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Recensione

Onechanbara: Bikini Samurai Squad

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Avatar di Alex Overkilll

a cura di Alex Overkilll

Pubblicato il 15/11/2009 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

4

Onechanbara è una serie con diversi anni alle spalle, poco nota al mercato occidentale e con un discreto numero di uscite consolistiche nel proprio curriculum. Solo in occasione del suo approdo sulle macchine da gioco di ultima generazione ha deciso di proporsi oltre i confini nipponici, offrendo quest’esclusiva per console Microsoft nella speranza di colmare la sua lunga assenza in territorio europeo. Vuoto di cui nessuno avrebbe mai patito? Scopriamolo nelle prossime righe.

Squartamenti mai tanto soffertiCiò che Bikini Samurai Squad chiede all’utente è disarmante nella propria semplicità, anche troppo: uccidere a colpi di katana le orde di zombie che si sono messe a invadere il setting del titolo, spargendo interiora e fluidi corporei di questi eserciti del male lungo tutto il percorso battuto. La storia allestita, che dovrebbe poi giustificare azioni e obiettivi ludici, risulta tuttavia brutta, banale, prevedibile e raccontata male da dialoghi e passaggi narrativi semplicemente imbarazzanti, che non vedrete l’ora di saltare al suono di un fragoroso button mashing sul comando “start”. Un plot, insomma, che non sa coinvolgere, prendere, interessare, nè tantomeno divertire, lasciando sperare in bene solo per la parte del gioco interagibile attivamente in prima persona.Si viene allora catapultati in un disparato assortimento di location impersonando una delle tre eroine complessive: Aya, Saki e Annna (no, purtroppo non si tratta di errore di battitura!). Le prime due fanno della lame affilate il proprio strumento di morte prediletto, la terza ripiega invece su più convenzionali (umanamente parlando) bocche di fuoco, stravolgendo (solo parzialmente, e in peggio) il gameplay con un goffo mix di elementi shooter. Spesso è il computer a dire quale fra loro debba essere usata, anche se nella maggior parte dei casi la scelta di selezione spetterà al giocatore, chiamato a formare un tag team di due elementi intercambiabili durante il procedere della missione. Ognuno dei venti atti del titolo va giocato dall’inizio alla fine nello stesso, identico, imperturbabile modo: violentando ripetutamente il tasto attacco di fronte agli avversari, senza mai fermarsi un solo secondo. L’obiettivo da raggiungere è sempre il medesimo: sgominare le barcollanti forze nemiche, meta saltuariamente puntellata da combattimenti contro boss (spudoratamente riciclati nella seconda metà dell’avventura) e patetiche ricerche di chiavi con cui aprirsi nuove vie d’accesso. Come se infatti tale ripetitività di fondo non fosse abbastanza, la totale assenza di un adeguato “accompagnamento” ludico sferra un colpo decisivo alla restante offerta del prodotto. Non si sa mai esattamente dove andare e cosa fare per procedere nella carneficina, le mappe consultabili si rivelano scomode e troppo sommarie, e le soluzioni eccessivamente stupide e senza alcun senso logico (perchè per aprire una porticina facilmente distruttibile si dovrebbe andare a caccia di una chiavetta misteriosamente imballata in una scatola di cartone?). Completa l’opera di distruzione (neurologica) la presenza di telecamere troppo spesso ingestibili, orientate al proprio incastramento in pareti invisibili e alla più totale noncuranza nel supportare il povero giocatore in battaglia.

Tecnica in bikiniSe è la piattezza a imperversare nel gioco, un flebile barlume di speranza viene acceso da diverse meccaniche concettualmente promettenti. Un indicatore su schermo segna quanto lorda di sangue sia la propria arma. Quando infatti questo si riempie – a seguito di un massacro prolungato e ripetuto – la lama non taglia più, diventando non solo inutilizzabile, ma anche dannosa, potendosi conficcare pericolosamente nei corpi dei nemici, e lasciando così il personaggio scoperto ai loro colpi. Unica prevenzione: lo svuotamento di tale barra è possibile servendosi di un apposito comando che permette sì la pratica pulizia della fidata katana, ma interrompe anche ogni azione offensiva della ragazza in uso. Altro interessante elemento: il sistema di combo. Dietro l’imperversante button mashing richiesto da Onechanbara si nasconde infatti una meccanica per l’inanellamento di colpi basata sul tempismo e la corretta pressione del tasto attacco al ritmo dei fendenti andati a segno, capace di costruire complesse combinazioni marziali. Questi elementi, uniti all’agganciamento automatico, alle Ecstasy Moves (super-mosse attivabili dopo avere annientato un numero crescente di nemici consecutivamente), al Rampage Mode (stato di berserk attivato da un eccessivo spargimento di plasma) ed al Clear Sight (sorta di bullet-time innescabile da perfette schivate in modalità lock-on) sono materiale capace di donare un’addizionale (quanto potenziale) profondità al prodotto, ma che – mal sfruttate e implementate come sono – indorano appena una pillola troppo dura da mandar giù. La loro stessa presenza viene quasi nascosta dal prodotto, totalmente privo di tutorial, istruzioni (manuale cartaceo compreso) e note esplicative, con solo un pugno di poco utili “tips” da sbloccare. Una facciata povera che si fa riflesso di grande mancanza di cura e amore, per il gioco e per i giocatori che lo fruiscono.

