Sacred

Avatar

a cura di Plinious

Tra i pc gamer appassionati, quasi tutti hanno provato almeno una volta nella vita Sacred. Rilasciato nel 2004, c’è stato un periodo in cui questo gioco si trovava praticamente ovunque: nei negozi di videogames, ovviamente, ma anche in edicola, in cartoleria o dal tabaccaio. L’aggressiva politica di FX Interactive, che ha distribuito il gioco in Italia a prezzo ridotto e con un’edizione scatolata ghiotta di contenuti, ha fatto sì che questo diventasse popolarissimo nella metà degli anni 2000. E d’altronde non senza merito: al tempo dell’uscita La leggenda dell’arma sacra era uno dei GdR d’azione più freschi e riusciti sul mercato e aveva dei punti di forza che facevano impallidire persino il grande Diablo 2 (da noi trattato in un altro speciale). Eresia? Andiamo a vedere.
Ancaria. Una terra leggendaria che ha vissuto in pace per secoli… fino ad ora
“Ancaria dorme…” Con queste parole pronunciate dal compianto Gianni Musy (il doppiatore italiano di Gandalf) inizia la campagna di Sacred. Una campagna lunga, che ci porta dalle verdeggianti campagne di Bellevue e Porto Vallum fino alla tetra torre di Shaddar-Nur dove l’oscurità è all’opera per allungare il suo dominio sul mondo. Il setting è quello tipicamente fantasy del magico continente di Ancaria, popolato tanto da uomini quanto da orchi, troll e altre creature mitologiche. Sei le classi giocabili, il gladiatore, la serafina, l’elfo silvano, l’elfo oscuro, il mago guerriero e la vampiressa, più due aggiunte dall’expansion pack, il nano e la diavola (o succube); tutti i personaggi partono preimpostati e non possono dunque essere personalizzati nell’aspetto. I livelli di difficoltà sono cinque, ma per poter impostare una difficoltà avanzata bisogna prima aver completato la campagna al livello precedente.
Sacred è di fatto un hack’n’slash in cui personaggi in tre dimensioni si sovrappongono agli sfondi bidimensionali delle ambientazioni. Nei quattro atti della campagna base avremo a che fare con guerre, intrighi, rivolte e tradimenti: coinvolti quasi per caso nelle trame di potere del regno, dovremo aiutare il principe Valor a riprendere il trono, usurpato dall’infido barone De Mordrey, e al tempo stesso scoprire i misteri che si celano dietro a un’invasione di orchi nelle terre del reame, causata, si dice, dal risveglio di un’armata di non morti nel deserto. La trama, bisogna dirlo, è costruita in modo non memorabile, con una narrazione troppo incostante e dispersiva: spesso capita infatti di non avere ben chiaro per quale motivo si stia combattendo contro questo gruppo di nemici o perché ci stiamo recando in quel particolare luogo.
Una cosa però non manca mai, ed è l’umorismo sagace poi diventato un tratto tipico della serie: frequenti sono le battute e le osservazioni taglienti dei personaggi, soprattutto quello impersonato dal giocatore, che spesso e volentieri suscitano una sana risata (a tal proposito, il gioco è totalmente in italiano, voci comprese). Brillanti anche gli epitaffi sulle tombe sparse nel mondo di Ancaria: le scritte sulle lapidi non raramente rompono la quarta parete e contengono alcuni easter egg davvero esilaranti (di cui un paio nelle immagini a lato). Insomma, tutta la narrativa di Sacred si prende con ironia, il che non guasta affatto.
C’è poi il mondo di gioco. E qui non stiamo parlando di una mappa qualunque, ma di un open world immenso e liberamente esplorabile dal giocatore, seppur con delle limitazioni legate alla conformazione del territorio; a causa di montagne e foreste, infatti, talvolta saremo costretti a usare dei passaggi obbligati, ma buona parte delle volte starà a noi scegliere quale percorso prendere per andare da un avamposto all’altro (e qui risiede la più grande differenza in termini di gameplay rispetto al titolo di casa Blizzard). Le distanze sono grandi e rendono importante la conoscenza dell’ambiente di gioco; certo, una volta che avremo scoperto i portali situati nelle varie città potremo teletrasportarci all’istante, ma questi restano comunque pochi e lontani tra loro. In altre parole, il mondo di Ancaria è il protagonista indiscusso di Sacred, per cui se vorrete dominarlo dovrete imparare a conoscerne le strade, le campagne e i pericoli. Diciamo questo non a caso: ad Ancaria vivono alcune bestie leggendarie, da draghi a viverne fino a ragni giganti, e andarci involontariamente a sbattere contro potrebbe non costituire una passeggiata di salute; questi nemici riempiono lo schermo del computer, rappresentano dei veri boss open world e se sconfitti sono pronti a sommergere l’eroe di tesori, ma richiedono una certa preparazione per evitare di lasciarci le penne.
