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Pro
- Stile inconfondibile, sempre fresco e divertente.
- Livelli storici e tematici davvero ispirati.
- Ottima colonna sonora e direzione artistica.
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Contro
- Innovazioni timide e poco incisive.
- Alcuni livelli poco memorabili.
- Mancanza di varietà sul lungo periodo.
Il Verdetto di SpazioGames
Ci sono serie che sembrano vivere fuori dal tempo, sospese in un limbo spazio-temporale dove le uniche leggi che vigono sono quelle dettate dal loro stesse. Katamari Damacy è una di queste: un franchise che non ha mai cercato la popolarità di massa, ma che ha saputo conquistare un numero sempre maggiore di fan grazie alla sua unicità, la sua ironica demenzialità e la sua filosofia del “caos più demenziale”.
È un po’ come quello “zio super figo” che a ogni festività si presenta sempre uguale, come se il tempo per lui non passasse mai, ti fa scoprire qualcosa di sconosciuto e irresistibile (nel mio caso dei dischi incredibilmente di nicchia ma altresì incredibilmente belli). Once Upon a Katamari è proprio questo: il ritorno del parente eccentrico che ti fa ridere, ti confonde e alla fine ti conquista.
Bandai Namco riporta in vita il regno cosmico più bizzarro dei videogiochi con un episodio che non rivoluziona la formula, ma la affina con intelligenza, introducendo piccoli tocchi moderni, una narrazione più coesa e una rinnovata cura per i dettagli. Il risultato è un titolo che sa essere fedele alle proprie origini, ma abbastanza fresco da incantare anche chi si avvicina per la prima volta al mondo del Re del Cosmo e del suo piccolo Principe.
Un disastro cosmico, come sempre
La trama, com’è tradizione nella serie, parte da un disastro provocato dal sovrano più vanitoso e irresponsabile dell’universo. Durante un noiosissimo giorno di pulizie, il Re del Cosmo trova un antico rotolo e, distratto com’è, finisce per usarlo come bacchetta, scagliandolo nello spazio e... distruggendo l’intero universo.
È così che tocca di nuovo al piccolo Principe rimediare ai guai paterni, questa volta viaggiando nel tempo per ricostruire la realtà rotolando essenze umane attraverso le epoche.
È una premessa che riesce a essere al tempo stesso surreale e perfettamente in linea con il tono della saga. Once Upon a Katamari si prende gioco della sua stessa assurdità, ma lo fa con una leggerezza contagiosa, sostenuta da scenette animate e dialoghi spassosi che riescono a strappare un sorriso sincero.
Il centro nevralgico dell’avventura è la S.S. Prince, una nave spaziale che funge da hub narrativo e gestionale. Da qui si possono selezionare i livelli, viaggiare tra le epoche e perfino personalizzare la cabina del Principe con gli oggetti raccolti. Non mancano elementi estetici come la possibilità di creare e nominare i propri “cugini”, piccoli esseri rotolanti che da sempre popolano la serie.
Non si tratta di una componente profonda o strategica, ma è uno di quei dettagli che donano personalità e coerenza all’esperienza, facendola sentire più “completa” rispetto ai capitoli passati.
Le diverse epoche storiche, dall’Antica Grecia al Giappone Edo, fino all’Era Glaciale, si presentano come mondi semi-aperti organizzati in “isole” di livelli. Il giocatore può esplorare liberamente, scegliere quali missioni affrontare e raccogliere oggetti speciali come le tre corone nascoste in ogni stage.
Questo ritmo di progressione più flessibile è un’ottima idea, che evita la frustrazione di dover completare ogni livello per sbloccare il successivo e consente di concentrarsi principalmente sulle sfide più divertenti.
La fisica, volutamente “strampalata”, è ancora parte integrante del divertimento: farsi largo tra gli oggetti, incastrarsi in vicoli troppo stretti o finire travolti da una mucca gigante è frustrante e irresistibile allo stesso tempo.
