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Recensione

Tacoma - Scopriamo la versione per Playstation 4

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Pubblicato il 13/05/2018 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Finiti gli scroscianti echi dei meritatissimi applausi ricevuti per Gone Home, i ragazzi di Fullbright Company si sono rimessi al lavoro per assicurare alla loro opera prima un degno seguito, che pure esulasse dalla storia lì narrata e dimostrasse quanto il talento di questo piccolo gruppo di sviluppatori fosse pronto ad esplodere.
Tacoma ha debuttato su piattaforme Microsoft (PC e Xbox One) la scorsa estate, ricevendo recensioni positive dalla stampa, compresa la nostra, firmata dal nostro Valthiel, ed è giunto dalle party di Sony solo lo scorso otto maggio, portando in dote la sua storia magnetica ed un cast di personaggi difficile da dimenticare.
Noi, ovviamente, Dual Shock 4 alla mano, lo abbiamo rigiocato per voi.
Scatole nere dal futuro
Come per tutti i prodotti che basano gran parte delle loro fortune sulla narrativa, parlare della storia che sottende a Tacoma equivarrebbe ad una sfrenata corsa su un tappeto di uova, tra inevitabili spoiler e spiacevoli anticipazioni: nonostante il gioco sia sul mercato da quasi un anno nella sua forma PC e Xbox One, moltissimi tra i nostri lettori che posseggono solamente una PS4 potrebbero non averlo giocato, e allora, un po’ come fece il buon Valthiel in occasione della prima recensione, ci limiteremo ad un accenno sulle premesse iniziali.
Nel gioco vestiremo i panni di Amy Ferrier, messa sotto contratto dalla Venturis Corporation per recuperare ODIN, una preziosa intelligenza artificiale la cui analisi potrebbe spiegare cos’è accaduto all’equipaggio della Tacoma, immensa stazione spaziale turistica.
Siamo nel 2088 e i viaggi nello spazio sono diventati alla portata di tutti, tanto da prendere gradualmente il posto di quelli sul nostro ormai vecchio pianeta: in questo scenario, com’è ormai assodato che in futuro accadrà, mega corporazioni si sono spartite il business, offrendo pacchetti di servizi assai elaborati, composti da assistenza umana ma anche di fini intelligenze artificiali.
Stavolta, però, qualcosa è andato terribilmente storto: il segnale si è interrotto all’improvviso, e tra il personale della Venturis c’è chi parla di una pioggia di meteoriti, il che, in ogni caso, non spiegherebbe perché una stazione spaziale popolata da migliaia di persone sia improvvisamente deserta, pur essendo rimasta perfettamente integra nella sua struttura.
Nonostante evidenti differenze in quanto ad argomenti trattati, ritmo dell’avventura e stile narrativo, l’ispirazione più evidente sembrano essere film del calibro di Alien, anche se poi, una volta giunti sulla Tacoma, appare da subito chiaro da dove Fullbright Company abbia preso l’idea per la narrazione ambientale, ovvero dal sottovalutato Everybody’s Gone to the Rapture di The Chinese Room.
Anche in questo caso, infatti, l’avanzata tecnologia a bordo della nave consentirà al giocatore di rivivere istanti di vita dell’equipaggio, registrati digitalmente e riproducibili una volta rinvenuti: quanto e più del primo Bioshock (a proposito, due dei tre componenti del team di sviluppo hanno lavorato alla saga), già maestro nel portare lo storytelling ambientale ad altissimi livelli, in Tacoma si perlustra, ci si guarda in giro, si esamina ogni anfratto della stazione spaziale alla ricerca delle memorie digitali di persone scomparse nel nulla, alla ricerca della chiave di volta del mistero.
L’opera di scrittura è sopraffina, e, come per la protagonista di Gone Home e la sua famiglia, si finisce presto per affezionarsi agli uomini e alle donne di cui si osservano fotografie, si leggono diari, si guardano stralci di routine quotidiana: la dozzina di personaggi principali, attorno ai quali ruota la narrazione, finiranno con il diventare tremendamente familiari nel breve volgere dell’avventura, che anche i giocatori più lenti e metodici riusciranno a portare a termine entro le quattro – cinque ore.
Ed è proprio qui la grandezza del team di sviluppo, capace come pochi di dar vita a personalità forti, credibili, a tutto tondo.