Altalenante la qualità delle quest secondarie: alcune presentano idee e sviluppi intriganti e chiedono di compiere una scelta morale (per esempio se salvare una ragazza rapita o aiutare il mago che l’ha catturata), mentre altre sembrano un mero riempitivo. Anche le missioni meno originali però, pur soffrendo troppo della sindrome “scortami in quel posto lì/portami quell’oggetto là” hanno l’indubbio pregio di farci esplorare nuove parti dell’ambiente di gioco che altrimenti sarebbe facile perdersi. L’esplorazione è insomma il cuore pulsante di Sacred, incentivata da un piacevole ciclo giorno-notte oltre che da un gameplay granitico come una roccia. Le uccisioni dei nemici e il susseguirsi dei livelli scorrono a un ritmo serrato, sorrette dalla febbre per il loot che, come in qualsiasi hack’n’slash che si rispetti, è un altro dei pilastri del gioco. Pur nella sua semplicità grafica, inoltre, Sacred non risparmia scene violente per gli amanti dello splatter, tra cui arti mozzati e abbondanti dosi di sangue (se l’opzione è attivata): inutile dire che noi abbiamo preferito di gran lunga spuntare la casella. Peccato solo per il respawn selvaggio dei mob, che a volte rende un po’ frustrante passare per una zona ripulita dieci minuti prima e vederla di nuovo popolata da orde di demoni.
Quanti gold rubati ai poveri abitanti di Ancaria…
Proprio per la serie “senza loot non so stare”, Sacred implementa un loot system sterminato, con migliaia di oggetti che è possibile trovare: la maggior parte delle armature è specifica di una certa classe, mentre per le armi la scelta è solitamente più libera; basti pensare che il gladiatore può impugnare due armi a una mano, un’arma e uno scudo o un’ascia a due mani, ma anche una balestra o un bastone magico per eventuali combattimenti a distanza. Ogni dieci livelli si ottiene un nuovo slot abilità ma anche un quick slot delle armi aggiuntivo per cambiare equipaggiamento con un clic.
Il drop rate è piuttosto generoso e ai livelli più alti tende a fornirci oggetti unici senza troppe remore; se a questo, poi, sommiamo il fatto che basta frugare in umili casse e barili quando entriamo nelle città per trovare soldi a palate, non ci vuole molto a capire perchè dopo un solo playtrough saremo già schifosamente ricchi.
Ciò che però a lungo termine soddisfa di Sacred è la relativa complessità della sua componente ruolistica: certo, non siamo ai livelli di Baldur’s Gate e di altri GdR duri e puri, ma il sistema di crescita dell’eroe è interessante grazie a un buon numero di tecniche per ciascuna classe che è possibile imparare e migliorare. Ad ogni passaggio di livello possiamo distribuire i punti extra tra gli attributi, come i classici forza, resistenza e destrezza, e le abilità, quali la dottrina delle armi o della magia, ma anche la capacità di cavalcare o di disarmare il nemico. L’insieme di attributi, abilità e combo permette di creare una discreta varietà di build.
Fabbri, maestri di combo e mercanti di cavalli
Oltre ai classici vendor, Sacred presenta diversi personaggi non giocanti che propongono abilità e potenziamenti per il nostro PG in cambio di moneta sonante. I maestri di combo sono esperti maghi dai quali perfezionare le proprie arti di combattimento. In pratica presso di loro possiamo fare due cose: innanzitutto possiamo imparare a generare combinazioni di fino a quattro abilità attive da eseguire in sequenza, avendo così a disposizione una vera catena di mosse spettacolari e devastanti da usare sui malcapitati nemici. La seconda è scambiare tecniche di combattimento, dando al maestro le ricette di tecniche di altre classi e ricevendone in cambio di affini alla nostra, per apprendere nuove abilità o upgradare quelle che già conosciamo.
