Recensione

Homefront: The Revolution

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

AGGIORNAMENTO: Il primo di una serie di aggiornamenti previsti, tra l’altro non arrivato durante il day one come promesso, non ha affatto risolto i gravi problemi tecnici che affliggono Homefront: The Revolution; al contrario, si sono create delle situazioni spiacevoli per molti utenti, che lamentano ulteriori problemi sia su console, sia su PC. La patch, oltre a non aver stabilizzato un frame rate ancora in alto mare, su PS4 ha creato dei conflitti coi salvataggi e con delle icone indispensabili per l’orientamento; su PC invece lamentiamo un’ulteriore pesantezza e dei tempi di caricamento dilatati (pur rimanendo su una soglia di fps che oscilla tra i 14 e i 18 instabili). Dumbuster Studio sta lavorando tutti i giorni per risolvere i problemi più evidenti, ma è chiaro che il codice è talmente tanto instabile da non garantire le dovute sicurezze persino agli stessi sviluppatori. L’incresciosa situazione che si è venuta a creare non si risolverà del tutto né migliorerà sensibilmente in tempi brevi, perché ad onor del vero Homefront: The Revolution è un gioco che sarebbe dovuto rimanere nelle retrovie ancora per molto tempo, anziché arrivare nel mercato con tante e imperdonabili carenze tecniche. Se Dumbuster Studio riuscirà in effetti a risollevare la situazione, mi premurerò di scrivere un altro trafiletto di aggiornamento per informare tutti gli utenti interessati al prodotto. Tuttavia, è ormai giunto il tempo di dare una votazione definitiva, che raggiunge a malapena la sufficienza per meriti che vanno al di là di un comparto tecnico che è la cartina di tornasole di uno sviluppo travagliato, difficile e vittima di circostanze contingenti che vanno oggettivamente al di là dei demeriti della software house.
Homefront: The Revolution è nato sotto una cattiva stella.
Acquistato per una cifra importante da Crytek dopo la bancarotta di THQ, il franchise è stato infine venduto a Deep Silver per via dei gravi problemi finanziari della software house tedesca; tribolata è stata anche la gestazione, portata avanti da team di sviluppo diversi, dove nel frattempo avvenivano rimescolamenti dell’organico, si avvicendavano nuove figure e cambiava la natura stessa del titolo, trasformato in ultima istanza in un open world. Durante le fiere di settore, Homefront: The Revolution aveva già mostrato tutte le sue debolezze tecniche, frutto di un lavoro protratto a lungo nel tempo e svolto con la mancanza della giusta serenità. La versione completa, nonostante confermi le ottime idee che stanno alla base di The Revolution, risulta essere lo specchio di un travaglio difficile e faticoso, dove ben più di qualcosa è andato storto.
American Pride
Homefront: The Revolution racconta di un futuro distopico che affonda le radici in un passato fittizio in cui la Corea del Nord, già negli anni ’70, si prospettava essere la superpotenza di riferimento per gli Stati Uniti, al punto da instaurare nel corso degli anni un rapporto di forte dipendenza legato al portentoso progresso tecnologico. Gli americani acquistavano dalla multinazionale Apex qualunque cosa, e quando l’azienda asiatica cominciò a produrre anche le armi, il popolo a stelle e strisce non seppe resistere nemmeno a quelle. Mentre i conflitti in Medioriente infuriavano e l’America si trovava sull’orlo della sconfitta e di una crisi senza precedenti, pur di non arrendersi aumentò la spesa per l’acquisto degli armamenti.
Nel 2025 il dollaro crolla e il debito con la Corea si impenna ulteriormente; il popolo è ridotto in povertà e l’intero Paese è ormai in ginocchio. Col governo americano in bancarotta e le armi rese inutilizzabili da uno speciale sistema di sicurezza installato negli equipaggiamenti venduti, la Corea del Nord occupa gli Stati Uniti con la promessa di un aiuto umanitario, ma è solo una scusa per dare inizio a un nuovo clima di terrore. 
Privata della propria libertà e indipendenza, l’America è sotto il controllo dell’EPC, ma attraverso un ritrovato moto d’orgoglio che sa di ribellione, voi giocatori e i cittadini rimasti sarete chiamati a essere l’ultima vera speranza per la rivoluzione e la rinascita di una nuova America.
La premessa narrativa di Homefront: The Revolution è l’aspetto della produzione che più convince. A essa sono legate una conduzione di gioco a metà tra sparatutto in prima persona e stealth, la buona struttura delle missioni primarie e secondarie, e un’ambientazione – Filadelfia – ben adattata al contesto. La città è suddivisa in quartieri simili a ghetti che rendono perfettamente l’idea di oppressione, con abusi di potere dei militari per le strade, sommovimenti interni e una rivoluzione intestina in procinto di sbocciare. 
In questo contesto futuristico dove alta tecnologia, soldati e droni tengono in pugno gli Stati Uniti, dovrete partire dal basso e istigare il popolo alla rivolta, agendo con gruppi organizzati – e non solo – per conquistare aree sempre più grandi e tentare di ribaltare la situazione. 
Considerando la superiorità tecnologica dell’equipaggiamento bellico dei coreani, dovrete utilizzare armi meno efficaci ma in grado di essere modificate artigianalmente, dispositivi di fortuna e altri più particolari. In questo senso, è encomiabile l’idea della customizzazione parziale delle armi, attraverso la quale è possibile tramutare un fucile a pompa in una sorta di lanciagranate, o una semplice pistola in una mitraglietta, il tutto in tempo reale e senza passare dai menù. Si tratta di una meccanica di gioco che funziona alla grande e consente di gestire le diverse situazioni con approcci spesso differenti, ma bisogna prima guadagnare denaro extra e soddisfare alcuni requisiti per poter disporre delle parti più utili e potenti.
