Crash Bandicoot - Retrospettiva III

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a cura di Nicolò Bicego

Redattore

L’ultima volta che lo abbiamo visto (o meglio, letto) Crash stava muovendo i suoi primi passi nell’era 128-bit, qui potete trovare l’articolo. Oggi vedremo non solo la conclusione di quell’epoca, ma di tutta la serie di Crash Bandicoot (almeno fino ad oggi), arrivando a parlare della sua breve vita nella generazione HD.
Pronti per questa ultima (forse…) puntata?
In due è meglio
Per un nuovo capitolo della serie principale di Crash si sarebbe dovuto attendere il 2004, anno che portò con sé Crash Twinsanity, nuova fatica di Traveller’s Tales.
Uscito su PS2 e Xbox (niente versione Gamecube, stavolta), il gioco subì uno sviluppo travagliato proprio come il suo predecessore, finendo per diventare molto diverso da come era stato concepito inizialmente; nonostante questo, Crash Twinsanity rimane un capitolo piuttosto importante per la serie. Non appena diamo avvio al gioco ci accorgiamo presto, infatti, che qualcosa è cambiato. Non siamo più di fronte ai vecchi Crash: niente più hub circoscritto che connette diversi livelli lineari, niente più cristalli, niente più scatole numerate da rompere per ottenere le gemme. Adesso, Crash si può muovere liberamente in un mondo di gioco che connette diversi livelli che, sebbene possano in alcuni casi avere la linearità dei giochi precedenti, sono comunque distanti da quanto visto prima.  Un platform open-world, dunque? Non proprio. Non siamo di fronte certamente a un platform-adventure come Super Mario 64 o Super Mario Sunshine, dove l’accento su libertà ed esplorazione è più marcato. La direzione intrapresa, però, è sicuramente quella. I ragazzi di Traveller’s Tales hanno deciso di seguire l’idea di Mark Cerny nello spostare Crash verso un ambiente free-roaming piuttosto che rimanere su una sequela di livelli lineari e la scelta si è rivelata sicuramente buona per una serie che cominciava ad accusare segni di stanchezza.
Le gemme, che come dicevamo non si ottengono più rompendo tutte le casse presenti nei livelli, sono nascoste per tutto il mondo di gioco, incentivando quindi l’esplorazione. Il loro ruolo viene però ridimensionato: stavolta ottenere tutte le gemme porta solamente a sbloccare extra come concept art e video.
La vera novità e fulcro del gioco sta nel fatto che, durante l’avventura, non controlleremo solamente il nostro fidato Crash. Per la maggior parte del tempo, infatti, il nostro peramele sarà accompagnato dal suo acerrimo nemico, il Dr. Neo Cortex. Potremo usare il buon dottore come martello, tavola da surf, potremo lanciarlo in posti per noi irraggiungibili e così via. Sono presenti anche sezioni in cui i due nemici per la vita cominciano ad azzuffarsi e sarà compito del giocatore controllare l’agglomerato dei due personaggi mentre se le danno di santa ragione. In brevi sezioni potremo anche controllare direttamente il Dr. Neo Cortex e un altro personaggio che non nomineremo per chi non conosce il gioco: sebbene si tratti solo di saltuari, ma simpatici intervalli.
A proposito dei personaggi, non si può non fare menzione della comicità del titolo, fedele all’umorismo tipico della serie ma ancora più graffiante, grazie ai siparietti dell’improbabile duo.
L’insieme di queste caratteristiche ha reso Crash Twinsanity un titolo popolare tra i fan della serie, anche se alcuni innegabili difetti non gli permisero di ottenere i favori della critica. Innanzitutto, la scarsa durata: il gioco può essere terminato nel giro di cinque ore, un numero decisamente basso se si considera che la rigiocabilità dei capitoli precedenti non vale per Crash Twinsanity. Probabilmente essa è da imputare al tempo di sviluppo ridotto, al quale si possono imputare anche le numerose imperfezioni grafiche e tecniche, come cospicui, per quanto innocui, bug presenti. Altro elemento che fa storcere il naso è la difficoltà: se per la maggior parte dell’avventura il titolo è affrontabile con tranquillità, vi sono improvvisi picchi verso l’alto che stonano con il resto dell’avventura.
Tirando le somme, Crash Twinsanity è un titolo che, nonostante i suoi difetti, dovrebbe essere giocato da ogni fan della serie, in quanto non si tratta solo di un gioco discreto ma anche di un timido passo in avanti per la serie.
Lotte a bordo di kart
Come avevamo detto nello scorso episodio, Crash Nitro Kart non riuscì a lasciare il segno presso i fan della serie o presso la critica di settore, ma ebbe un buon successo di vendite. Questo spinse Universal a provarci un’altra volta, stavolta con Crash Tag Team Racing, uscito nel 2005 su PS2, Xbox, Gamecube e PSP.
