Le lezioni di Red Dead Redemption: redenzione, paternità, Spaghetti Western

Red Dead Redemption, epopea western di Rockstar, indagato in alcuni suoi temi e aspetti poco conosciuti, in occasione della sua recente ripubblicazione.

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Quando uscì nel 2010 nessuno credeva a Red Dead Redemption, al di fuori dei suoi stessi creatori. A costoro era costato tanti mal di testa, altrettante notti insonni e pure qualche strascico giudiziario causa superlavoro.

Eppure non solo siamo ancora qui a parlarne ancora dopo tredici anni, ma abbiamo dovuto aspettare altrettanto prima che questo videogioco uscisse dal limbo delle console vecchie e dei servizi di streaming.

Lo ha fatto lo scorso 17 agosto con un porting che ha portato più polemiche che altro. Controversie che non rivangheremo in questa sede: limitiamoci a dire che il problema non è il porting in sé, ma a quanto è venduto.

Questa sua riesumazione un po’ brutale è però occasione per indagare alcuni aspetti e temi poco noti dell’epoca western di Rockstar.

Il database del West

Red Dead Redemption è solo un «GTA coi cavalli al posto delle auto»? Chiaramente no. All’interno della sua simulazione di West la componente criminale è presente ma tutto sommato non incentivata da parte del sistema.

Il libero arbitrio c’è ma evidenzia le problematiche che derivano da una condotta illecita. Che vi sia la possibilità di comportarsi "bene" oggi appare quasi scontata: del resto circolano ancora voci che in GTA 6 sarà possibile persino la Pacifist Run, ovvero completare il gioco senza uccidere nessuno.

Ma per i tempi il distacco dal crimine possibile in Red Dead Redemption aveva il sapore della frattura, rispetto a quanto ribadito da Rockstar praticamente fin dalla nascita.

Certo il game design di Red Dead Redemption obbligava comunque a un certo margine di approccio: è stato osservato che finché la taglia rimane sotto i 150 dollari è tranquillamente gestibile e non si è né troppo braccati dalle forze dell’ordine né troppo ostracizzati dai cittadini.

Il libero arbitrio è al centro dell'esperienza di Red Dead Redemption.
Se vogliamo, quindi, la promessa di rubacchiare equini altrui è mantenuta, è quando si esagera che la situazione diventa ingestibile a un rischio sempre più esponenziale. Ciò si spiega perché non è una questione di piccole cose: è il principio.

Volente o nolente John si troverà a fare i conti con lo spaccato di un’intera epoca, riconoscibile pure nel suo ovvio usare nomi fittizi.

Qui si affaccia una definizione migliore di quella che è la logica strutturale alla base di Red Dead Redemption: il Database.

Da un punto di vista informatico il database è un insieme dettagliato di alcuni aspetti culturali di un determinato ambito umano. La particolarità sta nel fatto che tale insieme non ha un ordine prestabilito: è il fruitore che deve darglielo. Se ci pensiamo, è esattamente quello che facciamo ogniqualvolta avviamo una sessione a Red Dead Redemption: abbiamo a disposizione un ventaglio di possibilità raggruppate sotto il termine "Western".

A seconda di ciò che vogliamo fare e che esperienza vogliamo vivere, interroghiamo il testo in maniera differente ogni volta. Molti si buttano giustamente nelle missioni della storia principale; solo dopo si realizza che possiamo benissimo ignorarle e dare la caccia ai ricercati, raccogliere piante, addomesticare cavalli selvatici, ripulire i covi dei banditi, aiutare sconosciuti oppure lasciare che sia il gioco stesso a darci qualcosa da fare con gli eventi casuali.

John troverà il modo di sdebitarsi con Bonnie

Una struttura potente, un vero passo avanti rispetto a tutto quello che c’era stato fino a quel momento: Red Dead Redemption non dava solo un mondo vivo che reagiva alle sollecitazioni ma era anche capace di ribaltare il tavolo e sollecitare lui stesso il giocatore a intraprendere qualcosa al suo interno.

Le tre pellicole di Redemption

Facciamo finta che Redemption II (che trovate su Amazon) non sia mai esistito e cerchiamo di calarci o di ricordare quali sensazioni ci avevano animato nel 2010 quando abbiamo avviato Red Dead Redemption per la prima volta. La discesa di John dal battello ci aveva dato il senso della minaccia e della durezza ma anche di orgoglio e determinazione.