Ribellione
Oltre alle armi è possibile sbloccare dei dispositivi speciali utilizzabili in modo creativo, come una macchina telecomandata carica di esplosivo, ordigni con attivazione remota e tutto ciò che serve per rimanere a distanza di sicurezza senza entrare nel raggio visivo delle pattuglie. Tramite il reperimento di diversi materiali è inoltre possibile fabbricare delle semplici molotov o costruire nuovi oggetti tecnologici per creare diversivi, a dimostrazione di una varietà d’approccio piuttosto evidente. Le meccaniche stealth, tuttavia, funzionano a metà, sia a causa della densità mal gestita dei soldati, sia perché armati di tutto punto è possibile avere molte più chance di sfondare le difese nemiche, soprattutto per via d un’intelligenza artificiale facilmente eludibile e non implementata alla perfezione. La difficoltà, oltretutto, è mal calcolata e ci sono alcune missioni di sbarramento un po’ frustranti, complici anche le magagne tecniche che accentuano non poco le normali difficoltà. A tal proposito, va segnalata la poca precisione dei conflitti a fuoco, che soffrono in particolare dalla lunga distanza. La reattività dei movimenti è generalmente bassa, le sparatorie sono approssimative e l’azione su schermo è rallentata da enormi problemi tecnici legati al frame rate: allo stato attuale, Homefront: The Revolution non riesce nemmeno a mantenere 18 fps fissi con la risoluzione in full HD, anche se il vostro PC supera  agevolmente i requisiti consigliati. Per riuscire a giocare in modo ragionevole – e con ragionevole intendiamo lambendo quantomeno il tetto dei 30 frame al secondo – siamo stati costretti a scegliere una risoluzione di 720p. Considerando che nel genere degli sparatutto in prima persona si tratta di valori non di certo trascurabili, si capisce come l’esperienza di gioco sia totalmente rovinata da un comparto tecnico arretrato e da un’ottimizzazione che fa acqua da tutte le parti. La qualità della modellazione poligonale di personaggi e ambienti è molto altalenante, e capiterà di averne davanti alcuni più curati a discapito di altri. La stessa disuguaglianza di trattamento l’hanno subito anche le texture, alcune delle quali piuttosto sgranate e poco belle da vedere. E anche artisticamente il design del mondo di gioco appare generico, con qualche guizzo creativo che si limita all’attrezzatura dei soldati, ai droni e a pochi altri particolari.
Dall’hub principale, ossia dal rifugio sotteraneo dal quale viene presentato il briefing delle missioni primarie, la fluidità e il dettaglio sono buoni, ma quando raggiungete le vie cittadine si nota una differenza di stabilità davvero sin troppo evidente. Probabilmente la trasformazione del gioco in un open world complesso e dalla grande densità è avvenuta troppo tardi, ossia quando l’ossatura di Homefront era già stata completata, ed è davvero difficile immaginare che una corposa patch possa rimettere a posto le grandi problematiche che affliggono il titolo. Problematiche che mettono in luce una grande instabilità del gioco, incapace di mantenere gli standard qualitativi minimi per tutto l’arco dell’avventura. Ci sono momenti in cui Homefront lascia intravedere con chiarezza cristallina ciò che avrebbe potuto essere, ma lo fa solo per poco tempo, con la fuggevolezza di un’illusione che sfuma via prima di tramutarsi in realtà. Ed è a quel punto che il giocatore è costretto a ritrarsi, ad accettare mal volentieri compromessi tecnici che influiscono negativamente sulla fruizione del titolo, che arranca vistosamente in ambienti ampi, quando cala notte o durante le sessioni dove le sparatorie infuriano e la fluidità generale è d’ostacolo.
Avanti popolo
The Revolution ha delle buone idee, talune anche ben realizzate e adattate con intelligenza al contesto. È capace a tratti di illustrare una condizione umana fatta di afflizione, oppressione e resa totale. Lo fa seguendo alcune delle suggestioni già apparse in Metro 2033, con persone ai margini, ghettizzate, costrette a vivere in vecchie costruzioni o in cunicoli sotterranei. Non c’è però quella disperazione assoluta, la pena negli occhi di chi ha capito di essere ormai annientato; mancano i toni più drammatici, la narrazione silente di un mondo perduto e privato della propria identità. Homefront: The Revolution, in questo senso, ha una potenza immaginifica molto più debole e appena accennata; appare scarno, a tratti anche desolato. E in effetti, l’impressione è che il titolo sia ancora in una fase incompleta dello sviluppo, poiché al suo interno esistono tutte quelle problematiche che si trovano solitamente all’interno di un’alpha. Eppure il nuovo Homefront è già qui, in un mercato che concede davvero pochi margini di errore. La produzione non ha saputo affrancarsi dopo la difficile situazione che l’ha coinvolta, pertanto la rivoluzione di Dumbuster Studio non è riuscita nel suo intento. Visti i burrascosi trascorsi, probabilmente si trattava di un compito davvero sin troppo arduo da portare a termine.
Configurazione di prova:– Intel Core i7
– 16 GB di Ram
– GTX N780 OC

