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Desert Child Recensione | Sfrecciando su Marte

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Cowboy Bepop è più di un anime, è un fenomeno culturale che ha segnato un’intera generazione di ragazzi cresciuti negli anni ‘90 e che, come testimonia il recente interesse di Netflix, è tutt’altro che assopito. L’influenza dell’opera nata dalla mente di Shin’ichirō Watanabe si palesa sin nei primi istanti di Desert Child, un’avventura creata dal solo Oscar Brittain e che racconta la storia di un giovane ragazzo senza nome, non proprio il classico eroe senza macchia e puro di cuore, ma dannatamente bravo alla guida del suo hoverbike, l’unico mezzo a sua disposizione per fuggire da una Terra oramai destinata all’estinzione. Grazie sua pixel art e attraverso una colonna sonora che spazia dall’electro-jazz, all’hip-hop, emerge un futuro non troppo lontano dalle forti tinte metropolitane e noir, le stesse che vibrano proprio in ogni frame dell’anime di Watanabe.

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Non c’è spazio per i sogni di gloria e la realtà è l’unica cosa con cui fare sempre i conti. Senza un vero tutorial e senza troppe spiegazioni, lo scenario si apre su un pianeta senza speranze: la Terra ancora esiste, Desert Child non proietta il giocatore in avanti centinaia di anni, non ci sono astronavi madre e razze aliene che condividono colonie spaziali e l’uomo ha appena messo piede su altri pianeti. Marte sta però diventando un luogo di salvezza sempre più difficile da raggiungere, visto che il governo mondiale sta costantemente alzando i prezzi dei biglietti.

In questo contesto non certo felice si muove anche il protagonista, un giovane di cui non conosciamo il nome e che porta sulle sue spalle tutta la disillusione che aleggia in ogni pixel. Non si sa chi sia quel volto che si aggira su ciò che rimane della Terra, da dove venga e non c’è alcun interesse per il suo background, si sa solo che è lì in quel preciso istante e da lì deve andarsene il prima possibile e l’unico mezzo per farlo è partecipare alle gare di hoverbike, accumulare denaro e acquistare uno dei pochi biglietti rimasti per Marte.

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Interesse verso il nostro pianeta? Rimorsi per quello che abbiamo fatto per finire sul punto di non ritorno? Assolutamente niente. Soprattutto quando si lascia alle spalle il suolo natio e su giunge sul Pianeta Rosso, Desert Child si apre ad una narrativa emergente che dà solo pochi spunti su ciò che accade tra una corsa e l’altra, ma queste semplici pennellate riescono a creare un contesto credibile e affascinante. Dalla bocca del protagonista non esce una singola parola e il racconto è affidato a dei giornali che possono essere acquistati o del tutto ignorati: volete saperne di più della delocalizzazione delle fabbriche su Venere o vi interessano le promesse ovviamente non mantenute sulle politiche green? Date pochi spiccioli allo strillone e avrete tutte le informazioni che vi servono. Non ve ne frega nulla del mondo là fuori e le corse sono tutto ciò che vi serve? Perfetto, potete benissimo farlo.

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Desert Child è un gioco totalmente privo di guida, nessuna istruzione su cosa fare, con chi interagire o come raccogliere le risorse sufficienti per partecipare al Grand Prix che si svolgerà sul nuovo pianeta. La via è scelta dal giocatore, libero di girare in quel contesto urbano che sa molto di periferia di una metropoli nostrana: il futuro secondo Brittain non è fatto da asettici palazzoni di vetro e macchine volanti, né scade nei soliti cliché cyberpunk che tanto vanno di moda ora, ma ha una personalità tutta sua fatta da murales, ragazzi con lo skate, negozi di vinili e mech abbandonati sulla spiaggia e occupati da improvvisati guardaspiaggia.

Fra le strade di questa decadente città sono nascoste numerose opportunità per far fortuna, alcune in modo lecito, altre oltrepassando i limiti della legge e, altre ancora, accontentandosi di quello che passa il convento. Si possono accettare incarichi in quel fatiscente night club e rendersi complici di qualche losco affare facendo il palo, sabotando la concorrenza o, ancora, truccando qualche gara. Per pulirsi la coscienza ci si improvvisa poi cacciatori di taglie, pony express per pizze spaziali – spoiler: sono uguali alle nostre – o mandriani di canguri. Ovviamente non mancano poi le gare più classiche, dove sfrecciare a bordo del proprio bolide in una corsa all’ultimo respiro, utilizzando qualsiasi mezzo. Proprio in queste sezioni appare chiaro il secondo punto di riferimento di Brittain, ossia Akira, non proprio l’ultimo degli anime.