Sviluppato da Radical Entertainement (che di lì a due anni avrebbe preso le redini della serie principale), il gioco tenta di discostarsi dai suoi predecessori in più di un modo.
Innanzitutto, nella modalità avventura non si è sempre a bordo di un kart: alle varie sfide a bordo dei veicoli fanno da intermezzo sezioni in cui controlleremo il nostro personaggio (selezionabile da un roster piuttosto ampio) come se il gioco fosse un vero e proprio platform. Sebbene si tratti solo di frammenti rispetto al grosso dell’esperienza racing del titolo, è da apprezzare il tentativo di proporre qualcosa di nuovo all’interno di una sotto-serie che sembrava non avere davvero più nulla da dire.
Altra novità viene portata dal ‘clashing’, da cui Tag Team Racing prende il suo titolo: durante le corse sui kart avremo la possibilità di “agganciarci” al kart di un nostro avversario. Dopo l’aggancio, un personaggio si occuperà di guidare, mentre l’altro si occuperà di tirare oggetti.
Se pensate che questo avvicini il titolo a Mario Kart: Double Dash! vi state sbagliando di grosso. Qui la corsa non viene affrontata dai due personaggi in cooperativa: le alleanze dovute all’agganciamento sono temporanee, infatti ciascuno dei due giocatori ha la possibilità di rompere l’unione in qualsiasi momento, sfrecciando davanti al suo ormai vecchio alleato. Sulla carta questa nuova caratteristica potrebbe sembrare divertente, ma in pratica si rivela un’arma a doppio taglio: a causa anche di un livello di difficoltà puntato decisamente verso il basso, affrontare le corse in single player diventa di una facilità estrema, visto che i personaggi della CPU non useranno il clashing con la stessa accuratezza con cui lo useremo noi.
Questo va a minare la già scarsa durata del titolo, che dovrebbe quindi cercare la sua salvezza nel multiplayer. Il problema è che ogni elemento manca della cura che aveva contraddistinto il primo capitolo e che contraddistingueva, su Gamecube, un Mario Kart Double Dash! qualsiasi.
Giocato anche in multiplayer, Tag Team Racing semplicemente non riesce a divertire quanto il suo antenato su PS1 o i suoi concorrenti diretti e può reggere il confronto solo col diretto predecessore Crash Nitro Kart, che certo non brillava per qualità.
Insomma, le esperienze racing di Crash post-Naughty Dog non si sono rivelate all’altezza del capostipite: per quanto le vendite registrate da entrambi i titoli fossero piuttosto buone, la mediocrità delle produzioni contribuì ad infangare il buon nome che Crash si era costruito nel corso degli anni.
Crash Party
La storia delle cattive idee è lunga e tortuosa. Sicuramente una tappa importante di questa triste storia la troviamo nel 2006, anno in cui Universal (che di lì a poco avrebbe cambiato nome in Vivendi Games, dopo l’acquisizione da parte di Vivendi avvenuta tempo prima) decise di far realizzare a Dimps (sì, gli stessi che recentemente si sono occupati di Dragon Ball Xenoverse) un nuovo party game dedicato a Crash, stavolta su DS.
Crash! Boom! Bang! si rivela però più vicino a Mario Party che non a Crash Bash: qui, infatti, troviamo il classico gioco dell’oca re-interpretato in chiave videoludica, unito ad una sequela di minigiochi, con la possibilità di affrontare l’avventura con un personaggio a scelta da un modesto roster. Fino a qui nessun problema, se non fosse che il gioco sul tabellone è a dir poco scialbo e noioso, mentre i minigiochi sono un’offesa al concetto stesso di minigioco. Neanche il multiplayer riesce a salvare Crash! Boom! Bang! dall’essere non solo il peggior titolo della serie (peggiore persino di Fusion), ma anche uno dei peggiori titoli della storia videoludica. Provare per credere.
Crash e i titani
Nel 2007, come accennato in precedenza, Radical Entertainement prese le redini della serie principale di Crash Bandicoot, rilasciando Crash of the Titans su PS2, Xbox 360, Wii, DS, PSP. 
Titolo pubblicato da Sierra (compagnia interna a Vivendi), Crash of the Titans rappresenta una svolta per Crash. Non solo tutti i personaggi subirono un drastico re-design (Crash è l’esempio più famoso, ma ci sono personaggi che hanno avuto sorti ben peggiori, basti vedere la tigre Tiny o i celeberrimi Aku Aku e Uka Uka), ma anche il gameplay cambiò direzione rispetto al passato.
