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Dishonored 2

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Avatar di Gottlieb

a cura di Gottlieb

Pubblicato il 04/10/2016 alle 00:00
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Doveva essere l’erede spirituale di Thief, ma ha permesso di riscoprire alcune delle metodologie artistiche di Bioshock 2, fino a farci ritrovare tra le mani uno sparatutto in prima persona che già con The Crossing avrebbe potuto, qualche anno prima, vedere la luce: alla fine Dishonored, quand’è arrivato sul mercato nel 2012 con il suo stile dieselpunk e dark fantasy, ha conquistato il mercato videoludico con la sua unicità, unendo la visuale in soggettiva allo stealth, offrendo meccaniche di gameplay diversificate e concedendo al videogiocatore la scelta finale su come comportarsi e come agire negli intricati labirinti proposti. Il sequel, che ha già avuto modo di mostrarsi adeguatamente in questi ultimi mesi, non vuole essere da meno e confermando la formula vincente ha cercato di innovarsi là dove possibile. Per mettere nuovamente le mani su Dishonored 2, siamo quindi volati a Londra negli studi di Bethesda, a ridosso di Piccadilly Circus, accompagnati dall’uggioso cielo londinese pronto a minacciare pioggia, come d’altronde lo stesso Corvo, stavolta accompagnato dalla figlia dell’imperatrice, Emily, che si appresta ad aggredire il mercato videoludico. 

L’eredità di SokolovNon avendo potuto giocare il prologo e ritrovandoci immediatamente nel capitolo quattro, non conosciamo esattamente il movente che sta spingendo Corvo – e di conseguenza anche Emily – a perseguire l’ossessionata necessità di assassinare Kirin Jindosh: Gran Inventore del Duca di Serkonos e creatore dei Soldati Orologio, Jindosh è un ex allievo del filosofo Anton Sokolov. Volto longilineo, tratti che avrebbero lasciato ben poca fantasia a Lombroso, occhi accigliati e fronte spaziosa, tendente all’infinità del suo ego. Egocentrico, ma non egotico, Jindosh brama la visita di Corvo e di Emily, per sfidarli a trovare la strada che conduce fino al suo laboratorio, dove si nasconde, accerchiato da robot e da enigmi che egli solo potrebbe, a detta sua, risolvere: irraggiungibile, intoccabile, si bea nel suo nascondiglio e nei suoi corridoi, popolati da servitù e da guardie, ma anche da una stanza segreta nella quale è nascosto, dopo averlo rapito, il suo ex insegnante: proprio Anton Sokolov. Capo dell’Accademia di Filosofia Naturale e Medico Regio dell’Imperatrice Jessamine Kaldwin e successivamente del Lod Reggente Hiram Burrows, Sokolov è il noto creatore dell’Elisir che porta il suo stesso nome, un immigrato di Tyvia, in precedenza pittore e scultore per l’aristocrazia di Dunwall: adesso, però, giace stordito su un giaciglio di fortuna, in una delle segrete di Jindosh, con i suoi quadri dall’inestimabile valore, una tinozza e delle assi di legno a difesa di quelle che potrebbero essere le sue vie di fuga. Inerme attende la sua fine, disperato e desideroso di poter ritrovare la strada per l’esterno, magari per un’ultima goccia di King Street Brandy, il liquore con l’olio di balena di cui è tanto bramoso. Nei panni sia di Corvo che di Emily saremo chiamati al doppio compito, nell’arco della quarta missione, di uccidere Jindosh e di salvare Sokolov: se quest’ultimo obiettivo è univoco e richiede semplicemente un’unica soluzione, sul primo possiamo già iniziare a stabilire quale indirizzo prenderanno le nostre azioni, se caotiche o se pacifiche. Quando sarà il momento di stendere il padrone di casa, infatti, potremo sia ucciderlo in maniera molto barbara, oppure decidere di farlo sedere su quella sedia dell’interrogatorio che aveva progettato proprio Sokolov, le cui scariche elettriche stordiranno l’antagonista e lo renderanno inerme proprio come lui aveva fatto con il suo insegnante. Sono diverse le scelte che durante il nostro percorso abbiamo potuto prendere e decidere di compiere, ma non abbiamo avuto la possibilità, fin dove siamo arrivati, di capire realmente l’evoluzione del nostro percorso e la resa narrativa e stilistica della nostra inclinazione. Abbiamo, pertanto, deciso di seguire una linea molto pacifica con Emily e molto più aggressiva con Corvo, che nel momento del bisogno ha saputo piantare una freccia nella testa di Jindosh. Uomo fastidioso, assillante e perennemente accompagnato da linee di dialogo che sbeffeggiavano i nostri protagonisti, Kirin arriva alla sconfitta dopo una sessione che ci permette di affondare i piedi in una narrazione non scontata e che incalza, soprattutto nel proporre dei dialoghi, spinosi e piacevoli da tenere come accompagnamento al nostro incedere: una colonna sonora fatta di parole armoniose che sembrano quasi richiamare le atomiche sentenze di Andrew Ryan. 

Il potere della figliaChiaramente nel gameplay di Dishonored 2 starà a noi decidere se ricercare la linea più pacifica rispetto a quella aggressiva, da veri assassini, abbracciandone tutte le conseguenze stilistiche: lo stealth, d’altronde, richiede grande cura per l’ambiente e per la struttura che ci circonda, così come nella risoluzione di eventuali enigmi ambientali. Avendo avuto a nostra disposizione due ore piene, abbiamo avuto modo anche di testare le macrodifferenze tra i due protagonisti e i loro due diversi approcci, scelti da noi e non imposti: perché, ribadiamo, la scelta sta a noi. 

