Recensione

DMC: Devil May Cry

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a cura di Pregianza

Reboot: prodotto pensato per dare nuovo slancio a una serie in difficoltà. Ultimamente questa parola ha acquistato un valore magico pari a un “abracadabra”, è divenuto l’elisir di lunga vita delle saghe assopite, la luce alla fine del tunnel per i giochi in coma da anni. Le cose vanno male? Basta ripartire da capo, magari ascoltando tutte le critiche mosse dai fan e dai giornalisti per creare un prodotto senza debolezze, così da soddisfare i giocatori del globo intero. 
Difficile dar contro alla furbizia delle case di sviluppo in merito a questa strategia, si tratta pur sempre della mossa più logica per recuperare un’ip ormai ridotta a raschiare il fondo. Tuttavia di recente è comparso un reboot che è balzato al centro dei riflettori con più impeto di qualunque altro, non tanto per le stupefacenti novità mostrate, bensì perché sviluppato con l’intento di rinnovare un marchio che secondo gran parte dei fan non aveva bisogno di esser modificato. Parliamo di DMC: Devil May Cry, affidato da Capcom ai Ninja Theory e capace di creare più controversie e discussioni infiammate di qualunque altro gioco negli ultimi anni. 
Premettiamo immediatamente che a noi poco importa del nuovo stile del protagonista o del cambio di direzione della storia. Per quanto attaccati al Dante originario e alle sue sempre allietanti sbruffonate, la serie non ha mai rappresentato un geniale esempio di narrativa ben fatta nel genere, quindi una virata in questo settore era tanto prevedibile quanto auspicabile. Certo, in questa recensione cercheremo di valutare anche il nuovo contesto, ma per noi il fattore principale in un action hack n’slash rimane il gameplay, ed è su quello che abbiamo deciso di basare il nostro giudizio. Bando alle ciance, e andiamo a svelarvi se Ninja Theory è riuscita o meno a dare nuova vita alle avventure del mezzo demone più amato dai videogiocatori. 
C’è del marcio nel mondo
Il DMC dei Ninja Theory ha un tono nettamente più crudo e cupo rispetto ai predecessori ad opera di Capcom. Qui Dante non è per metà umano, ma è un Nefilim, progenie di un angelo di nome Eva e del demone decaduto Sparda. Il protagonista si ritrova invischiato da suo fratello Vergil in un piano per vendicarsi del re dell’inferno Mundus, assassino della madre, e per salvare dalle forze del male il pianeta, i cui abitanti sono controllati inconsapevolmente dai demoni e dalle loro trame. 
La narrazione difficilmente vi stupirà, dopotutto la base da cui gli sviluppatori sono partiti non trasudava di potenziale ed era improbabile pensare a un’improvvisa evoluzione da questo punto di vista. L’ambientazione però di potenziale ne ha eccome. La fusione tra mondo demoniaco e moderno adottata dai Ninja Theory è riuscita ed evocativa, e il nuovo palco ha permesso al team di inserire nel gioco molteplici rimandi all’attualità piuttosto riusciti, seppur alle volte un tantinello forzati. In generale l’avventura scorre senza sbalzi con piacere, un risultato complessivo più che buono, anche se il tono più scanzonato dei capitoli passati potrebbe mancare a più di una persona. 
Stylish combos once again
La missione degli sviluppatori di Ninja Theory non era facile: perfezionare un gameplay considerato tra i migliori del genere, se non il migliore, e riuscire a diversificare sufficientemente il loro prodotto da giustificare l’utilizzo del termine reboot. Il compito è riuscito solo in parte. 