Un libro in formato digitale
In assenza di combattimenti, di puzzle e di qualsivoglia forma di interazione ambientale che vada oltre il riavvolgere, stoppare o mandare avanti i filmati rinvenuti e inserire codici per sbloccare porte e terminali, Tacoma fonda tutto il suo appeal sulla potenza dei legami tra i personaggi, sulle loro storie personali, sull’attualità dei temi trattati e sulla delicatezza con cui si è scelto di affrontarli, ponendo domande lecite piuttosto che fornendo vaghe risposte.
Il ruolo delle intelligenze artificiali, la colonizzazione dello spazio, lo straniamento del singolo in una società altamente automatizzata e governata dalle multinazionali sono solo alcuni degli spunti di riflessione proposti dal prodotto, che, come tale, si candida ad opera assolutamente di nicchia, incapace di coinvolgere le masse, che pure trarrebbero enorme beneficio dal porsi alcune delle domande di cui si fa latore.
Superata una volta per tutte (o almeno così speriamo…) l’arida questione del gioco/non gioco che ha accompagnato fin troppo a lungo prodotti di questo tipo, sarebbe ora di apprezzare maggiormente l’enorme mole di lavoro che c’è dietro queste produzioni, oltre al contributo che esse portano al medium videoludico nella sua interezza.
Tacoma, peraltro, e il team di sviluppo di pari passo con esso, si fidano così tanto della bontà della sua scrittura da permettersi di svelare larga parte dei misteri già a metà del percorso, lasciando comunque in mano al giocatore sufficienti strumenti per prolungare la sua sosta sulla stazione spaziale senza che la noia emerga: se la memoria non ci inganna, pochi titoli nell’ultimo lustro (e, più in generale, nella storia del medium videoludico) hanno osato tanto, soprattutto non potendo contare su chissà quale nome e su un battage pubblicitario di un certo peso.
Bene, come su PC e One
Oltre alla bontà della sceneggiatura e allo spessore dei personaggi, abbiamo confermato il voto assegnato l’anno scorso anche in considerazione del fatto che la versione PS4 da noi testata (su una console Slim collegata ad un televisore Full HD) non ci ha dato problemi di sorta, rivelando una cura nel porting almeno pari a quella riposta nella costruzione degli ambienti e delle suppellettili di cui la Tacoma è piena.
Nonostante la natura indipendente del prodotto e il lasso di tempo relativamente breve per il porting su console Sony, The Fullbright Company ha svolto un lavoro pulito, restituendo al pubblico Playstation 4 un codice lindo, senza sporcizie visive né bug rilevanti.
Se a questo si aggiungono una colonna sonora minimalista ma efficace, una buona modellazione poligonale delle ambientazioni e un framerate solido, sebbene mai messo alla prova dai ritmi molto lenti del prodotto, appare evidente come il confezionamento audiovisivo si ponga quantomeno sullo stesso livello di quello narrativo, a comporre un pacchetto che tutti gli appassionati di fantascienza (e, più in generale, di storie e personaggi ben scritti) dovrebbero seriamente prendere in considerazione.
Sì, anche quelli che non masticano bene l’inglese, vista la capillare sottotitolazione italiana.

Storia non particolarmente complessa ma ben scritta

Personaggi che vi sembrerà di conoscere da una vita

Ritmo sincopato, ma costante

Grande atmosfera

Un paio di sezioni mirano ad allungare il brodo

8.0

Come nella sua incarnazione per sistemi Microsoft, Tacoma su Playstation 4 è un inno alle storie ben scritte, alla piena maturità che il medium videoludico ha raggiunto anche in ambito narrativo, al lavoro di un gruppo di ragazzi che sta prendendo sempre più confidenza con i propri mezzi.

Dura poco, è scarsamente interattivo e non tutti ne apprezzeranno lo stile, ma questi dati di fatto nulla tolgono alla qualità del lavoro di sceneggiatura, all’incredibile spessore dei personaggi, alla delicatezza dei temi trattati e agli intelligenti quesiti che il titolo si pone.

Se non avete avuto occasione di giocarci (leggerlo?) al debutto sul mercato, eccovi una pronta occasione per fare ammenda e regalarvi tre o quattro ore di qualità.

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