Recensione

INSIDE

Avatar

a cura di Mapaan

Nel 2010 Playdead, studio indipendente nato qualche anno prima, fa uscire – inizialmente solo su Xbox 360 – LIMBO, un’avventura in bianco e nero nella quale il giocatore viene lasciato solo, in balia di pericoli e puzzle da risolvere. Nessuna cut-scene e dialoghi assenti, perché sostanzialmente il titolo “parla” al giocatore attraverso ciò che accade su schermo, utilizzando uno stile molto particolare, in grado di mettere in risalto alcuni specifici elementi. Proprio per la sua essenza atipica, questa produzione è riuscita a ottenere un grandissimo successo ed è approdata negli anni a seguire su diverse piattaforme di gioco. A pochi mesi dal lancio del loro primissimo progetto, dunque, l’intera comunità di videogiocatori chiedeva a questi ragazzi danesi quale sarebbe stato il loro prossimo progetto: la risposta non si fece attendere e Arnt Jensen e Dino Patti, i due fondatori dello studio, confermarono che già qualche mese prima della release ufficiale di LIMBO erano iniziati i primi lavori su “Project 2”, nuova IP, co-finanziata dal DFI (Danish Film Institute) che avrebbe ripreso, migliorato ed ampliato quanto fatto con il loro primo prodotto. Annunciato ufficialmente all’E3 2014 come INSIDE, il nuovo titolo Playdead scomparirà dai radar per diverso tempo; previsto infatti per l’estate 2015, è riapparso esattamente due anni dopo l’iniziale reveal alla conferenza Microsoft di quest’anno, con una vicina release a sorpresa nel mese corrente. Si tratta dunque di un titolo che ha sul groppone quasi sei anni di sviluppo, sarà valsa la pena di aspettare così tanto? 
In Fuga dal Nemico… 
Un ragazzino sbuca fuori da alcuni cespugli, è solo e impaurito, sembra in fuga da qualcuno o da qualcosa, e si muove a fatica, mentre da lì a poco una violenta pioggia si abbatterà sul terreno: di lui non conosciamo assolutamente nulla e il suo unico tratto distintivo è costituito semplicemente dalla maglia indossata, di colore rosso. L’incipit iniziale è soltanto questo: nessuna introduzione, niente spiegazioni, né tantomeno cut-scenes di alcun tipo: il gioco vi getta subito all’interno dell’azione. Muovendo i primi passi all’interno del mondo di INSIDE comprenderete poi molto presto di essere braccati da uomini simili a fantocci, dalle maglie scure e dai volti non definiti, pronti perfino a sparare – se necessario – per uccidervi. Ma soprattutto, vi renderete conto di essere per qualche motivo “diversi” da tutti gli altri e che probabilmente, le motivazioni dell’inizio della vostra avventura vanno ricercate proprio attorno a tale concetto, presupponendo che non tutto potrebbe essere come sembra apparire inizialmente. Il mondo di gioco infatti è talmente particolare, e creato con una cura incredibile, da non risultare mai prevedibile o banale e la sensazione di distopia, che accerchia ogni piccolo dettaglio, rende il tutto opprimente ma allo stesso tempo ipnotizzante; con il passare dei minuti sarà sempre più chiaro che un altro aspetto su cui il gioco punta particolarmente è quello del controllo mentale. Di cose da dire comunque ce ne sarebbero tante ma non vogliamo anticiparvi davvero nulla, anche perché non essendo uno stile narrativo canonico, ogni giocatore potrebbe fare le proprie valutazioni. In tal senso, risulta stupefacente la capacità con cui Playdead ha costruito un background narrativo esclusivamente tramite l’utilizzo di immagini e simboli, non andando incontro al giocatore in alcun modo; cioè, evitando del tutto di spiegare cosa stia realmente accadendo, cercando di spingere invece chiunque ad interpretare ogni evento, donando una certa importanza anche alla più piccola delle sfaccettature. La precisa scelta adottata da Playdead di non usufruire di alcun tipo di narrazione, vocale o testuale risulta perfetta anche in questa seconda produzione, rendendo ogni attimo in game affascinante e significativo, in una commistione geniale di arte e videogioco. INSIDE riesce sostanzialmente a catturare il giocatore per queste atipiche scelte, che prevedono anche l’inserimento del giocatore stesso in un contesto macabro e pesante ma ammiccante ed evocativo allo stesso tempo.