Ruolismo zombieA dare un’effettiva spinta propulsiva al lavoro è probabilmente il sistema di esperienza estrapolato dalla tradizione GDR. Uccidendo l’uccidibile diventa infatti possibile impossessarsi di punti esperienza con cui salire di livello e potenziare i parametri di ogni personaggio. Più uccisioni diventano dunque porta d’accesso a maggiori incrementi di salute, forza e destrezza, capaci di agevolare non poco i compiti prestabiliti. Speciali oggetti casualmente droppabili dai nemici possono poi garantire un prezioso e gradito supporto, ripristinando HP perduti, annullando l’effetto berserk, o elevando esponenzialmente per un arco di tempo limitato le proprie capacità fisiche.Di spiccata derivazione ruolistica risulta essere anche tutta una serie di speciali amuleti – unico equipaggiamento disponibile – acquisibili soddisfando una serie di requisiti severi. Questi elementi hanno il merito di garantire da soli una certa longevità al titolo, per lo meno a tutti coloro che si sentissero achiever e volessero sentire pulsare le proprie vene con un piacevole senso di potere. Solo due colorate guarnizioni, comunque, su un dolce troppo amaro.

Spettacolo horrorGià abbastanza mutilato dal gameplay, Onechanbara dà il peggio di sè nel proprio aspetto grafico, affatto meritevole di venire presentato su una console come quella Microsoft. In tutto e per tutto sembra di trovarsi davanti a un titolo di passata generazione, considerabile ben poco attraente anche per i canoni della prima Xbox. E se le protagoniste raggiungono la mediocrità, con modelli poligonali troppo dozzinali e animazioni semplicemente ridicole, gli scenari sprofondano veramente nel grottesco. Tutte le location che si finisce per visitare sono contraddistinte da una sconvolgente mancanza di cura e dettaglio, equiparabili più a cartonati bidimensionali sistemati frettolosamente. Poligoni sgranati e grossi come macigni fanno capolino in ogni dove, ricordando scomodamente nell’era dell’alta definizione il passato remoto del videogioco. Appena migliore il comparto sonoro: da una parte, quella dei diversi effetti, completamente carente e deplorevole, dall’altra quella invece musicale, composta da motivetti tutto sommato orecchiabili, pur alla lunga noiosi e senza molta personalità

Online, questo sconosciutoNon pago d’avere fatto abbastanza scempio di una buona e salutare esperienza di gioco, il prodotto ultima il proprio processo di auto annichilimento accanendosi contro l’ultimo aspetto che avrebbe potuto – in extremis – salvarlo: l’online. Questo infatti non solo viene completamente ignorato, ma nemmeno rimpiazzato da una modalità cooperativa offline decente, incapace di leggere i salvataggi di più giocatori sulla stessa console, nel caso diversi utenti decidessero di usare i propri personaggi livellati. Una mancanza questa, sopratutto su una macchina tanto votata al gioco in rete come 360, che si fa proprio mortale e ingiustificabile.Come per voler colmare le incalcolabili lacune in esso presenti, Onechanbara dispone di due opzioni dedicate agli utenti rispettivamente più feticisti e hardcore. La prima permette di (s)vestire le ragazze del titolo a proprio piacimento con i pochi oggetti e straccetti sbloccati, aprendo la possibilità di lasciarle deambulare anche solo in biancheria intima. La seconda è invece una piccola e spoglia sala dei trofei che visualizza le quest portate a compimento nel corso delle missioni, purtroppo rivelabili solo armandosi di tanta pazienza e dedizione, parole poco in sintonia con un prodotto similare. Ecco allora, nel tentativo di arricchire tale personale “tabellone segnapunti”, mirare all’uccisione delle bestie più feroci, all’esecuzione delle combo più complesse, e a tutto un ventaglio di prove incentrate su rapidità, perseveranza e ingegno.

– C’è tanto sangue…

– Ci sono tanti zombie…

– Ci sono ragazze maggiorate…

– Apprezzabili elementi GDR

– Ripetitivo alla nausea

– Tecnicamente imbarazzante

– Gameplay disastrato

– Niente online!

4.0

Approcciarsi positivamente a Onechanbara: Bikini Samurai Squad è impresa di non poco conto, considerata la quantità di difetti e lacune che lo condiscono in dosi abbondanti. Il gameplay si rivela troppo semplice e sfregiato da imperdonabili mancanze, pur presentando un paio di idee interessanti, per quanto molto mal concretizzate. La ripetitività regna sovrana, chiamando il giocatore a muoversi dentro un mondo e una storia privi di attrattiva e fascino, e solo deturpata da tanta scarsità di cura, attenzione e buongusto. La totale assenza dell’online uccide infine proprio del tutto questo prodotto difettoso e mal realizzato, sconsigliato anche ai più coraggiosi estimatori dell’hack’n’slash. Gli elementi di stampo rulistico lasciano intravedere un raggio luminoso, comunque troppo lontano e sottile per dipanare le tenebre videoludiche del prodotto.

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