Spazio Mod - Dear Esther

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a cura di Ctekcop

Dear Esther è una mod basata sull’engine Source e per poterla giocare è sufficiente possedere un titolo, tranne Portal, basato su di esso. Originariamente sviluppata da un team dell’università di Portsmouth come progetto di ricerca, viene rilasciata nel 2008. Si presenta come un videogioco fortemente sperimentale: “una storia raccontata attraverso un videogioco”. Oltre a fare incetta di premi e riconoscimenti è ancora oggi una delle mod più scaricate: è facilmente reperibile attraverso le solite fonti quali Moddb e Desura. Tutta questa visibilità ha reso possibile la realizzazione di un remake commerciale, previsto per il 2011, con la collaborazione di Robert Briscoe, che ha lavorato per DICE come environment artist su Mirror’s Edge. 

Fuori dagli schemi
In cosa consiste precisamente questo atipico Dear Esther? Si tratta di una sorta di avventura in prima persona narrata attraverso un frammentario monologo epistolare rivolto a tale fantomatica Esther. Piccoli pezzetti di questo mistero vengono rivelati quando raggiungiamo certi luoghi come le casette e le grotte o specifici punti. Senza fare spoiler, all’interno della trama troviamo elementi ricorrenti, come l’auto, Damasco, il numero 21, l’esploratore Donnely, l’incidente e Paul. Piano piano tutti questi elementi vengono ricomposti, anche se in maniera alquanto vaga, flebile e talvolta contraddittoria considerando la randomicità di alcune parti di quello che in sostanza è un unico dialogo. Nel finale trovano più o meno risposta le domande che il giocatore inizia a porsi subito fin dai primi minuti di gioco. Il gameplay si basa tutto sull’esplorazione di questa misteriosa isola: possiamo muoverci e saltare, ma come ci lascia presagire la mancanza totale dell’HUD, non potremo fare praticamente altro. Sarà l’isola ad interagire con noi e non noi con essa: è letteralmente cosparsa di graffiti, rappresentanti spesso elementi di chimica o schemi elettronici (che rimandano in un certo qual modo alla trama) e scritte che giganteggiano sulle coste rocciose o si scrutano nei cunicoli. Il tutto è sapientemente orchestrato, con chiari e palesi indizi su che direzione prendere, per farci seguire un determinato percorso: l’isola non è esplorabile liberamente ed è relativamente facile, sopratutto se per caso sbagliamo direzione, imbattersi in recinti discutibili o pietre piazzate nel mare. Un concept rischioso ma diverso, che scorre via, purtroppo, molto facilmente: manca appunto una qualsiasi forma di puzzle ambientale basato sulla fisica, come quelli ampiamente dispensati in Half-Life 2, che avrebbero reso più intrigante e vario il tutto; non è presente alcun tipo di ostacolo da superare e non si può morire nemmeno in seguito ad una grave caduta. In virtù anche di ciò, ci troviamo di fronte ad un’esperienza molto breve, difficilmente più lunga di un’ora e che non invoglia certo ad essere rigiocata, nonostante alcuni dialoghi casuali.
Ma che bella quest’isola…….
Tecnicamente parlando Dear Esther si difende tutto sommato bene. Purtroppo è proprio questo il problema: non può fare altro che difendersi poiché basato su una ormai vecchia versione del Source, il motore grafico di Valve. L’isola è realizzata in maniera degna: nonostante qualche spigolo di troppo il colpo d’occhio è spesso impressionante ed in grado di regalare una certa sensazione di desolante tristezza visti i toni grigio-scuri dell’illuminazione e del cielo in genere, in linea con quella che è la trama. L’acqua invece lascia alquanto a desiderare ed è paragonabile a quella vista nell’originale Half-Life 2. Qualche problemino a livello di design, sopratutto per quel che riguarda certe conformazioni geometriche del terreno ed alcune texture effettivamente non eccezionali, che rendono difficile leggere certe parti dell’isola da distanza troppo ravvicinata, sopratutto nella scalata finale. Apprezzabili per impatto ed effetto scenico le fasi all’interno di grotte e stretti cunicoli, con una sorta di affascinante muschio fosforescente che smorza i toni claustrofobici di questi momenti. In pratica il colpo d’occhio generale è buono, ed il lavoro svolto denota una certa professionalità, ma l’età generale del progetto trasuda da molti, troppi elementi. La parte audio è probabilmente ciò che è meglio riuscito in Dear Esther. Innanzitutto il doppiaggio dell’unica voce, interpretata da Nigel Carrington, è eccellente e dona ai dialoghi ben scritti, grazie ad un accento molto british, una vena poetica non indifferente. Ottima non solo l’interpretazione ma anche la qualità della registrazione spesso di bassa qualità in mod non troppo curate. Manca una qualsiasi forma di sottotitoli, anche in inglese, che lo rendono difficilmente comprensibile, inficiandone l’esperienza, a chi non mastica l’inglese. L’unica alternativa è scaricare il file in PDF dello script, ovviamente solo in inglese. La colonna sonora, scritta da Jessica Curry, è sensazionale. Unita ad alcuni mirati e puntuali effetti audio in grado di smorzare o acuire la tensione, accompagna perfettamente il nostro incedere in maniera vibrante ed emozionale, ma mai fuori posto. Si tratta senza dubbio alcuno di una composizione di livello professionale, ed anche qui la cura riposta nella qualità audio vera e propria è strabiliante, al punto da non sfigurare nemmeno al confronto con un prodotto commerciale e non amatoriale come questo.

Dear Esther è senza dubbio una mod atipica, dal forte carattere sperimentale . Paradossalmente la sua scarsissima durata lo rende degno di essere provato da tutti, anche da chi potrebbe non essere interessato al genere. Pur non dicendo nulla di nuovo dal punto di vista tecnico, è un viaggio piacevole, che passa via liscio senza difficoltà, coinvolgendo e catturando il giocatore in questa misteriosa isola, grazie sopratutto ad una colonna sonora eccellente in grado da sola di emozionare veramente.

Da provare nell’attesa della release del remake commerciale che promette una rinnovata esperienza unita ad una grafica tutta nuova e scintillante sfruttando veramente a fondo l’ultima versione del Source.