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Recensione

Forbidden Siren

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Avatar di Upe

a cura di Upe

Pubblicato il 07/04/2004 alle 00:00
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Il Verdetto di SpazioGames

8

Essenzialmente, ve lo devo confessare, l’impatto maggiore che ho avuto con i videogiochi è provenuto dal “padre”, secondo la mia opinione, del genere survival horror: Resident Evil.E’ stato, per me, più di un gioco. E’ stato un “collante” che mi ha appiccicato alla console, dalla quale non mi sono più staccato. Sono stato tra quelli che, all’inizio dell’era Playstation, schifava la (diciamolo pure) bruttina scatola grigia di casa Sony. Uno di quelli che, forte della potenza di calcolo del processore Pentium, guardava con sufficienza la neonata macchina. Non credevo e mai avrei pensato, un giorno, di fare parte dell’enorme schiera di appassionati. Ecco, però, il lampo e l’amore a prima vista, come si dice. La scintilla che illumina il cuore e trasforma gli occhi delle persone. Quel bagliore, forse un po’ languido, che rende “strane” le nostre pupille: lo sguardo da innamorato. Questo è accaduto all’incirca sette o otto anni fa, non ricordo bene. Un rapporto, in termini videoludici, lungo e costante. Non sempre perfetto, ma il bello sta anche in questo. L’essenza stessa della “Killer Application” si era materializzata.Poi, un bel giorno, mi sveglio e il mondo mi crolla intorno. Tutto quello in cui credevo non esiste più. L’ombra, nera e pesante, del tradimento mi sovrasta. Non ci credo (o non voglio crederlo), tutto questo non può accadere veramente, non può succedere. La realtà, invece, è ben diversa. Il primo amore mi ha abbandonato, ha lasciato il “tetto coniugale” e siè trasferito verso altri lidi. Il richiamo della freschezza e del maggior rigoglio fisico è stato troppo forte. Fortunatamente, altri esponenti si sono proposti colmando quel vuoto profondo. Su tutti la serie di Silent Hill, per nulla intimorita dall’onere di dover raccogliere un tale eredità. Altri ci hanno provato… senza però ottenere analoghe fortune. Tocca ora alla Sony provare a percorrere l’irto cammino, dopo il mezzo passo falso di Ghost Hunter. Che sia la volta buona?

Oscuri misteriLa trama o l’aspetto narrativo, che dir si voglia, di Forbidden Siren non segue un’unica linea temporale o un singolo tessuto di sceneggiatura. Piuttosto risulta spezzettata in tanti piccoli momenti, dove vengono raccontate (e vissute) fasi che, almeno all’inizio, possono sembrare a se stanti e casuali. Come in una sorta di continui flashback ci si sposta avanti ed indietro nel tempo e nello spazio, spazio inteso come luoghi diversi, attraversando un arco di tre giorni e qualche chilometro quadrato di villaggio. Quindi, alla base di tutto, ci sono alcune soluzioni particolari proposte dagli sviluppatori. Idee che si discostano nettamente da quanto ci hanno abituato per lo specifico genere. L’intero castello del racconto, una volta tanto, non si basa sul solo evolversi della vicenda ma è parte integrante della meccanica stessa del gioco, poiché strettamente correlato alla risoluzione degli enigmi, con azioni che influenzano l’evolversi degli eventi oltre il tempo stesso. Se si aggiunge il continuo passare da uno all’altro dei dieci protagonisti appare chiaro come, in un primo momento, risulti difficile farsi un’idea precisa delle circostanze, o anche solo capire cosa stia succedendo. Di fatto, anziché vivere una storia singola, come solitamente accade, ci si ritrova a superare varie missioni. Quindi l’impressione iniziale finisce per essere di disorientamento, tanto più che non si capisce bene quello che sta effettivamente accadendo. Un difetto? Non direi, piuttosto un modo di vedere la sceneggiatura tipicamente giappo/horror, un espediente per calare il giocatore nelle atmosfere claustrofobiche che permeano l’intera produzione. Come se fossimo noi stessi (e così è) a trovarci al centro di forze ed entità talmente potenti e sconosciute da non riuscire a comprenderle. La stessa mappa di gioco non prevede l’indicazione della nostra posizione, limitandosi a riportare dei punti di riferimento. Si dovrà, quindi, prestare la massima attenzione durate l’esplorazione per tentare di riconoscere luoghi od oggetti presenti sul terreno, tentando di capire dove ci si trova e prendere la giusta direzione. Ci si vedrà catapultati letteralmente in mezzo ad una strada, con l’obbligo di dover raggiungere un determinato punto senza nel frattempo lasciarci le penne. In linea di massima il cammino è ostacolato da semplici rebus, problemi di orientamento e, soprattutto, dai temibili Shibito. Questi ultimi rappresentano una sorta di morti viventi evoluti, in grado di utilizzare armi ed oggetti con inusuale scioltezza. Scordatevi gli zombie alla Resident Evil, per intenderci, qui le cose sono un tantino più complicate e bisognerà ingegnarsi per evitare, in ogni modo, il contatto diretto. Ecco allora fare il suo ingresso, nei survival horror, la componente stealth, non fine a se stessa, ma necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo di salvare la pellaccia. L’iniziale smarrimento sparisce in fretta, lasciando spazio alla terrificante atmosfera che si respira. Le cose cominceranno a farsi più chiare, in particolare quando ci si renderà conto della varietà di situazioni da affrontare e di come sappia diventare interessante l’intreccio delle vicende narrate. Il continuo saltare avanti e indietro lungo la linea temporale farà si che le azioni compiute in un dato momento influenzino, spesso e volentieri, ciò che dovrà succedere in seguito. Così, ad esempio, per poter accedere a determinati oggetti o ambienti, nel terzo giorno, sarà necessario averli prima sbloccati nel primo. Insomma, grande importanza è stata riposta nel creare momenti di pura angoscia, limitando sia il potenziale offensivo, più delle volte inesistente, che la certezza dell’essere coscienti della posizione occupata nello scenario. Come fare allora per barcamenarsi tra oscure foreste, ancor più tetri vicoli e mille insidie?