Andando dal fabbro possiamo invece potenziare permanentemente un’arma o armatura scegliendo tra un incremento al danno magico, un bonus ad attacco e difesa o un misto delle due cose. Infine i mercanti di cavalli, come prevedibile, vendono gli equini che diventeranno i nostri compagni di avventura. Giustamente, a mano a mano che raggiungiamo le regioni più avanzate della mappa gli NPC ci offriranno upgrade più efficaci e cavalli di qualità superiore. Peccato per alcune mancanze dell’interfaccia, tra cui l’assenza di una semplice funzione di confronto degli oggetti per capire al volo se l’item che abbiamo trovato è migliore di quello indossato, che rendono la gestione dell’inventario leggermente macchinosa.
Proprio la gestione della mount di cui dicevamo costituisce una feature importante di Sacred, nonché a suo tempo una delle più innovative. Tale funzionalità è giustificata dalla vastità del mondo di Ancaria, che sarebbe una follia esplorare a piedi. A cavallo ci si muove più velocemente e si può combattere, tuttavia non mancano delle asperità: i cavalli si incastrano spesso negli elementi del paesaggio e, più in generale, sono poco responsivi nei comandi. In occasione delle baruffe più concitate, insomma, è buona cosa lasciarli in un angolino. I problemi di pathfinding, in verità, non risparmiano del tutto neanche il nostro personaggio, ma sono sporadici e riguardano soltanto i luoghi di transizione da un interno a un esterno (e viceversa).
“Un fattore lì, una vacca là… questo posto è proprio noioso”
Notevole la longevità: per finire la prima volta la campagna e diverse quest secondarie abbiamo raggiunto la cinquantina di ore di gioco, con il nostro gladiatore ormai oltre il cinquantesimo livello. Chiaro, se si segue solo la main quest sono necessarie meno ore, ma così facendo si rischia di saltare intere regioni.
Purtroppo è meno rosea la situazione riguardante il comparto multigiocatore: nel 2004 era possibile creare partite dedicate alla campagna, alle missioni o ai duelli (ovvero il PvP) ma oggigiorno i server dedicati ufficiali non esistono più e occorre l’uso di software esterni per giocare in multiplayer.
Nel 2005 ha visto la luce l’espansione Underworld che implementa, oltre alle due classi inedite, due atti, nuove regioni e centinaia di oggetti. La campagna dell’espansione ha uno stile molto diverso da quello della campagna base: pensata per PG di alto livello e ambientata soprattutto nel sottosuolo, Underworld si rivela più lineare ed estremamente difficile.
Infine, una nota sul comparto artistico. È sulla caratterizzazione del mondo di gioco che Sacred perde terreno rispetto al capolavoro Blizzard: alcune regioni sono un po’ anonime, mancando di quel “tocco da maestro” nel tratteggiare ambientazioni vivide con pochi, magici tocchi. Come si suol dire il diavolo sta nei dettagli, e questo Blizzard lo sa benissimo vista la cura maniacale dei suoi prodotti. Sacred da parte sua è un titolo un po’ più grezzo, meno levigato e con alcuni bug qua e là, ma anche con tanta personalità da vendere, che è un dono sempre più raro nei videogiochi.

Bollare Sacred: La leggenda dell’arma sacra come un mero clone di Diablo sarebbe ingeneroso. A dieci anni dall’uscita, il titolo mantiene le buone qualità che ne decretarono il successo: un open world enorme e variegato, una caratterizzazione di nemici e boss convincente e una componente ruolistica di prim’ordine per un hack’n’slash. Peccato per qualche piccolo problema tecnico e per il multiplayer, che oggi non gode più dei server dedicati. In ogni caso, Sacred con la sua espansione Underworld rappresenta uno dei migliori prodotti partoriti dalla defunta Ascaron. E contando che Sacred Oro, l’edizione corretta e ampliata, si trova a meno di 10 euro, vale ancora la pena di farci un pensierino: detto in altre parole, lasciate stare Sacred 3 e (ri)giocate questo.