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Recensione

Last Word

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Avatar di Domenico Musicò

a cura di Domenico Musicò

Editor

Pubblicato il 10/07/2015 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7

Lamentarsi della ripetitività e dei cliché tipici dei jrpg è cosa buona e giusta, perché in intere decadi segnate da indimenticabili capolavori e trascurabili cloni, il genere ha in verità fatto sempre molta fatica a rinnovarsi. Prendersi grossi rischi e osare fino in fondo è ormai diventata una prerogativa degli sviluppatori indie, che sembrano quasi noncuranti delle conseguenze derivate da eventuali flop; ecco dunque che come al solito ci si ritrova a elogiare il coraggio di chi è ben al di fuori delle logiche delle grandi aziende, poiché in simili realtà (talvolta composte da una sola persona) non ci sono mai grossi capitali da dover gestire e controllare con attenzione. Tra migliaia di progetti che non riescono a venire a galla in alcun modo, e altri che meriterebbero una chance ma che rimangono inspiegabilmente nell’oblio, spunta fuori anche Last Word, che si presenta con un approccio alternativo e originale agli RPG a turni classici.
Le parole sono importanti
Nel mondo di Last Word, le parole valgono letteralmente più di qualunque azione. Avere l’ultima parola, nella società aristocratica degli anni ’40 tratteggiata da Twelve Tiles, è il modo ideale per dimostrare il proprio potere sugli altri. Se poi questa società è rappresentata da un manipolo di persone che si radunano nella prestigiosa residenza del professor Chet Chatters – famoso per aver inventato un marchingegno che gli permette di vincere ogni conflitto verbale – ecco che si ha una visione ancora più intima dei rapporti e degli equilibri che si vengono a creare tra i personaggi. Non aspettatevi però una grande seriosità di fondo, perché al di fuori di qualche battuta che evidenzia la cultura di buon livello degli astanti, alcuni dialoghi sembrano persino sciocchi e bizzarri. È in ogni caso una scelta ben precisa dell’autore, a cui non manca mai l’ironia sugli effetti paradossali che la volontà di sopraffazione verbale ha. Vi basti come esempio la scena iniziale che vede due uomini rimanere davanti all’ingresso mentre continuano a dirsi: “Prego, vada prima lei”, “No, la prego, si accomodi per primo”, “Sul serio, insisto. Dopo di lei”. Questa, assieme ad altre scenette e situazioni sui generis, danno un’idea chiarissima del tenore narrativo di Last Word, che rimane sempre surreale e gradevole senza mai abbracciare le tematiche dal taglio fortemente adolescenziale tipiche dei jrpg. E non potrebbe essere altrimenti, visto che il gioco è in realtà fortemente occidentale. Dei giochi di ruolo orientali, tutto sommato, ne possiede solo parte della struttura e della conduzione di gioco; il sistema di combattimento, invece, sebbene risponda agli stilemi classici del genere, sceglie la strada dell’originalità e mette da parte le armi, preferendo il potere della lingua come strumento dalla maggiore capacità di affondo. La realizzazione dei personaggi somiglia parecchio a quella già vista nella serie Persona, ma è qualcosa che diventa evidente soltanto quando si dialoga apertamente, mentre quando si attraversano le stanze della magione tutto ciò che vedrete sarà un paio di sagome stilizzate dai contorni colorati. 
Lingue di fuoco
Il fulcro di Last Word, naturalmente, è il suo particolare sistema di combattimento, che non mostra mai manovre di battaglia in campagne aperte né animazioni di alcun tipo. Al contrario, da una schermata fissa bisogna scegliere il tipo di azione da compiere, che non conduce mai a frasi che appaiono in sovrimpressione. La differenza tra i dialoghi comuni e i combattimenti veri e propri è dunque l’assenza di un reale scambio di battute quando si è obbligati ad avere la meglio su qualcuno. Nonostante sia presente una sorta di tutorial che indichi a grandi linee come gestire le proprie offensive, però, il giocatore sarà costretto a sbattere la testa diverse volte prima di comprendere fino in fondo come funzioni il combat system. Sappiate solo che al posto di attacchi fisici, magici e fantasiose abilità ci sono delle forme verbali aggressive, di disturbo o condiscendenti. Considerando che per arrivare alla vittoria bisogna sempre avere la meglio sull’interlocutore, zittendolo e lasciandolo sostanzialmente indifeso, si capisce come la necessità primaria sia quella di usare sempre una frase dirompente per far guadagnare “Forza” alla discussione. Si tratta del primo vero attacco che dà inizio alla battaglia, e che carica al contempo anche la barra della potenza. Conviene far seguire solitamente una frase più condiscendente, che dà equilibrio e consuma un po’ di potenza per far guadagnare “tatto” al personaggio. Il tatto serve per essere più aggressivi, ma senza farvi “perdere la faccia”; ed è proprio attraverso l’aggressività che la conversazione va davvero avanti (sbloccando di fatto lo scontro). Un sistema simile a quello della morra cinese modifica invece l’autocontrollo del personaggio, che può irritarsi fino a diventare incivile. Ciò, lo rende suscettibile alle frasi aggressive, che aprono un varco nelle difese dell’avversario. Naturalmente, non mancano abilità e attributi capaci di rendere gli alterchi più frizzanti e dinamici, ma tutto sommato questo è ciò che troverete in Last Word, un titolo che dà finalmente un po’ più di originalità al genere e che avrebbe avuto bisogno di un maggiore approfondimento per guadagnarsi una valutazione migliore. 

– Sistema di combattimento davvero originale

– Approccio completamente nuovo al genere

– Bisogna fallire diverse volte per capire il perfetto funzionamento dei combattimenti

– L’assenza di dialoghi durante gli scontri fa perdere credibilità alle liti verbali

7.0

Last Word è un jrpg-like che offre un originale sistema di combattimento basato interamente sull’uso delle parole: azioni verbali, toni e modi di interagire con l’interlocutore sono i vostri comandi di gioco, che vanno a sostituire i classici attacchi con armi e magie. Riesce però a essere efficace fino in fondo? Non completamente, perché oltre a un sistema sulla falsariga del classico carta-sasso-forbice, manca un livello di profondità maggiore, quello che in sostanza avrebbe fatto diventare Last Word un titolo dal maggiore appeal.

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