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Recensione

Imperial Dreams

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Avatar di TheIappi

a cura di TheIappi

Pubblicato il 21/07/2017 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

7.5

Il 3 di febbraio 2017 arriva su netflix  Imperial Dreams, un’opera intima e drammatica presentata per la prima volta al Sunderlance del 2014. Protagonista John Boyega, l’attore anglosassone che sarebbe poi giunto alla ribalta con l’ottima interpretazione di Finn in “Star Wars – Il Risveglio della Forza”. 
Le tematiche trattate sono delicate, importanti, lasciano il segno. Un mondo fortunatamente lontano da quello in cui viviamo tutti i giorni è il teatro della pellicola firmata Netflix: quartieri interi che vivono sfruttando il traffico di droga, omicidi a ogni angolo della strada, faide intestine tra gang. Un degrado che purtroppo in svariati quartieri rappresenta scene di vita quotidiana, in barba alla buona immagine o ai discorsi etici e morali.
Proprio in questo contesto, precisamente nei bassifondi di Los Angeles, è ambientata la vicenda di un giovane padre che, appena uscito dalla galera, dovrà badare a sé e a suo figlio, provando a garantire una vita migliore di quella vissuta fino a quel momento, dovendo però fare i conti con la società che gli sta intorno e, soprattutto, con il ghetto americano.
Finestra su un mondo dimenticato
Bambi (John Boyega) è un padre di soli 21 anni, nato nel quartiere sbagliato e cresciuto con lo zio Shrimp ( Glen Plummer ), capo di una organizzazione di narcotraffico. Uscito dal carcere, decide di prendere in mano la sua vita e di cambiarla. Per sè stesso, ma soprattutto per suo figlio Daytone, cui deve badare da solo in quanto la mamma Samaara ( Keke Palmer ) è in carcere. Senza casa, senza lavoro, Bambi deve combattere da solo contro la vita del ghetto, che gli mette davanti la squallida realtà dei fatti: completamente senza soldi, la tentazione di cadere nuovamente in lavori discutibili e illegali è li ad un passo, con una montagna di soldi facili ad attenderlo.
Decidere di chiudere con quella vita non sarà facile, il ghetto non ti lascia andar via cosi, non senza prima pagare il conto.
E infatti le conseguenze di questa sua forte presa di posizione passeranno anche per lo scontro contro l’unica famiglia che possiede, quella composta dalla sua gang, il suo gruppo, ferito dal tradimento in favore del suo percorso di riscatto sociale. Una scelta che lo porterà anche a scelte estreme, come quella di vivere in un auto in un parcheggio. 
E’ una storia forte e drammatica, di una verità che viene spesso taciuta e nascosta, che abbraccia  anche temi come il razzismo, pregiudizio e che si scontra violentemente con un sistema che sembra non consentire a nessuno una seconda occasione. 
Già, perchè nonostante il suo talento nello scrivere, su cui il ragazzo decide di fare affidamento per costruire una vita nuova con suo figlio, la difficoltà a relazionarsi con il mondo lavorativo e burocratico appare evidente fin da subito, attraverso richieste e contraddizioni che sembrano bloccare il ragazzo nel suo percorso verso il riscatto sociale.
Per Bambi, la scrittura è l’unico mezzo efficace per allontanare sé stesso e il suo bambino da quel mondo così malato. Scrivere è un modo per non impazzire, per non essere inghiottito ancora da una realtà da cui vuole fuggire. “Imperial Dreams” è il suo racconto, la sua storia, la sua rabbia trasformata in parole messe nero su bianco, parole che hanno ambizioni di speranza e che sanno di riscatto. Speranza che passa per la figura di una donna, che nel momento più difficile della vita del ragazzo, compirà un atto che potrebbe cambiargli per sempre la vita, mettendo di fatto una pezza a un sistema con molte lacune.
La componente razziale è molto forte, il colore della pelle è vissuto come un macigno, un marchio che certifica l’impossibilità di una scalata verso una vita migliore, come se l’essere nero fosse un’ancora che ti trascina a fondo fin nei bassifondi della città, e ti constringe a una vita ai margini della società. “Sono solo un sporco negro”, ripete spesso Bambi, in nottate deliranti passate in auto a urlare in silenzio contro il mondo.
Storie di uomini
La percezione è quella di essere li, circondati da strade con colpi di pistola che impazzano e con l’ansia forte di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La sensazione sulla pelle di una vita al limite, di un’esistenza schifosa che non hai scelto, ma che ti ritrovi a vivere maledicendola ogni giorno, la paura, la rabbia per una vita senza pietà, l’amore per un figlio, la disperazione per la perdita di persone care; tutte queste sensazioni ed emozioni arrivano impetuose, forti e dirette, senza mezzi termini, senza filtri buonistici.  
Non esiste “il lieto fine”, le favole non sono di questo mondo. Esistono storie di uomini, che prendono in mano la propria vita e decidono di cambiarla, lottando contro una società che non ti vuole, contro un quartiere che cerca di risucchiarti ancora e ancora nel vortice, ponendoti davanti sempre la stessa strada. Il percorso più semplice e veloce per guadagnarsi da vivere, che si lascia però una striscia di sangue e violenza alle spalle.

John Boyega titolare di una prestazione di spessore

Ottima la descrizione del quartiere, curato nei dettagli

Drammaticità del contesto efficace

Personaggi ben caratterizzati nonostante non vengano trattati in modo approfondito

Trama un po’ carente nei dettagli

Vicenda priva di una conclusione chiara e definita

7.5

ino questo momento Imperial Dreams rappresenta sicuramente una delle esclusive migliori presenti sul catalogo Netflix: l’impatto sentimentale della pellicola costituisce sicuramente l’aspetto meglio riuscito della produzione, complice come detto in precedenza, la prova drammatica di spessore di Boyega. A livello di trama, probabilmente si sarebbe potuto osare di più: il plot scorre quasi sottotraccia, i personaggi sono ben caratterizzati ma poco dettagliati, non si arriva effettivamente a una conclusione chiara e definita della vicenda. Insomma: una trama meglio arricchita avrebbe forse aumentato ulteriormente l’incisività e lo spessore emozionale. Mentre scorrono i titoli di coda, però, si ha la percezione che la pellicola rappresenti il disegno di un mondo e di un ambiente, non il racconto di una storia o di una serie di vicende. Il quadro di Vittal è il dipinto di una realtà oscura e nascosta, fatta da uomini prima che da delinquenti. Uomini lasciati troppo spesso a sé stessi, senza aiuti di sorta, rigettati da una società che forse, alle urla di aiuto provenienti da situazioni scomode come quella di Bambi, preferisce il silenzio.

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