Sightjack, questo sconosciuto!Uno degli aspetti di maggior rilievo, principale artefice di molta della tensione che si può respirare nel percorrere il nebbioso villaggio di Forbidden Siren, consiste nel sistema battezzato Sightjack. Si tratta di una sorta di collegamento mentale del quale sono dotati i vari protagonisti (acquisito improvvisamente al loro ingresso nella zona maledetta), che consente di “interfacciarsi” con gli shibito e non solo: quando lo si attiva ci si ritrova ad osservare l’ambiente attraverso lo sguardo altrui, potendo in questo modo “saltare” nelle menti delle creature che ci circondano e guardare il mondo con i loro occhi. Il fulcro, quindi, consiste nello sfruttare tale capacità per controllare i movimenti e le posizioni dei vari avversari, per studiare l’ambiente circostante senza doversi esporre a inutili pericoli. In tali frangenti, inoltre, ci è consentito di adocchiare importanti indizi o di capire se la strada intrapresa sia quella giusta.

Oltre la nebbiaLa mano di Keiichiro Toyama, curatore del primo episodio di Silent Hill, si nota in modo fin troppo evidente. Circostanze, luoghi sinistri e nebbia persistente sono come un marchio di fabbrica che non lascia adito a dubbi. Se però nella prima uscita della serie Konami, complice il basso profilo hardware della Playstation, la presenza climatica offuscante serviva a celare i limiti tecnici, nelle successive esternazioni si proponeva unicamente al servizio dell’atmosfera horror. Nel nostra caso funziona alla stessa maniera, sebbene il motore grafico utilizzato non impressioni per qualità e per numero di poligoni gestiti. Ciò non significa, comunque, che la pochezza tecnica sia un dato limitante, anzi ha spinto i grafici della Sony a doversi rimboccare le maniche per rendere credibili situazioni e personaggi. Il risultato si dimostra fin troppo eloquente, grazie all’uso di volti scansionati in tutto e per tutto realistici, capaci di far trasparire perfettamente le emozioni dei diversi “attori” digitali. Ad incrementare la sensazione di terrore e di pericolo, che ad ogni passo si prova e si avverte, ci pensano gli ottimi effetti sonori. Non si parla di timbriche invasive o travolgenti, ma di sonorità sempre molto contenute in grado però di centrare l’obiettivo prefisso: raggelare il sangue nelle vene. Un’ultima considerazione, gran pregio da evidenziare a futura memoria per chi, molto spesso, glissa sull’argomento. Il riferimento è per quelle case di distribuzione che poco fanno per i videogiocatori europei (italiani su tutti). Sto parlando della localizzazione nella nostra madre lingua, talvolta limitata ai soli sottotitoli. Questo Forbidden Siren dovrebbe servire d’esempio, laddove non solo i menù e le scritte “in sovraimpressione” sono tradotte, ma anche i dialoghi sono doppiati con buon mestiere e con voci convincenti. Un punto in più!

-Sistema di gioco innovativo

-Longevità elevata

-Totalmente in italiano

-Talvolta troppo impegnativo

-Grafica non proprio esaltante

8

Forbidden Siren rappresenta una svolta decisa nell’affollato genere dei survival horror, ultimamente a corto di idee veramente innovative. Un’esperienza davvero unica, non priva di risvolti e situazioni al limite del colpo apoplettico. Forse si potrebbe obiettare sulla scarsa cura per i dettagli grafici, pur se compensati da accorgimenti artistici di rilievo. Forse si potrebbe eccepire la difficoltà oggettiva di taluni passaggi. Forse sì, ma non lo facciamo, perché si tratta comunque di un’esperienza assolutamente da provare.

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