Se fino a quel momento Crash era sempre rimasto fedele alla sua natura di platform (eccezion fatta per gli spin-off), Crash of the Titans si rivela essere un action puro, più vicino a una struttura hack’n’slash che al passato della serie. In questo titolo Crash può contare sulla sua abilità di fare a pugni per stordire delle creature gigantesche (i titani del titolo) e prenderne il controllo. Ciascun titano ha caratteristiche peculiari e poteri speciali, rendendo quindi necessario passare da un titano all’altro a seconda dell’occasione. Insieme al gameplay platform, sono svaniti i classici collezionabili della serie: niente più cristalli, gemme, reliquie. Al loro posto troveremo nuovi collezionabili che si limiteranno però a sbloccare concept art e poco più, rendendo quindi poco appetibile l’impresa di collezionarli tutti.
Il titolo ripropone una struttura a livelli lineari di cui nessuno brilla particolarmente per level design, rivelandosi peraltro piuttosto corto, difetto dovuto anche all’eccessiva semplicità del titolo. Aggiungendo a ciò il fatto che nello stesso periodo usciva Super Mario Galaxy su Wii, possiamo ben capire perché questo Crash sia passato in sordina, oscurato dalla qualità del titolo Nintendo.
Una nota positiva è la possibilità di affrontare l’avventura interamente in cooperativa; il multigiocatore riesce a supplire però solo in parte a un titolo debole che rischia di diventare ripetitivo nonostante le poche ore di gioco necessarie per completarlo.
Come da tradizione, il gioco vendette discretamente, al punto da convincere Radical a ritentare con la stessa formula di gioco. Nel 2008, Crash: Mind Over Mutants ripropose lo stesso gameplay del predecessore, adattandolo però ad un contesto semi-open world. Qui possiamo esplorare liberamente il mondo di gioco, senza i classici livelli lineari. In realtà, come nel caso di Crash Twinsanity, non si tratta di un vero open world: si può chiaramente distinguere un hub che porta ai vari livelli di gioco, seppur meno lineari rispetto al passato. Tornano anche le fasi platform, ma in misura davvero limitata: per la maggior parte del tempo, saremo in groppa ai titani a fare a pugni con altri titani, proprio come in Crash of the Titans.
Uno dei problemi più grandi di questo Mind Over Mutants sta proprio nella sua struttura semi-open world: saremo spesso costretti ad attraversare l’intero mondo di gioco avanti e indietro per portare a termine una missione, al punto da rimpiangere i livelli di una volta. Il titolo poi è interamente giocabile in cooperativa, elemento che rende un po’ più digeribile persino l’estremo backtracking.
Dunque, se il titolo va in parte a limare i difetti del predecessore, proponendo situazioni più varie ed abbandonando i livelli claustrofobici di Crash of the Titans, dall’altro presenta nuovi problemi che non gli permettono di superare la mediocrità.
I difetti elencati, uniti al completo allontanamento dal passato, hanno contribuito a relegare Crash of the Titans e Crash: Mind Over Mutants al dimenticatoio. Nonostante le buone intenzioni, la volontà di stravolgere Crash e il suo universo non è andata giù né ai fan, né alla critica.
A presto, Crash
Così, nel 2008, la carriera di Crash Bandicoot si concluse. In quell’anno, Vivendi (e con essa Sierra) venne acquisita da Activision, tant’è vero che su alcune copie di Mind Over Mutants è possibile trovare già il logo della compagnia americana.
In origine destinato a diventare la mascotte di casa Sony, Crash finì la sua carriera dimenticato da tutti o quasi, a causa di scelte poco intelligenti da parte dei publisher e sviluppatori che, negli anni, hanno gestito la sua licenza.
Adesso sappiamo che la sua storia non finisce qui: un nuovo capitolo verrà scritto nel 2017, anno che segnerà il ritorno del peramele. Possiamo solamente sperare che Crash sappia sfruttare questa sua seconda vita e che, magari, tra qualche anno il suo nome sarà sulla bocca di tutti proprio come accadeva nei primi anni 2000.

Dal 2004 in poi, Crash ha cercato di trovare una sua nuova identità, fallendo ogni volta nel tentativo. Tempi di sviluppo di ristretti, scelte sbagliate hanno impedito a Crash di tornare ad essere uno dei grandi protagonisti della scena videoludica, relegandolo ad un ruolo secondario fino alla sua inevitabile scomparsa.

Nonostante ciò, nell’attesa del ritorno del peramele previsto per il 2017, chi avrà voglia di ricordarlo potrà andare a scovare tra i titoli usciti (Crash Twinsanity su tutti, vero faro nella notte qui) in quest’epoca qualche gioco che saprà ricordargli, anche solo per poco, il sapore dei frutti wumpa.