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a cura di Phoenix

Pubblicato il 16/04/2014 alle 00:00

Il mondo dei videogiochi è fatto anche di personaggi surreali, essenzialmente distorti, fantasiosi, geniali. Alice, protagonista dell’American McGee’s Alice e di Alice: Madness Returns, è un personaggio di questo tipo, un personaggio che nasce dalla letteratura e arriva nel mondo dei videogiochi fortemente trasfigurato, ma, nel complesso, essenzialmente coerente con se stesso e con quel mondo surreale dal quale è nato.
Il contesto, all’interno del quale viene proiettato il videogiocatore, è fortemente diverso da quello del libro di Lewis Carroll, eppure, al di là della forma, il contenuto riesce ad essere perfettamente lo stesso; un viaggio all’interno di un mondo rovesciato, un’avventura che, liberamente, trasforma la realtà che conosciamo, mettendo in risalto le sue profonde assurdità e le sue più intime, ed essenziali, caratteristiche innate. La nostra protagonista, Alice, può essere definita come una sorta di traghettatrice, che prende per mano il videogiocatore, o il lettore, conducendolo in un viaggio che ha come unico scopo quello di mettere ordine all’interno della “vera” realtà, quella realtà che, in un attimo, scompare, lasciando il videogiocatore ad osservare una sua immagine folle, contorta, psicotica. Un’immagine che, per prima cosa, fa perdere alla nostra protagonista ogni comune concezione di ciò che è, ogni banale consapevolezza del “vero”, ogni sostanziale certezza su ciò che definiamo, in una parola, conoscenza.
La genialità di questo prodotto, di questa versione ludica di Alice, sta proprio nel riuscire a cambiare il contesto generale dell’avventura, riuscendo, nello stesso tempo, a mantenere inalterate le proprietà strutturali di ciò che si cela “al di là dello specchio”: un mondo folle e terribile, preda generale di una psicosi singolare.
Due Mondi stanno per scontrarsi
La prima caratteristica verso la quale il videogiocatore viene catapultato è l’assoluta mancanza di logica, l’impossibilità di poter leggere un mondo con i canonici occhi di colui che davanti a sè ha solo il reale. Così, vestendo i panni di Alice, il videogiocatore è costretto ad una sorta di metamorfosi concettuale, a rintracciare i segni del reale all’interno di un mondo che è tanto paradossale quanto spietato, un mondo impossibile da leggere perchè pieno di assurdità sia logiche che lessicali, un mondo che non poteva rappresentare meglio di così il delirio di una psiche persa in se stessa. Eppure, quella di Alice è una mente che lotta per uscire dalla sua condizione, una mente che ridisegna la realtà per arrivare al cuore della propria follia, e, in questo modo, riuscire a comprendere entrambe; proprio come un quadro surrealista, il mondo creato dalla mente di Alice è talmente illogico da esaltare la logica, talmente privo di senso da esaltare la stranezza di quella che, senza pensare, definiamo realtà, un mondo talmente irreale da essere, a conti fatti, un modo diverso, e a conti fatti estremamente metaforico, di leggere il mondo.
Alice si trova, in questo modo, a combattere all’interno di un universo che essenzialmente è contro di lei, un mondo piegato, modellato e riflesso da quegli occhi meravigliosi, bellissimi, e folli, della stessa Alice.
Innocenza perduta
Il videogiocatore, vestendo i panni di Alice, si trova catapultato in un Paese delle Meraviglie fortemente diverso, gotico, noir. Ed in un simile universo non si poteva non assistere ad un profondo cambiamento della nostra stessa protagonista; Alice, profondamente segnata da un trauma pregresso, ha perso ogni sembianza di quella immaginata da Lewis Carroll. Così, il suo viaggio e il mondo così tristemente onirico spingono la nostra giovane protagonista verso una lotta ancora più significativa. Il Paese delle Meraviglie non è più quel mondo immaginario che serve ad Alice per non perdere la sua fanciullezza, non è più quel velo attraverso il quale una ragazzina cerca di comprendere il Mondo, bensì un vero e proprio muro che ella deve abbattere per riportare un Ordine nella realtà. La lotta di Alice è una lotta contro se stessa, contro quei demoni che abitano il profondo della sua coscienza, una coscienza che ha perso ogni barlume di innocenza, ma che, a conti fatti, si rifugia, ancora una volta, nell’unico mondo che può, inesorabilmente, ricondurla verso se stessa.
Così, il videogiocatore non può non rimanere affascinato da questa singolare rappresentazione di questa eroina, prigioniera della sua follia in un universo che ha perso, irrimediabilmente, ogni senso del “meraviglioso“, minacciata dalle sue stesse paure e da quelle manifestazioni oniriche di una realtà che ha perso ogni connotazione amichevole, e da cui, la nostra protagonista, in fin dei conti, non può scappare.
In questo modo, la differenza tra sogno e realtà si fa via via più sottile e, al tempo stesso, incredibilmente più complessa e più profonda, quasi a testimoniare il fatto che i nostri sogni non sono altro che visioni particolari, e assolutamente singolari, all’interno delle quali il nostro modo diviene, paradossalmente, più chiaro e, in definitiva, molto più di semplice.
Una Follia Meravigliosa
Per il videogiocatore è chiaro, sin da subito, che Alice sta combattendo all’interno della sua mente e della sua coscienza, avvolte e contorte attorno a quell’estremo bisogno di comprendere la propria follia, e il significato di quelle folli maschere che abitano, nervose, questo Paese delle Meraviglie che si fa pian piano sempre più tetro e più cupo. Così, il nemico ultimo che la nostra Alice dovrà fronteggiare sarà, ovviamente, la sua stessa follia, l’impossibilità di ordinare il reale che ancora alberga la sua coscienza, poichè, in fin dei conti, quel grembiule sporco di sangue non è altro che la rappresentazione manifesta di quella psiche frantumata, delirante, lacerata.
Eppure, nonostante tutto, il Paese, all’interno del quale la follia muove, inesorabilmente, le sue pedine, è ancora Meraviglioso, stupendo, ammaliante, pieno di oniriche follie che non possono non riportare alla mente del videogiocatore quelle filastrocche senza senso e quei personaggi meravigliosamente folli nati dalla straordinaria immaginazione di Carroll. Una realtà onirica all’interno della quale Alice trova se stessa e il giusto senso del reale, un mondo attraverso cui la nostra piccola protagonista ritrova pian piano la giusta consapevolezza del proprio essere e della propria essenza, perchè solo guardando dritto negli occhi la propria follia si scopre, imprescindibilmente, il vero significato del reale. Solo attraversando lo specchio Alice poteva osservare la realtà per ciò che è, gridando, ai nemici del suo sogno, “non siete nient’altro che un mazzo di carte”.

A conti fatti, lo scontro tra realtà e follia non è un tema molto facile da trattare. Questi due concetti rimandano a due sensazioni, a visioni diverse delle stesse cose, visioni che, a volte, finiscono per interscambiarsi, rendendo ancora più difficile scorgere il sottile confine che le separa.

Pertanto, non posso non sottolineare il semplice fatto che American McGee’s Alice e Alice: Madness Returns sono due viaggi all’interno di una stupenda follia; due viaggi estremamente brillanti, cupi, gotici e contorti, ma non per questo, in definitiva, meno reali, o, se volete, meno veri.

“Genio e Follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri.” (A. Schopenhauer)

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