La principale novità sul piano del gameplay arriva con i Freebies, piccoli power-up che si raccolgono durante le missioni: un magnete che attira gli oggetti, un sonar per individuare elementi chiave, un orologio che ferma il tempo e dei razzi per aumentare la velocità. Sono idee carine, ma non cambiano in modo sostanziale la formula.
Livelli memorabili e trovate geniali
Laddove Once Upon a Katamari brilla davvero è nella struttura dei livelli. Ce ne sono oltre cinquanta, e molti di essi riescono a reinterpretare con fantasia le ambientazioni storiche. La missione “Philosopher Hunt”, ambientata in Grecia, è un piccolo gioiello: bisogna rotolare celebri filosofi e, una volta catturati, sullo schermo compaiono le loro citazioni più famose, in un ironico contrasto tra sapere e caos.
In “Lots of Yokai”, invece, ci si ritrova a raccogliere demoni della mitologia giapponese in un livello immerso nell’oscurità, illuminando il percorso con le anime catturate. Sono momenti che incarnano perfettamente lo spirito Katamari: il demenziale che diventa poesia.
Peccato che non tutti i livelli mantengano la stessa inventiva.
Dopo aver sperimentato quelli più ispirati, tornare a rotolare tra cibo e mobili senza particolari variazioni può risultare monotono. Non è un difetto strutturale, ma la sensazione è che si sarebbe dovuto osare di più, soprattutto considerando il potenziale tematico del viaggio nel tempo.
Una delle novità più curiose è la modalità KatamariBall, una sorta di competizione a squadre dove quattro giocatori devono raccogliere oggetti e depositarli sulla propria nave per accumulare punti. Durante la recensione, i server non erano ancora particolarmente popolati, ma anche con dei tempi di attesa leggermente più linghi del previsto, la modalità ha lasciato, comunque, un’impressione positiva: semplice, caotica e potenzialmente molto divertente, specialmente in compagnia. È un’aggiunta che, se ben supportata, potrebbe dare nuova linfa alla formula Katamari anche sul lungo periodo.
Sul fronte tecnico, Once Upon a Katamari mostra tutto l’amore di Bandai Namco per l’estetica originale della serie Le texture sono più pulite, i colori più saturi e il design mantiene quel fascino naïf tipico del franchise. L’interfaccia è stata modernizzata senza sacrificare la sua stravaganza, mentre la colonna sonora resta un punto fermo: un mix di J-pop, motivi folkloristici e melodie strampalate che accompagnano perfettamente ogni follia a schermo.
La scrittura, poi, conserva quella comicità surreale che da sempre caratterizza la serie. Il Re del Cosmo è ancora un concentrato di narcisismo e vanità, il Principe un eroe riluttante ma adorabile, e ogni dialogo sembra un piccolo sketch animato. È un mondo che continua a far sorridere, anche senza bisogno di spiegare troppo.
Non osare abbastanza
Se c’è un aspetto che impedisce a Once Upon a Katamari di raggiungere l’eccellenza, è la mancanza di coraggio. La serie è sempre stata imprevedibile e sopra le righe, ma questo capitolo preferisce rimanere nella sua comfort zone. Le nuove meccaniche funzionano, ma non sorprendono; la narrativa è più curata, ma non si discosta dalle tematiche già viste e, pur offrendo momenti memorabili, il gioco fatica a mantenere un livello costante di brillantezza.
In un momento storico in cui ogni cosa assurda può essere trasformata in "meme", e ogni "meme" in un trend, Once Upon a Katamari ignora, nuovamente, le regole e, invece di strafare cercando di conquistare più giocatori, preferisce non osare eccessivamente, mantenendosi fedele alla fan base che lo ha sempre amato per quello che è.
È un po’ come se il Principe, nel suo rotolare, avesse deciso di evitare gli spigoli più strani del suo stesso universo. Eppure, forse è proprio questa sua misura a renderlo così piacevole. Once Upon a Katamari non vuole essere un capolavoro, ma una festa di colori, suoni e assurdità. E in questo riesce perfettamente.