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A fare da corollario a queste attività principali ci sono poi una serie di azione che fungono da legame e arricchiscono ed espandono il gioco anche in una direzione extra-ludica: comprare un nuovo LP dal negozio di dischi ha un reale vantaggio? No, ma rilassarsi per un paio di minuti accompagnati da note elettroniche non fa mai male. Gli upgrade del mezzo hanno invece una ricaduta più concreta, così come aggiustare l’hoverbike quando i danni superano una certa soglia e tenere lo stomaco pieno ingurgitando ciotole di ramen spaziale. Spoiler: anche quello è uguale al nostro.

Che si tratti di consegnare una margherita, di dar la caccia ad un fuorilegge o di arrivare per primi sul traguardo, tutte queste azioni si concretizzano in un modo molto simile, ossia sfrecciando a bordo del proprio hoverbike. Queste sessioni, specialmente le corse vere e proprie, sono un inno alla velocità e all’imediatezza, un concentrato di adrenalina in una manciata scarsa di secondi. In queste fasi Desert Child non è però un semplice racing game a scorrimento orizzontale e le gare non si disputano su dei tracciati reali, ma su strade, praterie e pozze d’acqua irti di ostacoli, dove vale ogni scorrettezza e dove i riflessi vengono messi costantemente alla prova.

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I colpi proibiti non sono un mezzo per raggiungere la vittoria, ma sono proprio l’unico metodo per tagliare per primi il traguardo, tra una derapata, uno scatto fulmineo e una sana scarica di colpi scagliati sulla carrozzeria del nemico. Le “piste” sono anche occupate da ogni bizzarria possibile, come cassette da recuperare, bancarelle dello street food, robot-birilli-poliziotti-lanciafiamme, proiettili aggiuntivi e anche mazzette di dollari che non guastano mai. Queste sezioni sono calibrate alla perfezione e, anche risultando alla fine un po’ sempre uguali a sé stesse a lungo andare, la loro brevità fa sì che non si scada nel tedio. L’unico reale difetto è una difficoltà praticamente assente, anche quando mancano pochi centesimi all’ambito biglietto per il grand prix

Per vedere i titoli di coda di Desert Child servono poco più di sette ore e le azioni in questo lasso di tempo rischiano di diventare una ripetitiva routine. Forse questa sensazione di giornate tutte uguali a sé stesse è anche voluta e facente parte proprio di quel modo di narrare tipico del gioco, che in ogni caso viene costantemente sostenuto da una pixel art di primissimo ordine, dirompente durante le gare, calma e placida quando si passeggia per le fatiscenti vie della città spaziale. Dove Desert Child realmente brilla è nella colonna sonora, un insieme di tracce lofi che spaziano fra più generi che dovrebbe entrare a pieno merito in qualsiasi playlist creata per i vostri dispositivi, meglio ancora se scritte su qualche cassetta. Purtroppo la disposizione della soundtrack non valorizza a pieno la qualità delle canzoni e si sente la mancanza di qualcosa di simile ad un jukebox: eddai, tutto sto anni ‘90 e potevate mettercelo un walkman!

+ Ottima pixel art

+ La soundtrack è un vero valore aggiunto

+ Gare brevi ma intense

+ Un mondo piccolo ma con tanto carisma

- Un po' ripetitivo

- Fin troppo facile

- Non è possibile selezionare le tracce da ascoltare

7.8

Desert Child èuna piacevolissima sorpresa di fine 2018: il titolo non ha certo grandi ambizioni e i 100 mega scarsi di download lo dimostrano. Nonostante le dimensioni limitate e qualche difetto di fabbrica – come una certa ripetitività di fondo e una difficoltà impalpabile – l’opera di Oscar Brittain è un concentrato di riferimenti pop, innanzitutto a quei capolavori che rispondono al nome di Cowboy Bepop e Akira, ma è anche un gioco che nasconde qualcosa di più profondo e che va oltre alle routine quotidiane fatte di consegne, gare e ramen.

Voto Recensione di Desert Child Recensione | Sfrecciando su Marte - Recensione


7.8

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Ottima pixel art

  • La soundtrack è un vero valore aggiunto

  • Gare brevi ma intense

  • Un mondo piccolo ma con tanto carisma

Contro

  • Un po' ripetitivo

  • Fin troppo facile

  • Non è possibile selezionare le tracce da ascoltare

Commento

Desert Child èuna piacevolissima sorpresa di fine 2018: il titolo non ha certo grandi ambizioni e i 100 mega scarsi di download lo dimostrano. Nonostante le dimensioni limitate e qualche difetto di fabbrica - come una certa ripetitività di fondo e una difficoltà impalpabile - l’opera di Oscar Brittain è un concentrato di riferimenti pop, innanzitutto a quei capolavori che rispondono al nome di Cowboy Bepop e Akira, ma è anche un gioco che nasconde qualcosa di più profondo e che va oltre alle routine quotidiane fatte di consegne, gare e ramen.