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Anteprima

Adr1ft

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Avatar di Marzo

a cura di Marzo

Pubblicato il 29/04/2016 alle 00:00
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Adr1ft è una grande metafora: il walking simulator a tema spaziale non è altro che la seconda veste di un racconto reale cominciato nel lontano 2013, quando Adam Orth, creative director di Microsoft, si infilò in un pasticcio più grande di lui. All’epoca circolavano numerose voci sulla nuova ammiraglia Xbox, da lì a breve sarebbe avvenuta la presentazione ufficiale e tutto il mondo aspettava famelico qualsiasi fuga di notizie riguardanti l’ultima nata in casa Microsoft. In questo clima d’attesa Orth alzò uno dei polveroni mediatici più grandi che il mondo videoludico ricordi: scrisse infatti un tweet dissacrante in cui, con l’ormai leggendario hashtag #dealwithit, raccontò al mondo come esso si sarebbe dovuto adeguare ai sistemi always online, considerando il dramma della connessione obbligatoria come un non problema. La rete non fece altro che il proprio compito e si scagliò con vigore sulla posizione espressa dal dipendente verdecrociato, “costringendo” Microsoft al licenziamento e scatenando una vera e propria “shitstorm” sulla multinazionale americana. Adam Orth divenne il nemico numero uno delle più grandi community videoludiche online, cacciato e indicato come capro espiatorio dall’azienda dove lui stesso aveva lavorato per molti anni ricoprendo diversi incarichi d’alto profilo. Un terremoto di proporzioni epocali aveva demolito i punti fermi della sua vita e l’unico modo per tornare a vivere era ricominciare da zero: nacque allora l’idea di fondare uno studio indipendente insieme agli amici di una vita. Il nome scelto per la software house fu Three One Zero e la direzione presa da Adam Orth e il suo team fu chiaramente focalizzata sullo sviluppo di videogiochi che poggiassero le proprie fondamenta sull’utilizzo della nascente realtà virtuale. Una scommessa importante che si è conclusa qualche settimana fa con il rilascio di Adr1ft su PC, walking simulator con meccaniche survival che racconta la traumatizzante esperienza vissuta nel 2013 dal proprio creatore attraverso una metafora a tema spaziale. Giustamente criticato dalla stampa specializzata per alcuni difetti che minano l’esperienza di gioco, il titolo non ha ancora calato il poker d’assi insieme al suo compagno naturale Oculus Rift: l’abbiamo provato per voi negli studi di Halifax Italia, calcando sulla testa uno dei pochissimi esemplari retail che entro pochi mesi popoleranno il mercato consumer.

Nessuno, lassù, può sentirti urlarePer chi ancora non conoscesse Adr1ft consigliamo di leggere la recensione del nostro caro Specialized, perché in sede d’anteprima vogliamo soffermarci sull’esperienza virtuale offerta da Oculus con l’opera prima di Three One Zero. Una volta calcato il visore – che risulta inaspettatamente leggero e piacevole al tatto – veniamo catapultati in un complesso d’addestramento per astronauti a Santa Monica, in California, dove la nostra eroina Alex Oshima sta effettuando un test di routine prima di essere lanciata in orbita verso la stazione spaziale orbitante. Chiusi in una poliedro sfaccettato, composto interamente da vetro e metallo, dovremo farci strada all’interno della gravità zero, imparando a utilizzare i comandi dedicati al movimento per raccogliere alcuni oggetti posti all’interno della capsula. L’effetto iniziale colpisce come pugno nello stomaco, la sensazione di galleggiare nel vuoto è fortissima e il nostro corpo si agita internamente, con talamo e cervelletto che emettono informazioni contrastanti. La tua mente è laggiù, chiusa in un’ingombrante tuta bianca, mentre il tuo corpo giace seduto su un comodo schienale di pelle: Adr1ft non risparmia il corpo del giocatore, lo maltratta e lo scuote dall’interno, lo strappa dalla quotidianità per catapultarlo in un contesto estraneo e totalmente nuovo. Questa la forza di un titolo che, preso singolarmente, lascia spazio a molti dubbi; ma in un connubio con Oculus esalta al massimo grado i suoi pregi proponendo ambienti visivamente ben realizzati e situazioni al limite della sopravvivenza. Viaggiare nello spazio profondo dopo il misterioso evento catastrofico che ha distrutto la stazione spaziale orbitante regala sensazioni del tutto nuove, difficili da raccontare attraverso una semplice anteprima. Viene da chiedersi se le recensioni per i prossimi titoli dedicati alla realtà virtuale dovrebbero seguire il classico canone vigente ormai da trent’anni, se dopo il primo impatto assolutamente stupefacente ci si possa facilmente abituare alla realtà virtuale alla stregua di un lancio di un nuovo joypad. Il visore Oculus sulla nostra testa cambia totalmente il paradigma con il quale usufruiamo di un titolo: siamo sicuri che in seguito potrà nascere una fetta d’utenza la cui sospensione d’incredulità scomparirà velocemente in favore di una percezione maggiore nei confronti dell’ambiente in cui il fruitore realmente si trova, ma i tempi sono ancora lontani e per ora nostro dovere è lasciarci stupire da questa tecnologia sulla quale, francamente, ero inizialmente scettico. Se da un lato Adr1ft cambia volto calcando il visore Oculus Rift sul proprio capo, dall’altro la sostanza dello stesso non cambia d’una virgola: il titolo è sicuramente pensato per l’integrazione con la realtà virtuale e il connubio tra i due porta sicuramente a un coinvolgimento maggiore, ma il gioco di Three One Zero Studios rimane perlopiù discreto, dalla narrazione frammentata e dal gameplay ripetitivo con un elemento survival forzoso che potrebbe alla lunga stancare.