Un Racconto Diverso dal Solito
In LIMBO il campo d’azione utilizzato da Playdead era marchiato da un netto contrasto tra bianco e nero; si giocava dunque sulla contrapposizione tra luce e ombra. Con INSIDE invece la scelta ricade sull’utilizzo del grigio e in generale di colori spenti, decidendo dunque di utilizzarne pochi che siano accesi (perfino quello della maglia del protagonista assume un apparente significato), soltanto in specifici casi e mai in modo casuale. A ogni scelta del colore corrisponde un messaggio visivo ben preciso; sia chiaro, il titolo di cui stiamo parlando non “vive” soltanto di questo, ma la personalità con cui viene gestita l’intera ambientazione, con una particolare attenzione al dettaglio non può lasciare indifferente neanche il più disattento dei videogiocatori. INSIDE cerca di comunicare con chi si trova di fronte allo schermo, proprio attraverso i particolari ambientali presenti in ogni sezione; tali particolari possono essere non solo relativi a scelte estetiche ben precise ma anche andare a toccare l’aspetto sonoro, costruito su una base di partenza fatta di puro silenzio accompagnata poi da pochissimi e precisi suoni di natura ambientale. INSIDE quindi non è esclusivamente un titolo che si gioca, ma va osservato con occhi attenti e curiosi; come detto in precedenza, si parla di arte in movimento che nel momento più adatto va interpretata per cercare di dare un significato a ciò che vi si presenterà su schermo. Non si tratta di un elemento di “contorno” ma di una ricercatezza artistica reale e tangibile, che fa risaltare l’intera produzione: anche per questo motivo, senza alcun dubbio, INSIDE è uno dei migliori puzzle-platform degli ultimi anni. 
Problemi e Soluzioni
All’interno di questo quadro visivamente strabiliante, INSIDE possiede anche delle ottime basi a livello di gameplay, che risulta tanto semplice quanto solido e ben calibrato; è dunque corretto sottolineare fin da subito che, in tal senso, il lavoro dei Playdead è assolutamente promosso. Considerata però la natura stessa della produzione, che si presenta come un puzzle platform a scorrimento orizzontale dallo stile parecchio minimalista, il paragone che va a instaurarsi con LIMBO è assolutamente naturale. Tale somiglianza non è ovviamente negativa – seppur INSIDE presenti in un paio di occasioni delle sezioni interamente riprese dalla precedente opera – riuscendo invece a far comprendere al giocatore quanti passi in avanti il team danese sia stato capace di compiere in questi sei lunghi anni. Come avveniva in LIMBO, tra l’altro, anche qui vi ritroverete di fronte a tanto trial and error con puzzle ambientali e fasi di platforming, puntivi soltanto all’apparenza, in cui si presenterà il classico ciclo di gioco che prevede una prima prova, la conseguente morte, la fase di riflessione sui possibili errori commessi e la risoluzione finale. I puzzle risultano davvero ispiratissimi e riusciranno a darvi diverse soddisfazioni una volta compresi e risolti, non risultando mai frustranti o presentando una generale difficoltà troppo elevata: motivo per cui difficilmente vi ritroverete bloccati per un’esagerata porzione di tempo e riuscirete con l’uso dell’istinto e magari con un piccolo aiuto da parte della dea bendata a proseguire senza intoppi. In quest’ottica va sottolineato anche il lavoro degno di nota fatto sul level design generale delle varie zone.  