Recensione

Splinter Cell: Blacklist

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a cura di LoreSka

Bentornato Sam. Ti stavamo aspettando. E, in tutta sincerità, ci eravamo un po’ stufati di quell’indole action che avevi sviluppato negli ultimi due o tre giochi. Perché Splinter Cell è una di quelle serie che ha subito nel corso degli anni l’inesorabile processo di casualizzazione, che ha portato alcuni dei più grandi franchise a trasformarsi in giochi certamente più aperti al pubblico di massa, ma al contempo meno fedeli al concept originale.
Eppure, lo sviluppatore di Splinter Cell: Blacklist è, almeno in parte, Ubisoft Montreal, lo stesso di quel Conviction che è stato spesso accusato di un’eccessiva tendenza all’azione. Ma, a differenza di tanti altri studi di sviluppo, Ubisoft Montreal e Ubisoft Toronto hanno saputo ascoltare il proprio pubblico, creando un prodotto che mantiene le giuste distanze dagli estremismi di un gioco di nicchia e dal cotonato mondo dei giochi di massa.
Oh mamma, i terroristi!
Le serie di Tom Clancy sono note per quel mix di fantapolitica e azione sempre al passo coi tempi. I romanzi di questo prolifico scrittore statunitense hanno da sempre posto al centro della loro attenzione le dinamiche sottese ai governi di tutto il mondo, trattando spesso di tecnologia, spionaggio e, naturalmente, di terrorismo.
In Blacklist la minaccia terroristica è il fulcro della vicenda. Un gruppo organizzatissimo che si fa chiamare Gli Ingegneri ha dato un ultimatum all’America: gli Stati Uniti devono ritirare le proprie truppe all’estero o subiranno un attacco ogni sette giorni. La trama si snoda a partire da un antefatto, il primo attacco degli Ingegneri presso la base statunitense sull’isola di Guam. Sam viene coinvolto in un’esplosione mentre è in elicottero, ma riesce a fuggire illeso, mentre lo stesso non si può dire di Victor Coste, ferito gravemente.
Per rispondere alla minaccia, il Presidente degli Stati Uniti smantella l’organizzazione segreta Third Echelon, creando un nuovo gruppo antiterroristico chiamato Fourth Echelon con a capo il vecchio Sam. Si tratta della prima novità di questo nuovo capitolo della saga, in quanto Sam Fisher si ritrova per la prima volta a coprire il ruolo del capo. Contrariamente alle nostre speranze, questa caratteristica non ha vere e proprie ripercussioni sul gameplay. Ad eccezione delle missioni principali, il giocatore può scegliere quale missione effettuare e in che ordine, ma non vi è una vera libertà sull’organizzazione degli interventi. Ad un tratto il gioco sembra essere sul punto di concederci di scegliere se effettuare la missione richiesta dal governo o seguire l’istinto di Sam, ma alla fine non si presenta alcuna possibilità di scelta e siamo costretti a svolgere la missione decisa dal nostro alter ego.
In ogni caso, la trama principale è chiarissima e non si perde in inutili e tediosi giri di parole per descrivere situazioni abbastanza semplici. Per quanto non vi sia nulla di originale nel racconto, è bello poter seguire il susseguirsi dei fatti senza doversi concentrare troppo.
E buio fu
Le prime sequenze di Splinter Cell: Blacklist sull’isola di Guam ci danno subito un’idea di quanto questo gioco si sia mosso nella direzione giusta. E la “direzione giusta” è una strada molto buia, in quanto l’oscurità – vero marchio di fabbrica della serie – è finalmente tornata. Ciò non significa che tutte le missioni si svolgano nel buio più totale, tanto che le prime due missioni dopo il prologo contengono quasi esclusivamente mappe alla luce del sole. Tuttavia, a causa dell’avvolgente oscurità della scena, è stato davvero piacevole ritrovarsi ad alzare la luminosità del gioco nelle impostazioni. Gli sviluppatori hanno regolato la luce del gioco su toni naturalmente scuri, che rendono alcuni momenti nell’ombra davvero emozionanti. 
Già nel corso della terza missione ritroviamo una delle meccaniche più amate del gioco, che ci richiede di muoverci con passo felpato fra le ombre e di creare il buio laddove non è naturalmente presente. Preparatevi a sparare alle lampadine e a girare gli interruttori, come ai vecchi tempi: non c’è nulla di più soddisfacente di vedere una guardia intenta ad indagare nel buio mentre noi la aggiriamo alle spalle, senza che questa si sia accorta della nostra presenza.
Fantasma, Panther, Assalto
Splinter Cell: Blacklist, come detto, non è totalmente un ritorno alle origini, in quanto introduce alcuni elementi di adattabilità ai diversi palati dei giocatori. Nello specifico, gli sviluppatori hanno introdotto tre possibili metodologie di gioco, che rispondono al nome di Fantasma, Panther e Assalto.
Lo stile Fantasma è quello che i fan storici della serie chiedono a gran voce da parecchio tempo. Si tratta di uno stile di gioco che richiede di aggirare i nemici piuttosto che affrontarli. Il giocatore deve penetrare oltre le linee nemiche, nascondersi nell’ombra, utilizzare i numerosi percorsi alternativi offerti dal gioco e completare la missione senza fare scattare un singolo allarme.
