La Mostra del Cinema di Venezia 2025 ha celebrato il ritorno di un classico senza tempo: Frankenstein di Guillermo del Toro. Tredici minuti di standing ovation hanno accolto il film, consacrandolo come uno degli eventi cinematografici più importanti della stagione. Questa rilettura del capolavoro di Mary Shelley, con le intense interpretazioni di Oscar Isaac e Jacob Elordi, è riuscita a sorprendere per la sua capacità di unire profondità emotiva e riflessione filosofica.
L’isolamento, la creazione e la ricerca dell’identità, temi universali e senza tempo, trovano in questa versione una voce nuova, capace di toccare corde profonde dello spettatore. Del Toro ha definito il suo lavoro non semplicemente un horror, ma un’opera “incredibilmente emozionale”, e presentarlo alla Mostra del Cinema di Venezia ha confermato che l’horror non è mera paura, ma cinema puro, arte da riconoscere e celebrare. In questa cornice prestigiosa, il genere trova la sua legittimazione: non è più un intrattenimento di serie B, ma un linguaggio capace di raccontare l’uomo e i suoi conflitti più intimi.
La Valle dei Sorrisi: il cinema horror italiano
Quest’anno oltre a Frankenstein un altro film horror si è fatto strada a Venezia 82, riuscendo a dare voce ad un cinema horror ancora più bistrattato: quello italiano. Paolo Strippoli con il suo La Valle dei Sorrisi è riuscito a lasciare un’impronta. In un contesto cinematografico italiano dove l'horror è spesso marginalizzato, La Valle dei Sorrisi ha rappresentato un atto coraggioso di rivitalizzazione del genere. Il regista ci ha tenuto a sottolineare come in Italia il genere horror sia ancora guardato con sospetto, quasi inesistente nella nostra produzione nazionale, e il film diventa quindi un gesto politico oltre che artistico: riportare l’orrore nel cuore del nostro cinema, dimostrandone la forza e la duttilità.
Un film che è riuscito ad offrire una riflessione profonda sul dolore, la collettività e l'illusione della felicità, distinguendosi come un esempio di horror italiano raffinato e inquietante. L’evoluzione dell’horror: dal brivido alle emozioni.
Negli ultimi anni, l’horror ha compiuto un viaggio straordinario, trasformandosi da semplice strumento di paura a mezzo di introspezione e riflessione. Da The Witch di Robert Eggers che ha segnato un punto di svolta, dimostrando che il brivido può essere lento, costruito attraverso la tensione, l’atmosfera opprimente e una ricostruzione storica meticolosa, fino al 2018 con Suspiria di Luca Guadagnino che travolse Venezia 75 e che ha dimostrato che l’horror può diventare complessità artistica: danza, occultismo, politica e tensione psicologica sono riusciti ad intrecciarsi in un racconto che va oltre il semplice spavento, trasmettendo emozioni e inquietudini profonde.
Questi film hanno aperto la strada a un genere che si è evoluto raccontando storie di esseri umani alle prese con demoni interiori che spesso finiscono per incarnare le paure universali della società contemporanea. L’horror, così, ha smesso di essere solo un insieme di jumpscare, sangue e maschere terrificanti, per diventare un mezzo di introspezione, un linguaggio capace di esplorare la mente e il cuore dello spettatore.
La Forma dell’Acqua: un traguardo memorabile
Un momento emblematico di questa evoluzione è stato La Forma dell’Acqua (2017). Il protagonista è un mostro, uno dei tanti affascinanti e straordinari mostri firmati da Guillermo del Toro, e il film si è imposto alla Mostra di Venezia vincendo il Leone d’Oro come Miglior Film.