Mamma, ho mal di mareAdr1ft con Oculus Rift è un titolo che lascia il segno sia a livello esperienziale che fisico: il continuo roteare a testa in giù nello stato di gravità zero – ad esempio – punisce il giocatore non solo a livello di meccaniche ludiche, con il thruster pack che consuma notevoli quantità di ossigeno, ma anche dal punto di vista corporeo. Il senso di nausea è davvero forte anche per chi, come me, credeva inizialmente di non soffrire dell’ormai noto “motion sickness”, costringendomi a riprendere fiato e a sciacquarmi la faccia dopo soli quindici minuti di gioco. Purtroppo sono riuscito a proseguire solo per pochi minuti prima di finire nuovamente K.O., vittima di uno stomaco sottosopra e di una testa che non voleva smettere di girare. Nonostante queste problematiche che hanno afflitto la mia sessione di gioco devo ammettere che l’esperienza complessiva mi ha segnato, stupendomi in positivo per l’incredibile capacità di Oculus nel coinvolgere il giocatore con un titolo che – come detto precedentemente in sede d’anteprima – non avrebbe avuto la capacità di mantenere alta la tensione e l’interesse senza un visore di realtà virtuale a supporto. Il senso d’immersione nell’ambiente è totale, mentre la visuale interna al casco crea un senso di claustrofobia e di urgenza causato principalmente dai numerosi danni presenti sulla tuta d’astronauta. Per osservare meglio l’HUD e tutte le indicazioni utili è necessario muovere la propria testa, mentre a livello corporeo diviene fondamentale l’utilizzo dei thruster pack al fine di stabilizzarsi nell’onnipresente stato di gravità zero, pena un fortissimo senso di nausea nel mondo reale. Durante la mia prova ad ogni azione compiuta nel mondo virtuale corrispondeva una reazione uguale e contraria all’interno del mio debole fisico: per questo motivo vorrei consegnarvi un ultimo avviso prima di salutarvi. Raccomando a voi lettori di informarsi delle proprie reazioni corporee in queste situazioni al limite e di compiere un test con un visore per la realtà virtuale – che sia di un proprio amico o a una fiera specializzata – prima di avventurarsi nell’acquisto di un Oculus Rift (che, come sappiamo, non costa due scellini e mezzo).

– Un totale senso d’immersione

– Con Oculus Rift il titolo assume una marcia in più

– Un titolo capace di trasmettere le sensazioni vissute dal proprio creatore

Adr1ft è un’esperienza capace di mettere a dura prova corpo e mente, non consigliata a chiunque e per chi, come me, soffre di motion sickness: il senso di immersione nel mondo di gioco è totale e l’impatto visivo eccezionale aiuta il giocatore a immedesimarsi nei panni della sfortunata eroina Alex Oshima. Le carte in tavola sono cambiate rispetto alla versione “liscia” e il coinvolgimento provato con Oculus Rift all’interno delle sezioni proposte dal titolo è risultato di gran lunga maggiore: dal canto mio ho provato le stesse sensazioni che Adam Orth ha vissuto anni fa durante il terremoto personale che ha scosso la sua vita. Forse è questo che più mi ha stupito di questa prova e delle novità che il visore porta in grembo: mi ha meravigliato la capacità della realtà virtuale di sferzare corpo e mente del giocatore, consegnando con vigore il messaggio che gli sviluppatori hanno voluto donarci.

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