Anteprima

Outreach

Avatar

a cura di Filippo "Xsin" Consalvo

Di giochi ambientati nello spazio negli ultimi anni ne abbiamo visti tanti e altri arriveranno in futuro, ma mentre titoli come Dead Space e Lost Planet sfruttano l’ambientazione per poter inventare, Outreach sceglie lo spazio degli anni ’80 per raccontare una storia che fa della sua verosimiglianza il suo punto di forza.

Basato su alcune teorie cospiratrici che accusano l’ex URSS di aver insabbiato alcune missioni spaziali fallite, Outreach narra la storia di Radomir Volkov, astronauta russo inviato presso una stazione spaziale con la quale si erano persi i collegamenti. Nonostante la missione affidata a Volkov fosse semplicemente quella di ristabilire i contatti con l’equipaggio, probabilmente vittima di un guasto alle comunicazioni, al suo arrivo il nostro protagonista si trova di fronte a una stazione deserta avvolta dal mistero. Da quel momento la sua avventura è costretta a cambiare, ma ciò che lo aspetta potrebbe rivelargli una realtà che non immaginava avrebbe dovuto affrontare.
Angosciante
Al nostro arrivo sulla stazione spaziale il gioco ci fa abituare ai comandi, ridotti all’essenziale: Volkov può guardarsi intorno, scattare foto da inviare al team sulla Terra e spingersi in avanti, senza possibilità di usare propulsori e quindi correggere la direzione. I primi minuti ci permettono di esplorare una stazione abbandonata, dove gli unici elementi interessanti sono i massicci terminali sparsi qua e là dai quali abbiamo modo di leggere giusto qualche diario di bordo. Dell’equipaggio nessuna traccia, in nessuna stanza, tranne il modulo CLM la cui maniglia si rompe nelle nostre mani: se i nostri colleghi sono da qualche parte devono essere lì, ma l’unica alternativa per raggiungere quel modulo è dall’esterno, tramite una bella e potenzialmente letale camminata spaziale.
In pochi secondi capiamo però che qualcosa non quadra, che il team di terra non ci sta dicendo tutto: il falso sgomento nello scoprire la stazione vuota ci ha destato qualche sospetto, ma ci sono delle vite in ballo e quindi la priorità al momento è trovare l’equipaggio.
A non farci perdere la via ci pensa il nostro taccuino che raccoglie gli obiettivi da completare, mentre la pressione di un tasto indirizza la telecamera verso la direzione corretta. Quest’ultima è forse la funzione più essenziale perché orientarsi in Outreach è un’impresa: fluttuando a 360° è difficile capire la strada giusta, sia quando ci troviamo dentro una sterile e standardizzata stazione spaziale, sia quando all’esterno lo sfondo è un cielo di stelle indefinito. Il senso di spaesamento è notevole sin dall’inizio ma una volta all’esterno raggiunge l’apice, complice anche una visuale volutamente limitata quando ci si muove tra le maniglie.
Come già detto, Volkov può solo darsi leggere spinte in avanti e non ha possibilità di correggere la traiettoria, quindi sbagliare durante la camminata spaziale può avere un solo risultato: perdersi nello spazio; che sia perché ci lanciamo troppo distante dalle maniglie o perché invece ci scontriamo con sporgenze della base che ci spingono verso l’esterno, il tremendo senso di impotenza mentre fluttuiamo sempre più lontani da qualunque appiglio e il terrore del protagonista che prova a tendere le mani mentre si perde nello spazio profondo sono a dir poco angoscianti, mentre non è da meno la sensazione da cui Volkov viene assalito man mano che trovando gli indizi lasciati dall’equipaggio inizia a dubitare delle buone intenzioni del team di terra. 
Cospirazione o tragedia?
Secondo i ragazzi di Pixel Spill, il piccolo ma appassionato team di sviluppo inglese dietro al gioco, il giocatore si troverà ad elaborare la storia esattamente come se si trovasse nei panni di Volkov; indizio dopo indizio, dovrà farsi un’idea di ciò che è successo e decidere se continuare a fidarsi del team che lo guida o della realtà che nel frattempo sta prendendo forma nella sua mente. Il finale a quanto pare sarà diverso a seconda di come si è svolta l’avventura ma di sicuro metterà il giocatore di fronte ad una scelta che cambierà completamente il senso della storia, in un modo o nell’altro.
Da questo e da tutto il resto si capisce come l’obiettivo di Outreach sia quello di ricreare un thriller psicologico basato sull’idea generale che in quegli anni, caratterizzati da una guerra fredda ancora in atto e da una spietata competizione nella corsa allo spazio, la realtà si perdeva tra ciò che veniva comunicato dai media e ciò che veniva riportato a galla (spesso in maniera altrettanto inesatta) dalle teorie cospiratrice.
La verità non sembrava essere un diritto pubblico ma un elemento da plasmare o riscrivere da parte delle superpotenze mondiali, e la storia di Volkov sembra fare leva proprio su questo. 
L’atmosfera anni ’80 ricreata fedelmente tramite il design delle tute, i terminali, i sistemi di comunicazione e tanti altri elementi aiuta a immergersi in questa realtà corrotta e fa passare quasi inosservate le numerose mancanze tecniche del gioco, come una telecamera ostile, le mani non visibili in alcuni passaggi e la non ottimizzazione per la realtà virtuale, tecnicamente funzionante ma sconsigliata dagli stessi sviluppatori per l’eccessiva motion sickness causata. Peccato però, perché per quanto Outreach sia un titolo interessante ha i suoi difetti e la modalità VR avrebbe aiutato a passarci sopra. La stessa passeggiata spaziale, angosciante all’inizio, è diventata stremante dopo l’ennesimo minuto passato a muoversi lentamente e delicatamente da una maniglia all’altra, in un percorso troppo lungo e statico dove la paura non tanto di morire ma di dover ricominciare da capo non può reggere un gameplay banale.
Per il lavoro svolto, i pochi ragazzi di Pixel Spill meritano un applauso e il concept del gioco, lontano dalla frenesia di Gravity e più vicino al contrasto tra perdizione e speranza di The Martian, è davvero interessante.
Ci sono degli evidenti difetti legati più al gameplay e al level design che allo stile narrativo, quindi ci auguriamo che quest’ultimo possa sbalordire tutti e pareggiare le lacune tecniche.
Fino alla release finale del gioco, prevista entro la fine del 2017, incrociamo le dita.

– atmosfera angosciante perfettamente costruita

– immersivo e coinvolgente

Figlio di uno studio piccolo piccolo ma supportato da un publisher dal grande coraggio, Outreach cerca di esplorare un tema attraente in un momento storico caratterizzato da tante contraddizioni. La storia dell’astronauta russo Radomir Volkov, con la sua verosimiglianza, i suoi dubbi, le cospirazioni, la ricerca della verità e la ricostruzione fedele promette di trascinare il giocatore in un vortice narrativo dove le proprie scelte determineranno l’esito della missione. Il tutto inserito in un’avventura in prima persona che vuole trasmettere in ogni secondo l’impotenza del protagonista di fronte all’immensità dello spazio, così come la limitatezza delle risorse disponibili nell’esplorazione spaziale degli anni ’80.

Un gioco tecnicamente modesto ma coraggioso e focalizzato sul senso di immersione che il giocatore dovrà provare nelle emozioni e nell’empatia che svilupperà verso Volkov, più vittima che protagonista di un viaggio in territori sconosciuti: lo spazio e la verità dietro la propria missione. Un must per gli appassionati di thriller psicologici e viaggi oltre l’atmosfera, una perdita invece per chi avrebbe voluto goderselo in VR.