La pellicola ha rappresentato un passo fondamentale per il cinema fantastico e horror, dimostrando che il genere
può raccontare l’essere umano, le sue emozioni e la sua solitudine, con una sensibilità e una poesia capaci di coinvolgere fino in fondo. La pellicola ha ottenuto anche quattro Oscar nel 2018, tra cui Miglior Film e Miglior Regia, confermando che l’horror può raggiungere livelli di riconoscimento e prestigio normalmente riservati ad altri generi. La vittoria de La Forma dell’Acqua non è stata solo un trionfo artistico, ma un segnale chiaro: l’horror può e deve essere considerato arte.
Non è più confinato a una nicchia di appassionati, ma può parlare a un pubblico vasto e universale, affrontando temi profondi attraverso storie che mescolano realismo, fantasia e sentimento.
Oscar e horror: una strada ancora in salita
Eppure, nonostante alcuni successi, il cinema horror continua a scontrarsi con pregiudizi molto radicati. Storicamente, gli Oscar hanno raramente premiato film horror nelle categorie principali. Nonostante il loro impatto culturale e la loro popolarità, capolavori come Hereditary o Midsommar, o più recentemente The Substance, profondi e straordinariamente umani, sono stati ignorati dall’Academy.
Questo dimostra quanto ancora il genere debba lottare per essere preso sul serio. L’horror, da sempre, è stato considerato intrattenimento di massa: effetti speciali spettacolari, killer mascherati, trame prevedibili. Si è sottovalutata la capacità del genere di scavare nell’animo umano, di raccontare storie complesse e universali, di esplorare paure, dilemmi, lutti e ossessioni. Questa sottorappresentazione ha reso il riconoscimento un obiettivo ancora lontano, ma non impossibile, perché il cinema horror dimostra, film dopo film, che può essere uno dei linguaggi più puri e potenti della settima arte.
I miei “mostri” preferiti della Laguna
Nel corso degli anni, molti film horror hanno lasciato una traccia indelebile al Lido di Venezia. Suspiria di Luca Guadagnino è uno di questi: un remake che non si limita a riproporre la storia originale, ma la trasforma in un’opera complessa e stratificata. La scelta di ambientare la vicenda nella Berlino degli anni ’70 conferisce una dimensione storica e sociale, mentre la danza diventa simbolo di potere, repressione e libertà, intrecciandosi con il politico e il soprannaturale. Tilda Swinton, interprete di più ruoli, aggiunge profondità emotiva e intellettuale, trasformando l’opera in una lezione sul cinema horror come veicolo di riflessione e poesia.
Non meno memorabile è REC 2, presentato alla 66ª Mostra nella celebre proiezione di mezzanotte. Il film ha portato innovazione nel genere found footage, mescolando zombie, soprannaturale e religione, lasciando un’impronta duratura nel panorama dell’horror contemporaneo.
E poi c’è il mio preferito: Il Cigno Nero di Darren Aronofsky, che nel 2010 inaugurò la Mostra con una proiezione
accolta da una standing ovation di lunga durata. La pellicola sfida le convenzioni: la danza, simbolo tradizionale di grazia e armonia, diventa metafora della discesa nell’oscurità e del conflitto interiore della protagonista. Qui, l’horror psicologico è riuscito ad elevarsi a forma d’arte, capace di esplorare i recessi più profondi dell’animo umano, dimostrando che il genere non solo può emozionare, ma anche far riflettere sulla condizione umana e sulle fragilità dell’esistenza.
L’horror come specchio dell’anima
Il cinema horror ha una forza unica: racconta l’essere umano attraverso ciò che teme di più, trasformando il tutto in narrazione poetica e universale. È un linguaggio che trasforma il terrore in bellezza, il dolore in emozione, l’oscurità in racconto.
Per questo motivo, l’horror deve continuare a crescere, a farsi spazio tra festival e premi, senza chiedere permesso, ma conquistando il riconoscimento che merita. Deve parlare al pubblico con coraggio, svelando verità nascoste e dando
voce a chi si sente invisibile, ricordandoci che anche nei luoghi più oscuri possono nascere le storie più straordinarie.