Tanti sono i passi in avanti fatti rispetto a LIMBO, anche nello scandire il ritmo, con un’alternanza perfetta di momenti più adatti alla riflessione da un lato e di sezioni accelerate dall’altro. Il lavoro di ampliamento per cercare di migliorare la struttura di base del gameplay va a delinearsi, ancor più chiaramente, nella marcata diversificazione di ciò che il personaggio potrà e dovrà utilizzare per superare delle specifiche zone. Egli sarà infatti capace di nuotare – a differenza del protagonista della precedente opera Playdead – oltre ad avere la possibilità di utilizzare un marchingegno che vi permetterà di controllare più di un personaggio alla volta su schermo; il ruolo di questi particolari individui sarà quello di aiutarvi, ad esempio facendo arrivare il vostro personaggio in zone altrimenti inaccessibili o spostando oggetti particolarmente pesanti. Per quanto riguarda le possibilità offerte da INSIDE, in termini prettamente ludici, c’è dell’altro ma non vogliamo dilungarci ulteriormente per non rovinarvi la sorpresa. 
Il Suono della Solitudine
Nota di merito per il comparto audio (anche questa volta curato da Martin Stig Andersen) che attinge parecchio dagli horror movie degli anni ’80 con un marcato uso di suoni prodotti con il synth. Uno dei punti forti di INSIDE è infatti la grande integrazione tra il gameplay e l’audio, con alcune zone che vanno superate proprio prestando attenzione al suono, trovando così le tempistiche migliori per compiere l’azione richiesta. Proprio per questo motivo Andersen rivelò a inizio anno che, a differenza di LIMBO, questa volta ha partecipato attivamente allo sviluppo del gioco, mantenendo un contatto costante con i programmatori che si sono occupati del gameplay vero e proprio. Tecnicamente la produzione risulta molto solida, con il motore Unity che esegue egregiamente il proprio compito, grazie anche al lavoro fatto da Playdead nello sviluppo di un particolare filtro anti-aliasing in grado di dare al gioco un effetto estetico particolare, chiamato “temporal reprojection”. Concludiamo dicendovi che il fulcro dell’esperienza di INSIDE è costituito non dalla quantità di ore necessarie per essere portato a termine ma dalla qualità di ciò che viene proposto esteticamente e ludicamente nel tempo di gioco; se cercate dunque un titolo che fa della longevità il proprio punto di forza, è meglio guardare altrove. Così come per LIMBO, anche in questo caso infatti la longevità non è per nulla straordinaria; se non siete giocatori troppo attenti e il vostro unico interesse è soltanto quello di arrivare ai titoli di coda, non concluderete il gioco in più di tre, quattro ore (già alla prima partita); tutto questo a patto che non abbiate difficoltà con i puzzle presenti. Discorso diverso se deciderete di vivere e respirare il meraviglioso lavoro artistico fatto, non “correndo” ma cercando anche di trovare le diverse aree segrete presenti nelle diverse sezioni: noi vi consigliamo caldamente di giocarlo proprio in questo modo. 

– Visivamente incredibile

– Ritmo scandito ottimamente

– Puzzle ben sviluppati

– Level design di assoluta qualità

– Tanto Trial and Error

9.0

INSIDE è un prodotto di assoluta qualità, che riuscirà a farvi imbarcare in un incredibile viaggio, disturbante e opprimente, in cui ad essere l’assoluto protagonista è il linguaggio visivo di prim’ordine utilizzato da Playdead per raccontare una storia molto particolare. Un modo di sviluppare il videogioco assai diverso rispetto ai classici canoni a cui siamo ormai abituati ma che si è rivelato anche questa volta convincente in molteplici aspetti. INSIDE è infatti l’ennesima conferma di come sia possibile creare qualcosa di davvero “diverso” dal solito anche con idee semplici e funzionali, senza l’abuso di cut-scene o utilizzando chissà quali tecniche narrative particolari. E anche i “problemi” della breve longevità e della relativa scarsa rigiocabilità vanno in secondo piano: si tratta di un’esperienza infatti che va semplicemente vissuta, in primis per la qualità di ciò che vi viene proposto e non per la quantità.

Voto Recensione di INSIDE - Recensione


9