Lo stile Panther, invece, incarna quello dell’assassino silenzioso. I nemici, in questo caso, vengono affrontati, ma si mette fine alla loro esistenza prima ancora che questi si accorgano di essere stati attaccati. A supporto di tale stile di gioco fa ritorno il controverso Tag and Kill, che come in Conviction richiede di accumulare takedown silenziosi prima di poter essere utilizzato. Si tratta di una meccanica che, indubbiamente, fa storcere il naso ai puristi ma che non sembra rendere il gioco troppo facile, in quanto il suo uso è fortemente limitato.
Infine, è possibile approcciarsi al gioco con uno stile d’Assalto che, almeno sulla carta, dovrebbe trasformare Splinter Cell: Blacklist in un third person shooter con sistema di copertura. In realtà, Ubisoft ha pensato bene di complicare questo stile di gioco aumentando in maniera considerevole il numero di nemici ad ogni allarme scattato, e bastano appena due o tre colpi per finire a terra. Di conseguenza, chi pensa di farla franca entrando in campo ad armi spianate potrebbe trovare qualche spiacevole sorpresa.
Il gioco non ci chiede di scegliere il modo in cui vogliamo giocare: siamo noi a decidere come affrontare ogni situazione. Alla fine del livello viene riassunto il punteggio, suddiviso nelle tre componenti Fantasma, Panther e Assalto. In questo modo si può comprendere con un colpo d’occhio come è stata affrontata la missione.
I nemici hanno studiato
Uno degli aspetti più sorprendenti di Splinter Cell: Blacklist è l’intelligenza artificiale, coadiuvata – come vedremo – da qualche opportuna scelta di programmazione. Quando i nemici non sono in allerta la loro intelligenza è fortemente limitata: si limitano a seguire dei pattern preimpostati, ed è facile ingannarli utilizzando le variabili ambientali che ci vengono proposte. Ad esempio, è sufficiente aprire una porta e nascondersi dietro lo stipite, in attesa che la guardia incuriosita si avvicini, per poi eliminarla silenziosamente in corpo a corpo. La vera sorpresa giunge nel momento in cui i nemici vengono messi in allerta: non solo tendono a convergere sulla nostra posizione, ma lo fanno anche utilizzando percorsi secondari, tentando di circondarci e, talvolta, dividendosi in piccoli gruppi. In un caso ci siamo ritrovati in trappola, con tre nemici a sbarrare una strada e un nemico dotato di scudo a sbarrare l’altro percorso. In queste situazioni è facile farsi prendere dal panico e si ricevono delle belle scariche di adrenalina.
I programmatori hanno inoltre avuto un’idea davvero brillante: se siete quel genere di giocatore che ama l’approccio stealth, vi ritroverete spesso a ricaricare una sezione di gioco dopo un errore. Dopo qualche tentativo, il pattern dei nemici viene imparato a memoria e superare la sezione si trasforma gradualmente in un lavoro di routine. Questa regola si applica a molti giochi stealth, ma non a Blacklist, dove il pattern dei nemici viene resettato e rimescolato al terzo tentativo andato a male. Così, quando credevamo di trovare un nemico dietro l’angolo, eccolo apparire in un punto completamente diverso della mappa, e quando avevamo compreso il sistema per raggiungere un obiettivo secondario, lo ritroviamo difeso da una guardia che prima non c’era. Questa semplicissima idea rende il gioco imprevedibile, più difficile del previsto e, naturalmente, molto soddisfacente.
Le cose si complicano ulteriormente alzando il livello di difficoltà, che modifica in maniera radicale l’esito dei combattimenti, rende il corpo a corpo molto più difficoltoso e, nel complesso, aumenta considerevolmente il grado di imprevedibilità del gioco.
Spendi e spandi
Alla fine di ogni missione (anche in rete) il nostro Sam riceve un bonifico, il cui onere è direttamente proporzionale alla sua abilità nel corso della missione e all’eventuale raggiungimento di obiettivi secondari, oltre alle sfide proposte ogni giorno dal sistema online di Ubisoft. I soldi ottenuti possono essere spesi per personalizzare l’outfit di Sam, con vestiti e armi più orientate all’azione o allo stealth, a seconda dello stile di gioco preferito.
Buona anche la dotazione dei gadget, che include vari tipi di visore e un sacco di oggettistica alla 007, tra cui un drone radiocomandato e delle favolose telecamere appiccicose che possono stordire i nemici o autodistruggersi causando la morte degli ostili nel raggio di qualche metro. A questo si aggiungono numerosi diversivi sonori, fumogeni, granate, lacrimogeni, taser ed esplosivi di varia natura.
