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La storia di Pokémon Parte 1: La prima generazione - Speciale

Solo io so che li catturerò...

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a cura di Nicolò Bicego

Redattore

Pubblicato il 25/11/2019 alle 11:56
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Il Verdetto di SpazioGames

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Con questo primo episodio abbiamo brevemente ripercorso la storia della prima generazione Pokémon, partendo dai nipponici Rosso e Verde fino ad arrivare a Giallo, culmine di questo primo capitolo. Sebbene oggi possano apparire scarni, questi titoli ai tempi avevano una portata rivoluzionaria, che li ha portati dritti nel cuore di milioni di giocatori, al punto che ancora oggi non smettono di circolare voci e leggende su questi capisaldi della serie. Ma era solo l'inizio, come ben sappiamo: c'è ancora una lunga storia da raccontare.

A più di due decenni dal loro debutto, i Pokémon continuano a riscuotere un successo incredibile, come testimoniato dalle vendite del recentissimo Pokémon Spada & Scudo. Sebbene la nuova doppietta targata Nintendo non abbia convinto del tutto il nostro Matteo Bussani, abbiamo voluto cogliere l’occasione per esplorare la storia di questo brand. Con questo articolo, dunque, daremo il via ad una retrospettiva che vi riporterà indietro nel tempo, a partire dai primi titoli della serie, Rosso & Blu.

Ogni episodio sarà dedicato ad una coppia di titoli principali; lasceremo da parte i remake, almeno per adesso. Oggi torniamo quindi al 1999, quando ancora la portatile Nintendo prendeva il nome di Game Boy e la grafica in alta definizione era forse un sogno per i più lungimiranti, sostituita da uno schermo a 8-bit.

Il nostro trio è diventato un duo

Ormai lo sanno davvero tutti, ma vogliamo comunque ripetere questa vecchia storia per i lettori più giovani o per chi, magari, si affaccia per la prima volta al mondo Pokémon. Se adesso le uscite sono caratterizzate da un’unica data di lancio per tutto il mondo, le cose erano molto diverse agli albori della serie, soprattutto per quanto riguarda i primi episodi.

I titoli originali in Giappone furono infatti Rosso e Verde, non Rosso e Blu come invece è stato per l’Occidente. Pokémon Blu uscì in Giappone qualche tempo dopo le versioni originali, mentre Pokémon Verde è rimasto inedito sul suolo occidentale (almeno fino all’uscita del remake Verde Foglia, ma questa è un’altra storia). In Giappone, Pokémon Blu uscì inizialmente come prodotto ordinabile solamente via posta nell’Ottobre 1996 (sarebbe uscito anche nei negozi, ma solamente tre anni dopo), includendo alcuni upgrade minori rispetto alle versioni originali. E proprio su questa versione leggermente rivista si basavano gli occidentali Pokémon Rosso e Blu.

Questi tre giochi irruppero sul mercato giapponese ottenendo un immenso successo, che nel giro di qualche anno sarebbe stato bissato nei territori occidentali. Ma cosa c’era alla base di questi titoli? Il director (attuale presidente di Game Freak, lo studio di sviluppo responsabile di Pokémon) Satoshi Tajiri ha raccontato diversi aneddoti relativi alla nascita del brand. Stando alle sue parole, l’idea per la creazione della serie gli venne dalla passione che, fin da bambino, aveva coltivato per il collezionare insetti. Quando Tajiri era piccolo, quest’hobby era particolarmente popolare dov’era cresciuto; da adulto, invece, scoprì che questa sua passione era condivisa da un numero sempre minore di ragazzi, che preferivano stare in casa a giocare. Da qui, gli venne l’idea di proporre un titolo basato sul collezionismo di creature – idea che ebbe un grande impulso con l’uscita di Game Boy, che Tajiri ritenne particolarmente adatto al suo futuro titolo in virtù della portabilità e della presenza del cavo Game Link, che permetteva a due giocatori di connettere le proprie console.

Questa feature sarebbe servita, nei piani di Tajiri, a permettere ai giocatori di scambiarsi le loro creature. Dal collega e maestro Shigeru Miyamoto venne il suggerimento di realizzare più di un titolo, ciascuno con Pokémon esclusivi, in modo da incentivare la comunicazione tra giocatori. E il resto è storia, potremmo dire.