HARDWARE

MINIMI: Sistema operativo: Windows 7/8/10 all x64 Processore: Intel Core i5-4570T (2.9 GHz) or equivalent or AMD FX-6100 (3.3 GHz) or equivalent Memoria: 6144 MB di RAM Scheda video: GeForce GTX 560 TI (1024 MB) or equivalent or Radeon R7 260X (2048 MB) or equivalent Memoria: 38 GB di spazio disponibile

CONSIGLIATI: Sistema operativo: Windows 7/8/10 all x64 Processore: Intel Core i5-2500K (3.3 GHz) or equivalent or AMD FX-8320 (3.5 GHz) or equivalent Memoria: 8192 MB di RAM Scheda video: GeForce GTX 760 (2048 MB) or equivalent or Radeon HD 7870 (2048 MB) or equivalent Memoria: 38 GB di spazio disponibile

– Buona premessa narrativa

– Possibilità di personalizzazione delle armi

– Frame rate disastroso

– Tanti bug e problemi tecnici

– Conflitti a fuoco approssimativi

– Mondo di gioco poco ispirato, a tratti anche scarno

6.0

Homefront: The Revolution paga lo scotto di una gestazione lunga, complessa e assai travagliata. Sebbene alcune idee siano valide e funzionino bene all’interno del contesto di gioco, gli insormontabili problemi tecnici, i conflitti a fuoco approssimativi e le carenze oggettive dell’opera frenano le ambizioni del team britannico e le condannano all’insufficienza.

Voto Recensione di Homefront: The Revolution - Recensione


6