Inoltre, il denaro acquisito durante le missioni può essere utilizzato per migliorare l’aereo che funge da base per le nostre operazioni. L’upgrade del velivolo è quasi fondamentale, in quanto consente di migliorare i radar che permettono di individuare i nemici sulla mappa e rendono la pianificazione tattica sul campo certamente più ponderata.
Coop e multiplayer
Uno degli aspetti che ci aveva colpito positivamente in fase di preview si riscontrava nella componente cooperativa e competitiva del gioco. Possiamo confermare tali sensazioni: in coop Splinter Cell: Blacklist è incredibilmente divertente e in multiplayer è ancora meglio.
La modalità cooperativa – sia online che in split screen – si basa sulle missioni secondarie fornite dall’IMS, una sorta di hub dal quale selezioniamo i nostri incarichi. Molte missioni del single player sono disponibili anche in coop, ma sarebbe più corretto dire che molte missioni coop hanno anche la possibilità di essere giocate in single player. Nonostante le missioni esclusivamente cooperative siano relativamente poche, quelle promiscue si giocano con approcci completamente differenti in compagnia di un amico, e permettono di attivare percorsi alternativi altrimenti inaccessibili, che spesso variano in maniera quasi totale il modo in cui ci si orienta nella mappa. Inoltre, tali missioni single/coop risultano quasi snervanti se giocate in solitaria, anche se fanno eco ai primi capitoli della saga di Splinter Cell in quanto a difficoltà. La discrepanza tra le missioni della storia principale e quelle secondarie, probabilmente, farà discutere: anche se il gioco presenta un’enorme varietà di ambienti e un gran numero di missioni (circa 30), quelle pensate esclusivamente per il single player rappresentano poco più di un terzo del pacchetto, e l’avventura potrebbe giungere ai titoli di coda in una decina di ore. Un passo avanti rispetto al brevissimo Conviction, ma certamente nulla di eclatante. È evidente, dunque, che per prolungare la durata del pacchetto è consigliabile affrontare anche le missioni secondarie, che potrebbero quasi triplicare la durata del gioco, sebbene diano il meglio di sé in compagnia. Restando sulla modalità cooperativa, a causa delle ridotte dimensioni dello schermo abbiamo trovato la modalità in split screen meno divertente di quella online, in quanto la limitata visione d’insieme rende le cose più difficili (e meno coinvolgenti).
Il multiplayer, vale a dire la modalità Spies vs. Mercs, è finalmente tornato. Il gioco ripesca la tanto amata modalità online di Chaos Theory in un game mode definito “Classic”, un due contro due in mappe di opportune dimensioni, suddiviso in turni in cui una squadra veste i panni delle spie e l’altra dei mercenari, e viceversa.
Il nuovo Spies vs. Mercs, invece, è un quattro contro quattro che, nel complesso, sembra più tattico del suo predecessore e permette l’attuazione di azioni coordinate tra sottogruppi di giocatori. Una buona idea che, probabilmente, darà luogo a partite davvero complesse.
Sfortunatamente non abbiamo avuto l’opportunità di provare a fondo la modalità online – in questa fase i server non sono ancora popolati – ma dalle prime sessioni di gioco fra giornalisti siamo usciti altamente soddisfatti, grazie a un complesso sistema di classi che sembra arricchire ulteriormente il pacchetto. Ci auguriamo che gli sviluppatori siano stati in grado di bilanciare le due fazioni, perché dalle prime prove la spia sembra leggermente facilitata e la vecchia strategia del camping sembra premiare in maniera un po’ troppo generosa.
Grafica e sonoro
Senza troppe sorprese, Splinter Cell: Blacklist è il gioco graficamente più evoluto della serie. In tutta onestà, non ci sono giganteschi passi in avanti rispetto a Conviction dal punto di vista dei modelli, ma la conformazione variegata degli ambienti è certamente posta un gradino più in alto rispetto al passato. Le varie location sono uniche e ben caratterizzate, accompagnate da texture variopinte e ben definite. Ottima l’idea di inserire nella versione Xbox 360 un disco aggiuntivo con un pacchetto di texture di alta qualità, che modifica sensibilmente l’esperienza visiva senza gravare sulle prestazioni.
Dal punto di vista del sonoro, il gioco sancisce l’atteso ritorno di Luca Ward alla voce di Sam Fisher. I nostalgici, certamente, ameranno risentire la duttile voce di Ward interpretare il freddo protagonista della saga. Buoni quasi tutti i personaggi secondari, mentre i personaggi minori offrono spesso performance al limite del ridicolo. Il doppiaggio italiano, nel complesso, è in crescita rispetto al passato. Quello inglese, al contrario, è in calo, anche a causa del nuovo doppiatore di Sam Fisher che non sembra convincere il pubblico anglofono.
Per quanto concerne la musica, Blacklist offre melodie che variano a seconda degli ambienti, con la consueta musica ritmata che si attiva nel momento in cui le sentinelle entrano in allerta: quando partono le prime note sintetizzate, l’adrenalina inizia a pompare nelle vene.