La prima regione non si scorda mai

La prima generazione di Pokémon è probabilmente la più conosciuta da tutti i fan. Da una parte perché, appunto, è stata la prima ed ha segnato una delle epoche d’oro del franchise in termini di successo; dall’altra perché è stata anche quella che ha ricevuto più rivisitazioni, tra cui i due recenti Let’s Go.

A vedere oggi i primi titoli, possono sembrare incredibilmente scarni e legnosi. I Pokémon non avevano ancora tutte le caratteristiche che oggi vengono attentamente valutate per il gaming competitivo, c’erano solo 151 creature disponibili e il gioco aveva ben poco da offrire oltre l’avventura principale.  Ai tempi, però, Rosso e Blu (useremo le versioni nostrane per riferirci alla prima generazione) furono davvero titoli rivoluzionari.

Gli ingredienti di base c’erano tutti: le battaglie, la raccolta delle medaglie, gli scambi, il fattore collezionismo. Senza contare che Kanto, ispirata all’omonima regione giapponese, rimane ancora oggi una delle regioni più amate dell’intera serie. I 151 Pokémon presenti nel titolo, grazie al loro design semplice ma accattivante, conquistarono subito i cuori del mondo intero, grazie anche all’adattamento animato e ai numerosi manga che si susseguirono nel tempo. Probabilmente, chiave del successo fu anche il fattore scambi: tra i giocatori c’era una vera e propria febbre da Pokémon, che spingeva tutti a cercare spasmodicamente le creature mancanti nel proprio Pokédex. L’idea di realizzare più versioni si era rivelata un vero e proprio colpo di genio.

Come se non bastasse, però, Tajiri e compagnia pensarono anche di creare una vera e propria leggenda dietro al Pokémon n° 151. Se infatti oggi sappiamo con certezza l’identità di Mew, all’epoca la presenza di un Pokémon n°151 era praticamente un mito, di cui pochi conoscevano la vera storia. La caccia a Mew fu, con le dovute distanze temporali, un fenomeno planetario che coinvolse tutti i giocatori. Solo con il tempo si venne a sapere che Mew non era ottenibile normalmente nel gioco (anche se molto tempo dopo venne scoperto un glitch che permetteva di ottenerlo). Il perdurare di rumor, di leggende riguardanti vari aspetti del gioco (Missingno, l’isola dei numeri, solo per nominare due dei più famosi) è la testimonianza di quanto celebri i giochi fossero, al punto da avere così tanti fan pronti a sviscerarne ogni singolo anfratto, anche a distanza di anni dall’uscita.

Un Pikachu è per sempre

A chiudere la prima generazione troviamo Pokémon Giallo, l’edizione definitiva dei titoli originali, che è stato anche la base dei recenti remake Let’s Go. In realtà, non c’è molto da aggiungere a quanto già detto: come prima “versione migliorata”, Pokémon Giallo differiva davvero ben poco dai suoi predecessori. Il cambiamento più notevole era la presenza di Pikachu come unico Pokémon selezionabile a inizio avventura. Questo Pikachu, inoltre, seguiva il protagonista per tutta la durata del gioco, muovendosi dietro di lui sulla mappa. Chiaramente, la scelta era stata influenzata dall’anime, che già stava andando in onda in Giappone.

Peraltro, Pikachu era protagonista di un curioso mini-gioco, “Surfing Pikachu”. Per poterci giocare, i giocatori dovevano essere in possesso di un Pikachu in grado di utilizzare la mossa surf. Un paradosso, quasi, che però era realizzabile a patto di avere una copia di Pokémon Stadium. Era infatti necessario trasferire Pikachu da Pokémon Giallo a Stadium, per poi soddisfare certe condizioni e venire quindi ricompensati con la mossa surf. Una cosa da poco, forse, ma possiamo garantirvi che all’epoca la caccia al “surfing Pikachu” era davvero un tormentone per i giocatori.

Con questo primo episodio abbiamo brevemente ripercorso la storia della prima generazione Pokémon, partendo dai nipponici Rosso e Verde fino ad arrivare a Giallo, culmine di questo primo capitolo. Sebbene oggi possano apparire scarni, questi titoli ai tempi avevano una portata rivoluzionaria, che li ha portati dritti nel cuore di milioni di giocatori, al punto che ancora oggi non smettono di circolare voci e leggende su questi capisaldi della serie. Ma era solo l’inizio, come ben sappiamo: c’è ancora una lunga storia da raccontare.

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