Death Stranding? O lo ami o lo odi, secondo Kojima

In merito alle stranezze del suo Death Stranding, Hideo Kojima ha le idee molto chiare: è un gioco che si ama o si odia.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Quando, il 1 novembre 2019, abbiamo pubblicato su queste pagine la video recensione di Death Stranding, evidenziammo già da allora un aspetto fondamentale del titolo: sebbene parlasse di unione, sarebbe stato un gioco che, per le sue peculiari meccaniche e il modo unico di essere videogame sebbene si rivolgesse a un ampio pubblico, avrebbe generato divisioni. Lo sottolineammo fin dal titolo della recensione, "bianco o nero", facendo notare che alcuni giocatori lo avrebbero amato, mentre altri lo avrebbero defenestrato senza appello. E così è stato.

In occasione dell'assegnazione del Legend Award ai New York Game Awards, si è espresso sull'argomento anche Hideo Kojima, director del titolo d'esordio dalla sua nuova Kojima Productions. Nel corso di una chiacchierata con Reggie Fils-Aimé, ex presidente di Nintendo of America, Kojima ha descritto il suo Death Stranding affermando a sua volta che è un videogioco che «o si ama o si odia».

Odi et amo

Durante la chiacchierata che celebra la sua premiazione, Kojima ha spiegato:

Credo che si tratti di un videogioco che puoi amare oppure odiare. Abbiamo ricevuto tanto supporto entusiasta dalle persone che lo hanno amato, ed è una cosa che mi rende davvero felice.

Queste divisioni si sono viste anche nelle valutazioni ottenute dal gioco dalla critica specializzata, che seppur tendenti a valutazioni positive (il gioco ha attualmente una media di 82/100 su PS4 e di 86/100 su PC, dove è uscito lo scorso anno), hanno visto un ventaglio di voti estremamente ampio.

Meno bilanciato il discorso relativo alla community, considerando il fenomeno del review bombing che ha investito il gioco più di una volta.

Que sera, sera

Nel corso della stessa intervista, Kojima ha anche discusso di una piccola curiosità relativa a Death Stranding, parlando nuovamente della scomparsa di sua madre, avvenuta prima dell'uscita del gioco. Già in precedenza il game director raccontò del suo lutto e di essere dispiaciuto per non essere riuscito a farle scoprire in tempo la sua nuova opera, considerando che aveva cercato di dirle il meno possibile delle sue novità lavorative, per non farla preoccupare troppo dopo il divorzio da Konami.

Scopriamo così che mamma Kojima aveva giocato Metal Gear Solid 3: Snake Eater, anche se in sei mesi e con qualche aiutino, perché voleva misurarsi con il lavoro svolto da suo figlio.

Il game director racconta:

Mia madre è stata anche una figura paterna per me, oltre che una madre [il padre è scomparso quando lui aveva tredici anni, ndr]. Sono estremamente grato di questa cosa. Ha dovuto affrontare tante difficoltà, ma non lo ha mai dato a vedere. Anzi, di solito canticchiava 'que sera, sera', quel che sarà, sarà. Per questo, quando anche io incontro un ostacolo o mi scontro con un muro, che sia per fare un gioco o nella vita, mi canticchio 'que sera, sera' e continuo ad andare avanti.

In merito a come se la sarebbe cavata sua madre con Death Stranding, Kojima non è troppo ottimista: «probabilmente non sarebbe riuscita a finire Death Stranding, ma penso che avrebbe chiesto a qualcuno di giocarci al suo posto perché avrebbe voluto guardarlo. Sono sicuro che il tema del dover riunire il mondo le sarebbe piaciuto».

In Death Stranding i giocatori vestono i panni di Sam Porter Bridges (Norman Reedus), un corriere che ha sulle spalle l'onere di fornire alle persone beni di prima necessità, mentre queste vivono isolate le une dalle altre, da quando il mondo dei vivi e quello dei morti si sono sovrapposti. Il gameplay è caratterizzato da un multiplayer asincrono in cui un giocatore può vedere comparire risorse e strutture lasciate in aiuto da altri, con la possibilità di sole interazioni positive tra i membri della community.

Per realizzare la sua visione, Kojima Productions ha contato su un cast d'eccezione che contra, tra gli altri, anche su Mads Mikkelsen, Lea Seydoux e Guillermo Del Toro.

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