A una prima occhiata sono molte le similitudini tra il sistema di combattimento di DMC e quello del terzo e del quarto capitolo della serie: le combinazioni dei colpi si basano sul tempismo degli input e ritardare un attacco dopo un paio di fendenti attiva mosse diverse, Dante dispone di una mossa capace di lanciare in aria i nemici con ogni arma e ha la possibilità di eseguire devastanti combo aeree, la Rebellion ha una movelist praticamente identica a quella vista in Devil May Cry 3 (tolti alcuni attacchi legati agli stili), e ogni assalto continuato garantisce punti che vanno poi a influire sulla valutazione finale del livello. Alla base, tuttavia, i controlli sono ben diversi. Non c’è un targeting system fisso, quindi Dante attacca automaticamente i nemici più vicini con le armi corpo a corpo, le armi da fuoco colpiscono in base alla direzione scelta e al posizionamento del protagonista sull’asse verticale, e gli attacchi direzionali come lo Stinger necessitano di input doppi per essere eseguiti. Vi sono più colpi dotati di una potenza specifica e a seconda dell’attacco scelto possono scagliare un nemico a distanza, stordirlo temporaneamente, o riposizionarlo per favorire un assalto successivo. Inoltre le armi alternative non richiedono di venir equipaggiate singolarmente durante l’azione, e delle quattro scelte extra due sono sempre utilizzabili tenendo premuto uno dei trigger dorsali.
Il cambiamento più significativo è rappresentato dal richiamo angelico e dal richiamo demoniaco, due rampini evocabili che permettono di tirare a sé i nemici o di raggiungerli rapidamente, e sono fondamentali per allungare le combinazioni e rimanere mobili in battaglia. Funzionalmente il braccio demoniaco non è dissimile dal Devil Bringer di Nero nel quarto episodio, ma le due meccaniche sono ora molto più integrate nella struttura complessiva ed è pressoché obbligatorio divenirne padroni per destreggiarsi ad alti livelli. 
Il risultato finale è un sistema estremamente riuscito, tra i migliori visti nel genere, ma non privo di magagne rispetto al quasi perfetto equilibrio raggiunto in Devil May Cry 3. La prima problematica salta fuori quando si inizia a giocare alle difficoltà maggiori, dovete infatti sapere che anche DMC presenta numerosi livelli di sfida estremamente impegnativi, tra cui l’indimenticato Dante Must Die, sbloccabili completando più volte la campagna. Se a normal completare l’avventura è tutt’altro che impossibile (e si consiglia pertanto ai veterani di partire subito da “Nefilim”), una volta passati alle opzioni più ostiche ci si ritrova spesso ad avere a che fare con nemici danneggiabili solo da specifiche tipologie di armi, avversari pesanti su cui le combinazioni aeree sono inutili, e fastidiosi demoni dotati di scudo, contro i quali è consigliabile usare l’artiglio demoniaco. Mentre in DMC 3 il targeting fisso e l’equilibrio tra le armi permetteva ai giocatori di muoversi con precisione quasi sovrumana tra gruppi di avversari brutali, qui l’impossibilità di bersagliare un demone specifico costringe ad abusare dei richiami, e a spostarsi quasi sempre nelle vicinanze dei nemici più fastidiosi. Ne consegue una difficoltà meno bilanciata e una minore affidabilità dei controlli, che si ripercuotono anche sulle armi. 
Ci sono due gingilli demoniaci e due angelici nel gioco, ma i magli Eryx e i chakram Aquila sono nettamente più utili dell’ascia Arbiter e della falce Osiris, perché più funzionali. L’Arbiter provoca impatti eccessivi, che scagliano a distanza i nemici inferiori e permettono di usare le sue combinazioni migliori contro poche tipologie di mostri, portando facilmente a sostituirla con i magli, mentre la capacità di caricarsi dell’Osiris e la sua velocità valgono poco contro l’utilissima possibilità di “raggruppare” gli avversari o paralizzarli temporaneamente dei due chakram divini. Anche tra le armi da fuoco è difficile superare l’utilità degli esplosivi, seppur fucile e pistole permettano combinazioni più scenografiche. Complessivamente sembra dunque di trovarsi davanti a una sensibile evoluzione delle meccaniche di Heavenly Sword con integrati varianti dei sistemi degli ultimi Devil May Cry, piuttosto che a un titolo totalmente unico capace di offrire un’esperienza nuova e superiore. Notevolissimo, nulla da eccepire, ma non superlativo.
