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Immagine di Markus e Kara: Detroit: Become Human | Il salone degli eroi
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Markus e Kara: Detroit: Become Human | Il salone degli eroi

Anime di acciaio

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Avatar di SirFran Snee

a cura di SirFran Snee

Pubblicato il 18/05/2019 alle 11:00 - Aggiornato il 01/07/2019 alle 11:07
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Il Verdetto di SpazioGames

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Così in Detroit: Become Human abbiamo la possibilità di indagare su un futuro non troppo lontano, scandagliando le profondità delle anime di acciaio che si rivelano essere affatto simili a quelle che albergano sotto il tessuto di carne umana. Una storia che riporta a galla l'importanza dei sentimenti e della sensibilità umana (e non), della forza struggente dei ricordi e la capacità mortale ed esplosiva che ogni scelta possiede, ricadendo sulle nostre vite.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Detroit: Become Human
Detroit: Become Human
  • Sviluppatore: Quantic Dream
  • Produttore: Sony
  • Distributore: Sony Interactive Entertainment
  • Piattaforme: PS4 , PC
  • Generi: Avventura , Avventura grafica
  • Data di uscita: 25 maggio 2018 - 12 dicembre 2019 (PC)

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Viviamo in un mondo complicato, dove ogni scelta ha conseguenze spesso imprevedibili, soprattutto dalla rilevanza non indifferente. Questo accade non solo quando si parla di noi, “semplici” esseri umani, ma anche nei confronti di un insieme di acciaio e intelligenza artificiale creata dalla mano umana stessa. Un po’ come il vecchio mito di Frankenstein e del suo mostro, in Detroit: Become human il buon David Cage, apparso di recente agli IVGA 2019, ripropone ai giocatori il dubbio di dove si possa porre il limite tra capacità umana e androidiana. Quest’ultima specie, se così possiamo definirla, sembra essere in grado di avvicinarsi all’uomo da un punto di vista emozionale: se osservassimo Markus e Kara saremmo indotti a credere che esista una scintilla all’interno di questi automi, rendendoli ai nostri occhi ben più di semplici macchine. È proprio di questi due androidi che andiamo a riproporre la storia, inserendo tra gli eroi del nostro salone due creature non umane.

“Designed by CyberLife, built in Detroit” : questo è lo slogan di CyberLife, l’azienda fondata nel 2018 che ha dato i natali a parecchi android e che nel giro di pochissimi anni è riuscita a diventare la più grande del mondo per fatturato. Il motivo del successo? Facile a dirsi: risulta l’unica compagnia a inventare, brevettare e portare sul mercato gli androidi. Macchine dalle sembianze umane, con un’intelligenza artificiale di molto superiore all’uomo e in grado di svolgere qualsiasi compito, dalla bassa manovalanza a impieghi di concetto, rispettando ed eseguendo gli ordini dei proprietari. Comincia così un progetto, avviato ufficialmente con Chloe nel 2022: la prima androide a vedere la luce, grazie all’invenzione da parte di Elijah Kamski del Thirium 310 e altri biocomponenti, è un androide classificato RT600, risultato idoneo dopo i test di Turing. Dopo questo prototipo, comincia la classica produzione di massa, accompagnata dalla domanda crescente di queste macchine, per arrivare alla serie ST200. Si tratta di un assistente personale in grado di parlare diverse lingue e compiere praticamente ogni azione che un essere umano sarebbe in grado di svolgere, diventando così sempre più utili nell’aiuto quotidiano.

Come ben sappiamo però, ogni invenzione ha il suo lato oscuro: queste macchine possono anche essere programmate per andare contro l’uomo, proprio perché possono compiere letteralmente qualsiasi azione umana. Così se da una parte abbiamo la classica rappresentazione del robot “sviluppato” e ben più moderno rispetto alle solite costruzioni in acciaio e programmazione informatica, dall’altro abbiamo esempi di umanità che rendono più calde e affettuose quelle che non sono solo lamiere. Nel 2038, la città americana del Michigan, dopo aver contribuito in modo determinante alla diffusione delle automobili, sta ora vivendo l’avvento degli androidi, sconvolgendo l’economia della Terra con ripercussioni gravissime sull’occupazione e più in generale sull’idea di stato sociale. Questi sono sì al servizio dell’uomo, ma generano anche un pericoloso rapporto di amore e odio con l’umanità. A partire da questa fragilissima situazione di convivenza forzata, Detroit raccontale vicende di tre distinti robot creati con differenti specifiche d’uso e le cui esistenze incrociano lo stesso cammino.

Markus è un androide al servizio di un ricco artista dalla salute cagionevole: una sorta di assistente personale che lo aiuta a espletare le sue funzioni biologiche ma anche a vivere una vita agiata e confortevole. Kara è la versione tecnologica della tata con masioni da colf che si ritroverà, suo malgrado, coinvolta in una situazione famigliare drammatica. Infine c’è Connor, il più avanzato tecnologicamente, un prototipo costruito dalla Cyberlife per aiutare la polizia con i casi più complessi, quelli che richiedono l’intervento di un detective e che sarà in grado di raccogliere parecchi indizi durante le sue indagini. In tutto questo però, osservando più da vicino l’androide Markus, notiamo come questi sia davvero definito da un sentimento di solidarietà e preoccupazione per gli altri suoi simili e non solo: se da un lato è di compagnia a un anziano pittore, dall’altro non si tira certo indietro per andare alla ricerca di sostanze chimiche e di sangue blu per gli androidi feriti sulla nave Jericho. Sarà in compagnia di altri due robot che partiranno alla volta della CyberLife, dimostrando di essere disposti a qualsiasi cosa pur di salvare gli altri appartenenti al proprio gruppo. Uno dei momenti più significativi dell’apparizione di Markus in questa storia consiste nel messaggio che lancia agli umani, dall’alto della Stratford Tower: qui il robot esprime il diritto degli androidi a essere riconosciuti come persone, tornando ancora una volta alla questione del limite malleabile e della barriera liquida tra uomini e robot.

Non sarà da meno Kara, una domestica alle prese con il signor Todd Williams e sua figlia Alice, creando un rapporto tra le due che sconvolgerà la vita dell’androide e la indurrà a cominciare un viaggio nel mondo, proprio nel momento in cui gli esseri della sua specie decideranno di rialzarsi e far valere le proprie opinioni. La sua esperienza è segnata da una serie di acquisti di mano in mano, un proprietario dopo l’altro, fino ad arrivare a quest’uomo burbero che non lesina di certo in fatto di violenza domestica, anche nei confronti della ragazza meccanica.

La sua storia si incrocia con quella della ragazzina a cui deve badare, una vicenda segnata dalla profonda ferita di un affetto mancato e rimpiazzato dalla violenza, avvicinando ancora una volta la vita di un cuore meccanico a quello di carne e sangue. Una storia fatta di fughe e nascondigli, di opportunità per Kara di diventare una deviante, ossia di deviare appunto dal programma che ogni macchina dovrebbe seguire, e di una serie di scelte che, come sempre accade, vanno a determinare l’esistenza di chiunque, umano o androide che sia.

Così in Detroit: Become Human abbiamo la possibilità di indagare su un futuro non troppo lontano, scandagliando le profondità delle anime di acciaio che si rivelano essere affatto simili a quelle che albergano sotto il tessuto di carne umana. Una storia che riporta a galla l’importanza dei sentimenti e della sensibilità umana (e non), della forza struggente dei ricordi e la capacità mortale ed esplosiva che ogni scelta possiede, ricadendo sulle nostre vite.

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