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Recensione

The Park

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Pubblicato il 13/11/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

6.5

Quando in un videogioco si vuole sperimentare con la narrazione, è sempre molto difficile trovare un buon equilibrio tra tutti gli elementi. Capita talvolta che le idee più brillanti mettano in evidenza un lavoro migliore su uno dei comparti a discapito degli altri, influendo pesantemente sul valore finale dell’opera. The Park punta tutto sulla storia che ha da raccontare, sacrificando visibilmente un sistema di gioco che diventa accessorio e funge quasi da pretesto per mostrare all’utente tutto ciò che si trova all’interno del parco giochi fatiscente che dà il nome al progetto.
Il parco degli orrori
I parchi dei divertimenti sono solitamente dei luoghi che ospitano la felicità di bambini e adulti, regalando al contempo forti emozioni che solo le corse più spericolate sono in grado di offrire. Anche Nathaniel Winter, uomo d’affari che aprì l’Atlantic Island Park nel ’77, condivideva questa visione di positività, ma alcuni terribili incidenti e grotteschi omicidi hanno nel tempo gettato una brutta ombra sul luogo. Quando Lorraine arriva sul posto assieme al proprio figlio, forse in cerca di un po’ di serenità, tutto è incredibilmente silenzioso e immoto. Il piccolo sguscia via all’interno della struttura, l’unica guardia lascia entrare Lorraine nel parco, e nelle successive due ore che compongono l’avventura si assiste a una discesa negli inferi della mente davvero terribile. Non tanto per ciò che viene messo in scena, perché in realtà di orrore vero, in The Park, non ce n’è; si tratta piuttosto degli argomenti trattati da Funcom e dal modo in cui si assiste gradualmente al disfacimento della realtà, ricorrendo nella parte finale ad alcuni artifizi tecnici che prima confondono e poi confermano i terribili sospetti che l’utente sviluppa nell’arco della breve avventura. The Park andrebbe premiato già solo per questo, eppure il suo impianto di gioco è talmente debole da oscurare in parte quanto di buono è stato fatto con la trama e con la discreta narrazione ambientale. Quello a cui deciderete eventualmente di giocare è infatti un titolo che va subìto, dove la partecipazione del giocatore è davvero minima e mai determinante. È quello che viene non troppo erroneamente definito un “walking simulator”, con momenti snervanti per via della troppa lentezza con cui si procede e altri per nulla necessari ai fini della storia. La protagonista, con la scusa di cercare il proprio figlio all’interno del parco dei divertimenti, si muove lungo i punti chiave della grande area, interagisce con le poche attrazioni presenti e viene trasportata tutte le volte in sezioni scriptate in cui non ha la possibilità di muoversi. Questo accade sistematicamente dall’inizio alla fine, senza che possiate in qualche modo evitarlo. C’è anche una scena dove sarete a bordo di un cigno meccanico che attraversa un canale e che passa dentro una galleria in cui vi viene raccontata la fiaba di Hänsel & Gretel per 10-15 interminabili minuti. Finito il giro, l’unica domanda che vi farete sarà: “E quindi?”
Perdere se stessi
E quindi The Park ha degli enormi problemi di ritmo, poche idee realmente utili e parecchi riempitivi. In un gioco che non riesce a superare le due ore, la proposizione di situazioni non necessarie è un difetto per nulla trascurabile. C’è insomma la chiara impressione che gli sviluppatori abbiamo voluto usare il parco come scusa per giustificare la presenza di un paio di punti nodali della trama che si identificano con le attrazioni presenti, rendendo tutte le altre un contorno di poco conto. La storia si sviluppa su due livelli: in primo piano, c’è il dramma della protagonista che si palesa in punta di piedi fino a esplodere nel finale; dietro le quinte, i documenti testuali offrono qualche indizio in più su ciò che è accaduto nel parco fino al momento della sua chiusura. Pare a tratti che questi due livelli si intersechino sul serio, ma in fin dei conti non è esattamente così: se da una parte c’è una tematica forte e davvero ben trattata, dall’altra ci sono informazioni che potrebbero tranquillamente rimanere in ombra. Alcune metafore sono poco convincenti, i crimini che vengono narrati sommariamente sullo sfondo non creano la giusta tensione e non lo fa nemmeno l’atmosfera, che si rivela essere sin troppo smorta. L’incuria per ciò che è di contorno si nota anche nei file di testo, alcuni dei quali realizzati con dei font minuscoli e a tratti incomprensibili. Non c’è ovviamente nessun mostro, nessun combattimento e nessuna reale minaccia: in The Park dovrete solo camminare o correre lentamente, arrivare nei punti di interesse, leggere un paio di documenti e godervi il finale. È esattamente nella sezione di coda che il titolo dà il meglio di sé, gettando il giocatore nello sconforto tipico che si prova visitando un’area tetra e inospitale. tutto sommato funziona bene, ma non è abbastanza per fare di The Park qualcosa di realmente imperdibile. Sebbene ci siano degli spunti narrativi davvero buoni, che riescono a tratteggiare dignitosamente una condizione difficile da spiegare per chi non la vive in prima persona, è impossibile soprassedere su difetti marchiani che inficiano la qualità complessiva dell’opera.

– Buona la storia della protagonista

– Tematiche particolari trattate discretamente

– Grandi problemi di ritmo

– Interazione pressoché nulla

– elementi di contorno poco interessanti

6.5

Con 13 euro, avrete una buona storia da seguire e ben poco con cui interagire. Anche se vi piacciono i titoli di questo tipo, dove tutto ciò che bisogna fare è leggere dei documenti e scoprire il finale un po’ telefonato del racconto, dovrete fare i conti con un comparto tecnico appena discreto (i modelli dei personaggi sono decisamente sotto la media) e degli elementi di contorno poco interessanti. Si tratta insomma della classica alternativa al film serale, che si porta a termine tutta d’un fiato.

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