo a console spenta (e nemmeno, perché gli interrogativi dureranno ben più della batteria della vecchia console della grande N) e un’attività prettamente cerebrale, allora ci siamo imbattuti in un vero capolavoro. Non che gli enigmi e le fasi di controllo diretto della situazione siano realizzati male, beninteso: gli infiniti tranelli di cui la nave è infarcita non ci lasceranno in pace un attimo, ma la sensazione generale è che siano poco più di un pretesto per narrarci una storia di incredibile impatto, classica e moderna allo stesso tempo (non vorremmo sembrasse un’eresia, ma nella nostra mente riecheggiavano echi dell’indimenticabile “Dieci Piccoli Indiani” di Agatha Christie).

Qualità delle illustrazioniGiudicare un buon libro dalla copertina, ci è stato insegnato, è un gesto che lascia il tempo che trova. In questo caso tuttavia, e solo in questo, la cosa non solo è concessa ma addirittura caldeggiata: i disegni in copertina e sul retro della custodia esplicano a sufficienza la perizia posta nel character design, nella qualità delle talking heads e di tutta la grafica statica del titolo, che primeggia per stile e si intona perfettamente con l’atmosfera generale del gioco. Volti emaciati, occhi sbarrati, mani il cui tremolio tradisce il nervosismo e la paura che serpeggiano tra gli sfortunati concorrenti del Nonary Game si accompagnano ad una colonna sonora essenziale, asciutta, angosciante, che, come per tutti i registi che hanno fatto del brivido il loro marchio di fabbrica dal maestro Hitchcock in poi, svolge un ruolo fondamentale per la riuscita generale del prodotto. Il cuore del vecchio leone, inteso come la CPU del DS prossimo alla pensione, non è mai stimolato eccessivamente, e si muove a suo agio in un titolo che fa del comparto tecnico l’ultima delle sue preoccupazioni. La definizione di interactive drama con cui oltreoceano sono stati etichettati i lavori della Cing dai già citati a Last Window, passando per Another Code, crediamo fotografi solo in parte le emozioni che un titolo come questo potrebbe riservarvi e la peculiarità della sua struttura, che fa genere a sé: troppo il testo da digerire, e tutto in inglese, per affiancarlo a titoli come quelli già visti su DS, e contemporaneamente la struttura degli enigmi proposti non è nemmeno lontanamente paragonabile a quelli puramente logici del Professor Layton né a quelli basati sulla ricerca di indizi dell’avvocato Phoenix Wright.Semplicemente provatelo, e capirete di che pasta è fatto.

– Il miglior romanzo che abbiamo letto ultimamente

– Eccellente character design

– Finali multipli

– Accompagnamento sonoro efficace

– Interamente in inglese (per ora)

– Si legge molto di più di quanto non si giochi

8.3

Raramente abbiamo avuto tra le mani un esempio migliore di convergenza tra diversi media: 9 Hours, 9 Persons, 9 Doors è quanto di più vicino ad un romanzo si sia mai visto non solo sui due schermi della portatile Nintendo, ma probabilmente su qualsiasi console da parecchi anni a questa parte. Se si pensa che anche l’attribuzione del genere letterario a cui il romanzo apparterrebbe potrebbe generare dubbi (fantascienza? thriller? horror?), appare chiaro come Chunsoft abbia avuto un grande coraggio a proporre un prodotto così text heavy in Giappone, ed Aksys ancora di più a portarlo all’attenzione del pubblico occidentale, con un palato tanto diverso da quello nipponico.

E nel voto finale intendiamo premiare proprio questo coraggio, sebbene non ci sentiamo di consigliare il gioco a chi non può vantare una perfetta comprensione della lingua inglese, ed a chi non ha comprato il DS per utilizzarlo come un e – book.

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