Zompettando nel limbo
La caratteristica che distingue profondamente DMC dai predecessori, e anche da molti altri action, è la varietà del level design. I Ninja Theory hanno deciso di applicare gli artigli non solo ai combattimenti, ma anche alle locazioni, e di sfruttarli per inserire nei livelli sezioni platform e puzzle in grado di spezzare la monotonia e di offrire situazioni originali ai giocatori. Il Limbo, dimensione alternativa in cui Dante può vedere gli effetti dei poteri demoniaci sul mondo reale, è un luogo caotico che muta rapidamente, al cui interno è possibile creare nuove piattaforme o raggiungerne di molto distanti con l’ausilio dei rampini. Sono parecchie le fasi che vi richiederanno di saltare e usare gli artigli con precisione, e ci sono parse tutte ben calcolate e piacevoli, anche grazie alla notevole mobilità aerea del protagonista e all’inserimento naturale all’interno della campagna. 
Le boss fight vantano a loro volta una varietà degna di lode, sono estremamente peculiari e azzeccate, e rappresentano i momenti più alti della campagna, nonostante non siano tutte qualitativamente alla pari. 
Il team di sviluppo ha voluto mantenere invariata la divisione in missioni dell’avventura, ma vi sono checkpoint durante i venti livelli di gioco che rendono il completamento di ogni fase più semplice rispetto al passato, nonostante i picchi di difficoltà nelle modalità avanzate. Certo, la modalità “Inferno e Inferno”, dove Dante muore in un colpo singolo, è un’altra storia…
Ovviamente non sono spariti i globi rossi, che permettono di acquistare nuove mosse e numerosi oggetti utili per facilitarvi la vita. La loro raccolta è accompagnata da un gran numero di missioni segrete, sbloccabili trovando chiavi di metallo e porte nascoste nelle mappe. Un amante del completamento avrà di che divertirsi.
Go to DMC!
Stilisticamente DMC ha carisma da vendere, e lo dimostra di continuo bombardando il giocatore con ambientazioni che vanno dallo psichedelico al classico e utilizzando al meglio il background per offrire situazioni spettacolari e d’effetto. Graficamente il titolo è pregevole, ma presenta qualche fastidiosa magagna. Abbiamo notato dei rallentamenti nelle cutscene, più di un singhiozzo nel caricamento delle texture e nel dettaglio delle ombre, e abbiamo incontrato un curioso bug che ha portato un boss a bloccarsi in uno scontro. Sono ad ogni modo casi isolati e sbalzi minori, che non rappresentano un problema grave. Buona la longevità, non per la durata della campagna, piuttosto limitata, quanto per la rigiocabilità della stessa, tra difficoltà maggiori estremamente impegnative e segreti da trovare. 
Ottima la colonna sonora, che spazia dall’hard rock alla dubstep e si sposa sempre bene con l’azione di gioco. Ci sono grossi sbalzi sonori nel doppiaggio in italiano, che costringono ad abbassare il volume della musica per capire certi dialoghi, ma il lavoro degli attori è stato più che buono anche nel bel paese. 

– Sistema di combattimento spettacolare e ben congegnato

– Elevata rigiocabilità grazie alle difficoltà maggiori e alle numerose prove

– Level design davvero notevole

– Alcuni sbilanciamenti tra le armi e meccaniche leggermente meno affidabili di quelle viste nei migliori capitoli della saga

– Campagna non particolarmente longeva

– Qualche singhiozzo tecnico

8.5

DMC: Devil May Cry è un action di altissima qualità, che vanta un sistema di combattimento complesso e ben calcolato, una lodevole varietà di situazioni e stile da vendere. Forse non sarà un netto passo avanti rispetto ai migliori capitoli della saga per quanto riguarda il sistema di combattimento, ma non fatevi offuscare la vista dall’attaccamento ai titoli passati o al “vecchio” Dante: grazie al suo ottimo level design e alle spettacolari battaglie, un amante del genere non dovrebbe farselo scappare.

Voto Recensione di DMC: Devil May Cry - Recensione


8.5