Sol Calante

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a cura di Folken

In occasione della prova del nuovo Final Fantasy XIII abbiamo deciso di dedicare un editoriale ad una riflessione sullo stato di salute dell’industria videoludica in Giappone. È indubbio come dal paese del Sol Levante provengano alcuni dei franchise più conosciuti e longevi di sempre, tra cui potremmo citare ad esempio Mario, Sonic, Zelda, Metal Gear Solid, Street Fighter o Final Fantasy appunto. Nomi entrati nel cuore di milioni di giocatori che ogni anno attendono con ansia novità su seguiti o spin off legati alle proprie saghe preferite. Da qualche anno a questa parte, però, l’industria video ludica giapponese ha subito un pesante rallentamento, che ha visto decrescere il numero delle vendite e delle produzioni tipiche di questo particolare settore di provenienza. Su tutti, stupisce dopo gli anni d’oro dell’epoca PlayStation, prima e seconda, come il genere dei giochi di ruolo giapponesi sia calato così tanto, con sempre meno prodotti di categoria lanciati sul mercato e dedicati alle console casalinghe. Il salto nella nuova generazione ha difatti visto cambiare molto gli equilibri del mercato globale, con i due mondi, oriente ed occidente, che hanno reagito in modo diverso ed allo stesso tempo si sono avvicinati nell’arco degli anni.

Il passaggio generazionaleCome molti di voi già sapranno, grandi produttori come Capcom e Konami hanno ricorso a manodopera occidentale per produrre nuovi capitoli di alcuni dei loro franchise più importanti come Bionic Commando o Silent Hill, in realtà ottenendo risultati non del tutto soddisfacenti. La sensazione è che l’impatto con la cosiddetta next gen sia stato forse più arduo per le software house giapponesi che non sono probabilmente riuscite nell’intento di rinnovare la propria proposta, adeguandola ai cambiamenti di mercato. Da un parte Capcom è forse al momento l’unica software house nipponica ad aver retto con forza al passaggio alla nuova generazione, rinnovando alcuni dei propri brand come Street Fighter e creandone di nuovi, ovvero successi sia di critica che di pubblico come Dead Rising e Lost Planet, i cui seguiti sono previsti in arrivo nei prossimi mesi. Invece una casa come Konami, che nella generazione passata ha dominato le classifiche, a parte un non troppo brillante Pro Evolution Soccer e un Metal Gear Solid 4 per PlayStation 3 notevolissimo, ma ormai lontano, non sembra riuscire a trovare una strada per tornare alla ribalta. Esattamente come Namco Bandai, che con l’ultimo Tekken ha dimostrato di saper ancora produrre titoli ben realizzati, ma di non sapersi rinnovare e soprattutto di non trovare lo spunto adatto per lanciare sul mercato nuove produzioni in grado di riaffermare la forza delle idee provenienti dal Sol Levante. Un esempio opposto è Nintendo che invece di gettarsi a capofitto nella nuova era tecnologica, ha nuovamente introdotto nel mondo videoludico un’idea semplice quanto geniale, creandosi un pubblico proprio tra quelle persone che non hanno mai videogiocato. Sega sta riuscendo nell’intento di diversificare il più possibile la propria offerta, continuando a proporre in patria titoli di varia natura pensati per i connazionali e distribuendo all’estero invece videogiochi sviluppati da terze parti che spaziano dal manageriale Football Manager al prossimo sparatutto in prima persona Alien vs Predator. Stesso discorso per Sony, che per PlayStation 3 produce e distribuisce esclusive in gran parte programmate in America o in Europa, come God of War 3, Heavy Rain o Uncharted 2. Unica esclusiva di rilievo ancora in produzione in patria è Gran Turismo 5, idealmente uno degli ultimi baluardi nipponici Sony.

Cambiamenti in corsoLa sensazione è che l’incredibile fascino che le produzioni giapponesi riuscivano fino a non molto tempo fa ad avere sugli appassionati di videogame residenti in occidente, sia lentamente scemato, lasciando spazio a giochi di tutt’altro genere come Gears of War, Call of Duty, Fallout 3 o gli RPG Bioware. Final Fantasy XIII potrebbe essere visto come una sorta di risposta di Square Enix a tale trend. Con il nuovo episodio non ha fortunatamente abbandonato uno stile estetico marcatamente nipponico, ma si è invece adoperata nel rinnovare in profondità l’offerta videoludica, tagliando e reinventando il proprio brand di punta, ma i risultati di questa operazione sono ancora tutti da valutare.La sensazione restituita giocando la versione giapponese è di un titolo molto diverso da quanto la saga ci aveva dato fino ad oggi. I giochi di ruolo giapponesi si sono da sempre distinti da quelli occidentali per una spiccata linearità, dovuta alla precisa scelta di volersi concentrare su trama e personaggi. Da sempre, tale aspetto è stato compensato lasciando al giocatore la possibilità di cimentarsi con svariate missioni secondarie, minigiochi e, sovente nella fasi più avanzate del gioco, dall’apertura di ogni confine permettendo così un’esplorazione libera del mondo alla ricerca di segreti, boss particolari, sezioni nascoste e così via. Tutto ciò in questo tredicesimo capitolo è sparito. Salvo qualche piccola divagazione, la struttura portante è unica e poco flessibile, accostando il titolo più al concetto di adventure che non a quello di gioco di ruolo. A ricordarci di essere al cospetto di un RPG ci pensa il complesso quanto innovativo battle system, davvero molto particolare e che si avvicina molto all’obiettivo iniziale espresso dal capo del progetto, ovvero quello di voler miscelare la strategia e la profondità tattica del genere con la spettacolarità del film Advent Children. Attendiamo di avere in mano la versione occidentale per poter appurare quanto effettivamente questa scelta sia in grado di incidere sul godimento dell’avventura nella sua interezza, certo è che durante la prova il ritmo di gioco non ci ha fatto sentire l’esigenza di fermarci a parlare con NPC di vario genere o altro, quanto piuttosto desiderare di andare avanti il più possibile per goderci quanto di buono Square Enix ha stipato nel capiente blu-ray. La domanda è: se il titolo avesse un altro nome o non venisse etichettato come RPG, ci stupiremmo tanto di queste mancanze? Sono davvero lacune o solo scelte di design che influenzano il gameplay ma non il valore del prodotto? La stampa estera è già divisa in due sulla questione, mentre a noi non resta che attendere poco più di un mese per poter formulare la nostra opinione.

Tornando di peso alla questione iniziale e cercando di tirare le somme di quanto analizzato, il nostro pensiero è che le software house giapponesi debbano assolutamente ritrovare il proprio spazio nel mercato mondiale non solo commercialmente, obiettivo per certi versi già in parte raggiunto, ma soprattutto culturalmente. È importante che non si ecceda nell’occidentalizzare l’offerta e che non si smarrisca l’identità tipica della produzione nipponica, o il nostro mondo potrebbe perdere in futuro una risorsa di idee e trovate stilistiche eccezionale, risultando in un panorama fin troppo piatto ed omogeneo.