– Più vicino ai vecchi capitoli di quanto si possa pensare

– Multiplayer divertente

– Ottima I.A.

– Grande libertà d’approccio all’azione

– Campagna principale breve

– Doppiaggio altalenante

9.0

Splinter Cell: Blacklist è un continuo crescendo. Quando credevamo che il gioco sarebbe stato l’ennesima svolta action, gli sviluppatori ci hanno sorpresi con un titolo che fa l’occhiolino al passato, e che offre alcuni scorci di gioco interpretabili con un approccio d’altri tempi. La campagna principale potrebbe risultare breve se affrontata di petto, ma qualora il vostro stile di gioco incarni quello dei primi Splinter Cell, saprà darvi grosse soddisfazioni anche in termini di durata. Il bello di Splinter Cell: Blacklist è che non vi dice come giocare, vi lascia la possibilità di farlo come meglio credete. I nuovi fan troveranno buoni motivi per acquistare questo gioco e, fortunatamente, anche i vecchi fan quest’anno potranno godersi un capitolo della saga che non sembri totalmente sradicato dal suo contesto. Se a questo aggiungiamo un corposo multiplayer e una modalità co-op che merita davvero di essere giocata, la qualità complessiva del pacchetto sale a dismisura. Sam è di nuovo fra noi.

Voto Recensione di Splinter Cell: Blacklist - Recensione


9