Possiamo immaginare il gioco diviso in tre pellicole, come una intera trilogia Spaghetti Western: New Austin, Nuevo Paraiso, West Elizabeth.
Il tono della storia aveva poi confermato le sensazioni della musica: John è sì capace di azioni violente, ma è anche un ex-fuorilegge che sta cercando di rigare dritto e il cui sogno di una vita pacifica e lontana dalla violenza (appunto, di Redenzione) è stata brutalmente interrotta dalle soluzioni sbrigative dei BOI e dei suoi agenti.

Pure se consapevole che sta agendo per un qualche bene superiore che è la salvezza della sua famiglia, John è comunque disgustato dalla violenza che si trova a compiere e il gioco la rappresenta in maniera congrua.

Non andiamo oltre con la trama, perché sarebbe davvero una cattiveria rovinare il gusto della scoperta a chi si è avvicinato alla saga con Red Dead Redemption II. Tuttavia la questione della violenza apre un altro raffronto interessante: l’avventura di John Marston è stata spesso paragonata allo spaghetti-Western (ovvero quelle pellicole western di produzione italiana o italo-spagnola).

Erano film girati con pochi mezzi, dalla violenza grafica marcata e con soluzioni di rottura rispetto al manierismo delle pellicole western americane. Tutte considerazioni giustissime, ma esattamente come la definizione di "GTA nel West" fin troppo semplificatorie.

In questo senso è più giusto definire che la parte spaghetti è solo un terzo di tutta la storia di John: idealmente, infatti, Red Dead Redemption è talmente esteso sia nella durata che nei toni da rappresentare di fatto una trilogia di film in un singolo videogioco.

Ciascuna “pellicola” corrisponde all’incirca all’arrivo in ciascuna delle tre macro-regioni (Stati) della mappa. Ciascuna poi adotta idee, toni, comprimari e spunti di trama provenienti da specifici sottogeneri del western.

Citiamoli brevemente: la prima parte in New Austin obbedisce ai canoni del western tradizionale. Contrasti tra autorità costituita e spontanea, legge e ordine naturale, progresso e miglioramento, buoni e cattivi leggibilissimi.

La seconda parte in Nuevo Paraiso (oltre il confine messicano) è quella con i tratti spiccatamente spaghetti: ruoli meno definiti, violenza più marcata, toni picareschi e satirici.

Infine il ritorno negli Stati Uniti e gli ultimi incarichi nel West Elizabeth obbediscono ai canoni del western revisionista, dove si esploravano meglio le ragioni di popoli (come i pellirosse) fino a quel momento dipinti solo come selvaggi, crudeli e vendicativi.

Red Dead Redemption: padri e contro-padri

L’ultima parte della storia, quando John torna alla sua casa di Beecher’s Hope, esula dall’appena citata divisione in pellicole per approdare alla saga familiare anche di tipo televisivo (pensiamo a serie come Bonanza). Per ovvie ragioni non andiamo oltre nell’esplorazione di questa ultima sezione; ci è però utile per introdurre un altro concetto: la paternità.

Oggi il mondo dei videogiochi è pieno di padri: basti pensare a Joel di The Last of Us, a Booker DeWitt di BioShock Infinite o addirittura a Kratos di God of War. Non è ancora chiaro il perché di questa recente proliferazione; le interpretazioni in questo senso sono due.

La prima fa riferimento all’innalzamento dell’età media del videogiocatore, ormai associata a quel momento della vita in cui ci si accinge a divenire genitori o lo si è divenuti da poco.

La seconda teoria parla invece di un fine didattico ed educazionale dove il padre virtuale “prepara” psicologicamente il giocatore a farsi carico a tempo debito dell’educazione della prole, oltrepassando il vecchio stereotipo in cui tale compito spettava solo alla madre.

Quale che sia la verità, ancora una volta si dimostra quanto Red Dead Redemption fosse in anticipo sui tempi, in quanto è stato uno dei primi a mettere un protagonista che fosse appunto un family-man.

Il cambio evidente sta nel fatto di aver appunto “limitato” il giocatore ma di avergli dato anche una nuova responsabilità virtuale, che traspare dalla vita il più possibile retta e tranquilla che John cercherà di insegnare al proprio figlio Jack.

In ogni caso il concetto di John è lo stesso portato avanti dagli altri padri videoludici visti dopo (tra cui anche i due appena citati): sono figure degne di rispetto (e a volte anche ammirevoli) nella loro missione morale di impartire ai figli le abilità necessarie affinché un giorno possano sopravvivere autonomamente.

