Amy Hennig: oggi un gioco come Uncharted non sarebbe più possibile

L'autrice originale della serie Uncharted non le manda a dire sui cambiamenti dei videogiochi

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

È una Amy Hennig più cristallina che mai, quella che i colleghi del sito Venture Beat hanno avuto la possibilità di intervistare. Dopo aver parlato di cosa è andato storto con Star WarsVisceral Games, l’autrice originale della serie Uncharted non si è risparmiata, nella sua analisi dei grandi cambiamenti vissuti di recente dall’industria.

Secondo l’autrice, infatti, un gioco come il capostipite della serie di Nathan Drake sarebbe impossibile da proporre oggi – non solo al pubblico, ma ad un publisher stesso. Il discorso si lega, ovviamente, anche al fatto che il suo Star Wars non fosse stato pensato come un gioco come servizio, un’idea che è andata a stridere con le aspettative e il modello di monetizzazione di Electronic Arts.

uncharted nathan drake

Come spiegato da Hennig:

Non penso che videogiochi come il primo Uncharted, sebbene sia stato la pietra angolare e abbia dato l’impronta all’intera seria, siano più possibili da proporre. L’idea di un’esperienza finita, di otto ore, che non aveva modalità secondarie né online – l’unica rigiocabilità era data dal fatto di poter sbloccare dei trucchi, cose di questo tipo. Non c’era multiplayer, non c’era niente. Questa è un’idea che non prende più il volo.

La director ha spiegato più nel dettaglio:

Oggi quando progetti un videogioco devi avere tante ore di gameplay, otto ore non sarebbero mai sufficienti. Inoltre, di solito devi avere una modalità online. E ovviamente vedete anche voi in che direzione ci si sta muovendo, verso i servizi live, i battle royale e i videogiochi come servizio persistente.

amy hennig

Ovviamente, la natura persistente di questi giochi rende difficile uno storytelling come nei vecchi che abbiamo vissuto, come spiegato da Hennig stessa:

È un modello di videogioco che si lega meno bene a una storia da raccontare. Sono giochi che consentono meno di prendere per mano una storia, di dare spazio allo storytelling tradizionale. Quest’ultimo ha una sua forma, ha un arco, una destinazione, un epilogo. Un gioco come servizio, che è persistente e pertanto continua, non ha questa struttura.

Come valutate le considerazioni di Amy Hennig, che a breve sarà anche insignita di un nuovo premio alla carriera? Siete preoccupati dalla direzione dei giochi, che stanno cercando nuovi modi – sicuramente diversi – di fare spazio allo storytelling?