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Recensione

You're Not a Banana: Chapter 1

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Avatar di Stefania Sperandio

a cura di Stefania Sperandio

Ex Editor-In-Chief

Pubblicato il 04/05/2014 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Se c’è una cosa di cui siamo certi, relativamente al panorama indie, è che da esso provengono alcuni dei giochi stilisticamente più originali dei tempi recenti. Grazie alle odierne possibilità di crowdfunding, anche un solo creativo ha l’opportunità di mettere a frutto le sue idee, dicendo la sua in un’industria sempre più variopinta. Così, mentre le grandi software house si trovano a sgomitare tra una tripla A ed un’altra, c’è quell’altra faccia della moneta rappresentata dalle piccole produzioni che tentano di proporre qualcosa dal sapore nuovo. Rientra sicuramente in questa categoria You’re Not a Banana – Chapter 1, titolo d’esordio dell’eccentrico Brian Cullen, che potete acquistare online per 2,49€ (o 2,99€, colonna sonora inclusa). Il protagonista del suo gioco? La più totale follia.

You’re not making any sense
Ci troviamo innanzi ad un prodotto del quale è anche difficile parlare: a meno che non abbiate la malizia di premere l’apposito tasto direzionale su tastiera per scegliere il protagonista giusto, una volta avviato il gioco vi ritroverete nei panni di una banana. Ma, dal momento che come dice il titolo voi non siete banane (canzonando in maniera raffinata Magritte e il suo Ceci n’est pas une pipe), in breve verrete riportati al menù principale ed invitati a ritentare, per scoprire che c’era la possibilità – inizialmente non indicata su schermo – di utilizzare un altro personaggio.
Basta forse questo esempio a consentirvi di valutare l’atmosfera di cui è pregno il gioco, che attinge a piene mani dall’ironia e dal nonsense più sfrenati, rendendovi protagonisti di un’avventura che si ispira alla vita di tutti i giorni, ma che tenta di colorarla di sfumature quasi allucinate.
Il pattern dei controlli è minimale e semplicistico, limitato alle sole frecce direzionali e al tasto spazio che consente di interagire con eventuali oggetti presenti negli scenari. L’autore, Cullen, sfrutta quest’impostazione estremamente immediata per mettervi al centro di qualche scena che, sulla carta, non sembra proprio esaltante: vi basti considerare che l’intera sceneggiatura verte sul fatto che l’innominato protagonista ha bisogno di acquistare del latte per fare colazione. Fissato quest’obiettivo, si snodano diversi eventi (molto molto molto brevi, sottolineiamo) di cui siamo resi protagonisti, e nei quali trionfa ancora una volta il nonsense: tenetevi pronti a schivare pianoforti che vi attraversano la strada, o a sentire un’enorme lumaca cantare La Donna è mobile – per citare solo i primi due esempi che ci tornano alla mente. Cullen tenta di proporre la non-narrazione del suo gioco con un piglio in cui spiccano di sicuro la personalità e l’originalità, che si fanno elementi portanti di tutto il prodotto. Peccato tuttavia che, da un punto di vista narrativo, queste scelte risultino però fini a se stesse, non riuscendo a legarsi in un intreccio vero e proprio, seppur possano strappare sicuramente un sorriso. Nella presentazione del gioco, l’autore ha messo in evidenza la trattazione di alcune tematiche, alle quali effettivamente si avvicina: per fare un esempio, Cullen vi proporrà la sua opinione sulle gallerie d’arte, e lo farà in un modo sicuramente divertente, ma che non aggiunge al tema niente più di quanto non possa riferire un profano qualsiasi quando si trova innanzi ad un’opera d’arte contemporanea di difficile interpretazione.
Aprite bene le orecchie
Se c’è un aspetto che è davvero brillante in You’re Not a Banana, quello è il sonoro. Lo sviluppatore ha proposto uno stile grafico retrò, al quale è riuscito ad abbinare un comparto audio che riuscirà sicuramente a far sorgere in voi un po’ di nostalgia per l’epoca a 8-bit. In sede di promozione del gioco, Cullen aveva effettivamente posto l’accento sull’utilizzo originale degli effetti sonori e della musica, ed in questo caso la rimarcazione risulta sicuramente meglio motivata di quella relativa alle tematiche.
La colonna sonora è brillante, adatta ed ispirata, e ci sono fasi di gioco dove addirittura viene richiesto all’utente di premere spazio per chiudere gli occhi ed affidarsi ai soli effetti sonori per risolvere determinati puzzle. Poco prima della fine, ad esempio, il prodotto propone una scena estremamente riuscita, che non vi anticipiamo, che metterà in trappola i giocatori meno attenti e poco avvezzi ad aprire bene le orecchie per fare caso agli effetti sonori che vengono riprodotti mentre camminate.
Uno degli elementi interessanti dell’interazione, che risulta comunque ridotta all’osso, è legato al fatto che You’re Not a Banana vuole che usiate il cervello, e fornisca pochi suggerimenti per comprendere qual è la prossima cosa da fare per procedere. Purtroppo questa scelta si scontra spesso con uno schema di controllo un po’ macchinoso, come quando vi capiterà di dover ascoltare gli effetti sonori per trovare un oggetto nascosto, ma questi non vengano riprodotti al primo tentativo, rischiando di mandarvi fuori strada.
Se, quindi, da un lato You’re Not a Banana – Chapter 1 sorride per le scelte grafiche e per il comparto audio, dall’altro deve scontrarsi con interazioni a tratti un po’ legnose. Oltretutto, il numero di scene proposte è estremamente esiguo, e l’intero gioco si può portare a compimento in circa mezz’ora già al primo tentativo.

– Splendido sonoro

– Stile grafico nostalgico ben realizzato

– L’autore è un maestro del nonsense

– Davvero cortissimo

– Alcune interazioni un po’ laboriose

7.0

You’re Not a Banana propone, con questo primo capitolo, alcune idee interessanti, sopratutto se si valuta che l’intero lavoro è stato svolto da un solo sviluppatore. Il gioco vanta un comparto sonoro estremamente degno di menzione, ed un’atmosfera di divertente nonsense che sicuramente vi intratterrà. Tuttavia, propone anche delle interazioni a tratti legnose e che in alcuni casi rischiano di mettervi in difficoltà, alle quali affianca una longevità sulla quale sicuramente Cullen poteva lavorare un po’ di più.

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