La capacità di Red Dead Redemption di graffiare, oltre ai temi satirici già esplorati più volte in altre sedi, sta nella contrapposizione tra due figure paterne, ovvero tra John e il suo vecchio capobanda Dutch Van Der Linde. Abbastanza presto nella storia John si lascia sfuggire che Dutch è stato per lui una sorta di padre putativo, che gli ha insegnato a leggere, a far di conto e a maneggiare le armi.

Ma che era pur sempre un criminale, la cui banda a un certo punto si è sfaldata o comunque ha abbandonato John. Quindi Dutch è una figura paterna fallimentare, che però più che disprezzo induce alla pietà. Del resto, lo stesso Dutch è una figura che sgomita per diventare una sorta di protagonista morale della storia tutta, specialmente dopo il suo ruolo in Red Dead Redemption II.

Red Harlow, Revolver in incognito

Chiudiamo con un piccolo richiamo al passato: non a tutti è noto che prima di Red Dead Redemption c’è stato Red Dead Revolver. Pubblicato su PlayStation 2 nel 2004 (potete recuperarlo a poco come Classico PS2), Revolver rimane tuttora un videogioco atipico.

Di tutti e tre è il videogioco maggiormente pensato come un autentico spaghetti-Western, dalla finta grana giallastra di celluloide usata durante i filmati alla colonna sonora composta da pezzi di repertorio di western all’italiana degli anni Sessanta e Settanta.

Revolver manca tuttavia di molti temi poi principi dei successori, come l’ambientarsi nell’epoca di transizione tra Frontiera e civiltà. Anzi, Revolver è saldamente ancorato al passato, impostando una storia Rockstar dentro a un videogioco di stile Capcom.

Il suo protagonista Red Harlow però è anche lui un pistolero determinato e arcigno, base estetica per quello che sarà John anche da un punto di vista tematico. Red ha a sua volta avuto dei problemi con le figure paterne, solo che nel suo caso hanno condotto alla ricerca di vendetta.

Tutt'oggi sono numerose le teorie che provano a ricollegare Red ai protagonisti di Redemption.
Red Harlow rimane una figura piuttosto atipica e in questo senso non è neppure chiaro se sia esistito nella medesima linea temporale di John e Arthur.

Red è stato inserito solo come “leggenda”, dimenticato ma non perduto. I fan però hanno speculato che Red possa nascondersi sotto mentite spoglie di qualche personaggio di Red Dead Redemption. Le due ipotesi più accarezzate sono che sia o lo Zio o il vecchio Landon Ricketts.

Il primo si baserebbe sul fatto che Zio millanta più volte di essere stato un abilissimo pistolero in gioventù. Chiaramente non viene creduto da nessuno, ma non ci sono neanche le prove che stia mentendo.

In questo senso l’ipotesi Landon Ricketts è più accreditata. Avrebbe senso che Red, archiviata la fama giovanile, si sia ritirato in Messico sotto falso nome, continuando il mestiere di pistolero nel ruolo del tutore dell'ordine ufficioso.

Soprattutto egli è l’unico personaggio esterno a John (prima che ovviamente Arthur venisse creato) che pare essere al corrente del Dead Eye e persino capace di impiegarlo lui stesso.

Le due ipotesi sono state entrambe confutate: la prima è che non tornano le date (Revolver si ambienta nel 1885 e Redemption nel 1911, e lo Zio è troppo vecchio per essere stato Red), la seconda è che Ricketts non ha le cicatrici esibite da Red, sia sul viso che quella caratteristica a forma di scorpione sulla mano destra.

Autentiche o no (neanche Rockstar si è ovviamente espressa a riguardo) entrambe le teorie sono a loro modo fascinose, perché Red stesso rimane un personaggio intrigante nel suo minimalismo: provare per credere.

Conclusione: i cowboy non mollano

In queste righe abbiamo esplorato Red Dead Redemption in maniera un po’ diversa. Non è solo gameplay o una rievocazione virtuale (pur riuscita) del Vecchio West: è lo spaccato di un’epoca e soprattutto un tentativo di dare al videogioco una crescita che fosse intellettuale prima ancora che tecnica.

John, padre di famiglia integro e redento, è l’incarnazione del mito del cowboy che non si fissa ma non smette mai di credere che un altro mondo, un’altra vita e un’altra condotta sono sempre possibili se se ne ha la forza di volontà. È un cowboy, e si rialza pure dopo aver preso un proiettile o essere caduto da cavallo.

Un po’ grande esempio, un po’ amara lezione, è ciò che rende Redemption un capolavoro immortale, che merita di essere riscoperto ancora oggi. Perché a prescindere dalle polemiche, Red Dead Redemption non solo è tornato, ma finalmente è qui per restare: se permettete, questa è una gioia.