Con Corvo, caotico e intenzionato a concludere la propria missione in pochi minuti, siamo riusciti, seminando il panico e assassinando Jindosh con un tiro preciso da una posizione sì distante ma molto favorita, a concludere in una ventina di minuti ciò che Emily aveva fatto in un’ora abbondante. Il piacere di scoprire gli inediti poteri della ragazza, a discapito di quelli già noti di Corvo, hanno indubbiamente avuto la meglio, a partire dalla tanto chiacchierata Shadow Walk. Stilisticamente pregevole e davvero affascinante da utilizzare, la possibilità di diventare un’ombra incapace di rimanere eretta e quindi costretta a strisciare, dà al videogiocatore, ospitato nel mondo di Dishonored con una soggettiva perenne, una visione diversa del mondo che lo circonda: approcciare un avversario alle spalle, strisciando con un ritmo incessante, ci condurrà alla canonica scelta dello stordimento o dell’assassinio, che già ci dà un’idea di come dovremo necessariamente inclinarci quando sarà il momento del giudizio. La confessione che vi facciamo è che l’uccisione, durante la Shadow Walk, è sicuramente più ispirata stilisticamente, mentre lo stordimento, per quanto più politicamente corretto, non dona la stessa soddisfazione di vedere una guardia sollevata in cielo e poi annichilita dal silenzio delle ombre. Le fasi stealth, in ogni caso, si lasciano apprezzare anche senza i poteri dei due protagonisti, concedendoci la possibilità di accovacciarci e cogliere da tergo le guardie che intralciano il nostro cammino: con esse anche i civili potranno cadere sotto il nostro volere, ma starà sempre alle nostre reali intenzioni decidere se annientare la servitù o se lasciare che possano scappare ad avvisare, magari, altre guardie della presenza di un intruso. Con Emily, insomma, era abbastanza scontato che avremmo trovato più soddisfazione, apprezzando in ogni sua sfaccettatura le novità che vengono proposte nel sequel di Dishonored: per quanto riguarda Corvo, invece, pur apprezzando la possibilità di tornare nei suoi panni a distanza di quattro anni dalla sua prima apparizione, il senso di deja vù è abbastanza forte, pur essendo i suoi poteri anche magnificamente funzionanti. Dal teletrasporto fino anche alla possibilità di rallentare il tempo, tutto funziona in maniera adeguata e piacevole, concedendoci un vantaggio sul campo di battaglia che presta il fianco a quella spettacolarità che è figlia dello stile artistico di Arkane Studios, già adeguatamente apprezzati con Bioshock 2, per il quale affiancarono 2K Marine. 

DedaloNell’intricata Villa Meccanica del Grande Inventore, lo scenario propostoci nella nostra prova, la produzione di Arkane Studios si è rivelata in tutto il suo stile unico. Gran parte delle stanze avevano ben altro da mostrare rispetto a quello che potevamo vedere in superficie, come una conchiglia chiamata a mostrare la propria perla, gelosamente tenuta all’interno. Non sempre, però, questo soverchiare i pavimenti e le mura si rivelerà l’azione giusta da compiere: ci è capitato anche di farci sorprendere, in maniera abbastanza ingenua, da torrette nemiche apposte là dove non era necessario ruotare la struttura labirintica governata da Jindosh. Ogni pavimento, ogni mattonella, in Dishonored 2 conserva un enigma che va risolto e che può stravolgere la struttura creata: quando dovrete liberare Sokolov sarà necessario ragionare attentamente su ogni vostra mossa, su ogni parete che muoverete e che sposterete, così come dovrete agire con criterio ogni volta che sentirete la necessità di sovvertire l’ordine naturale dell’architettura delle stanze di Jindosh, alla ricerca di passaggi segreti e di letti semoventi. Se gli interni si lasciano apprezzare, non da meno sono gli esterni, che abbiamo adocchiato e visitato in maniera rapida, a mo’ di toccata e fuga, per renderci conto dell’ecosistema che ci circondava. 

C’è da dire, d’altronde, che metterci dinanzi a una struttura molto chiusa per due intere ore non ci ha permesso di dare libero sfogo all’esplorazione, pur apprezzando la possibilità di tentare diverse soluzioni nel battle system. Resta ancora tanto da esplorare e l’esaltazione fornitaci dalla Villa Meccanica potrebbe non sposarsi adeguatamente col resto della produzione, che difficilmente, a nostro modo di vedere, potrà mantenere questo leitmotiv per l’intera durata della nostra avventura. Chiaramente questo assaggio, però, ci ha permesso di cedere al divertimento di Dishonored 2 e rimanerne piacevolmente colpiti.

– La presenza di Emily diversifica il gameplay

– Ambienti dinamici

– Diverse possibilità per portare a termine le missioni

Stilisticamente radioso e unico, Dishonored 2 rappresenta un sequel di fattura piacevole e di divertimento assicurato: sebbene la facilità nel combattimento sia palese, ma quasi sicuramente figlia di un depotenziamento da beta, e, di contro, le nostre capacità siano ben oltre la media, la nostra visita alla Villa Meccanica ci ha permesso di cogliere le numerose possibilità che il titolo ci offre. Concludere in maniera diversa le missioni, approcciare personaggi dallo stile caratteriale variopinto, districarci tra poteri e corridoi, scovare stanze segrete e lanciarci in spettacolari combattimenti, che siano essi stealth o molto più rapidi e indolori per il tempo che incede, ci ha indubbiamente divertiti. L’aggiunta di Emily, poi, evita anche la sensazione di “more of the same”, che resta, a oggi, il dubbio più grande che affligge le nostre aspettative per Dishonored 2.

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