Far Cry 6, oltre il villain serve di più (e potremmo averlo)

Facciamo il punto sul nuovo capitolo della saga - e su cosa dovrebbe migliorare

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a cura di Paolo Sirio

Far Cry 6 è un nuovo e audace tentativo di alzare l’asticella da parte di Ubisoft, con una serie che ha già fatto delle provocazioni e delle ambizioni, sia narrative che tecniche, una ragion d’essere. Nonostante  siamo arrivati già al sesto capitolo numerato, con molteplici iterazioni “di mezzo”, il franchise sembra destinato a centrare l’obiettivo ancora una volta, approfittando del know how accumulato negli anni e puntando su qualcosa di diverso per mescolare le carte.

Quanto è stato svelato fino a oggi ci permette di tracciare un profilo, in attesa di novità e di una data, di tutto quello che il gioco è, e al contempo di tutto quello che vorremmo fosse una volta lanciato su PC, PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series X|S e Stadia. Mentre alcune caratteristiche storiche appaiono nuovamente parte del pacchetto, che piacciano o meno, altre sembrano essere state smussate o persino essere fresche di stampa, lasciandoci incoraggiati in vista dell’ormai prossima uscita.

Naturalmente, uscendo da un Far Cry 5 imperfetto e da un New Dawn che ha indicato una strada interessante (pur non completa) per porre rimedio a talune delle carenze del capitolo mainline, la nostra lista dei desideri piccola non è di certo; ma, complici il consueto appeal “maligno” della proprietà intellettuale e diverse promesse fatte dagli autori fino a qui, siamo pronti a farci stupire da Far Cry 6.

Il fascino del male

Fin dal primo istante, Far Cry 6 ha dato l’impressione di non voler rinunciare ai punti di forza di una IP dall’identikit ben delineato negli anni. Questi punti comprendono, ovviamente, la presenza di un antagonista fortissimo, capace con la sua gestualità tipica e la malvagità innata di rubare la scena a chiunque – dall’ambientazione, pur centrale, fino al protagonista in genere inerme di fronte a lui o lei.

Con Antón Castillo, interpretato da un superbo Giancarlo Esposito (Breaking Bad, The Mandalorian, ma sappiamo che non ha davvero bisogno di presentazioni davanti ai vostri occhi), il gioco ripercorrerà il sentiero tracciato dai precedenti episodi, raccogliendo un’eredità pesantissima da Vaas Montenegro di Far Cry 3, Pagan Min di Far Cry 4 e Joseph Seed di Far Cry 5.

Della saga di Ubisoft si può dir di tutto, non mancano gli episodi meno a fuoco e un po’ più affaticati, tranne che i suoi villain non siano riusciti sempre alla perfezione: pur con differenze spesso soltanto nelle sfumature e non nei gesti, nelle psicologie e negli ideali, ognuno di questi personaggi ha lasciato un ricordo decisamente marcato nelle menti dei giocatori, e Castillo sembra avere tutte le carte in regola per bissare ancora una volta tale modus operandi – al di là delle qualità della prossima iterazione.

Nel quadro di un "cattivo" che sarà abbastanza simile a quanto siamo stati abituati a vedere su schermo finora, Esposito si prepara dunque a dare una profondità cinematografica e cerebrale inedita persino per la serie, e lo farà sia con i suoi modi inquietantemente pacati, sia sfruttando (come del resto avevamo già scorto nel trailer di presentazione) il rapporto con quel figlio Diego da “educare”, con le buone o con le cattive, al potere.

Ma, se questo è quello che sappiamo e ciò che ci prefiguriamo sull’antagonista, dove Far Cry 6 dovrà migliorare sarà nella costruzione di un protagonista che abbia una personalità distinta e un ruolo più attivo nella vicenda. Finora, abbiamo perlopiù giocato nei panni di uomini anonimi, che assistono inermi al dipanarsi di storie che li vedono continuamente comprimari, e potrebbe essere giunta l’ora di cambiare marcia su questo tema.

A quanto filtrato, la direzione assunta da Ubisoft sarà proprio questa: potremo determinare le sorti di Antón Castillo, agendo dunque su finali multipli in cui ciò che decideremo di fare avrà un peso specifico, e avremo a disposizione un tool per la creazione di un personaggio maschile o femminile, sulla scia della ritrovata (meglio tardi che mai) apertura mentale della casa transalpina.

Far Cry 6 si spingerà però oltre, non limitandosi ad un semplice editor, ma consentendo ai giocatori di assistere alle cutscene per la prima volta in terza persona e non nella tradizionale visuale in soggettiva: potremo di fatto vedere il nostro personaggio, customizzato come più ci aggraderà, interagire con gli altri nelle scene d’intermezzo, e un simile switch non può essere considerato soltanto estetico.

Già dal fatto che siamo a conoscenza del suo nome, Dani Rojas, la dice lunga sul tentativo del team di sceneggiatori di superare questo (grosso) limite del franchise, che diversamente da un Assassin’s Creed non ha mai scommesso davvero sui protagonisti e ha sempre lasciato l’onere di portare avanti la narrazione ai villain; uno schema “rovesciato” che ha pagato e continua a farlo, ma che dopo tutti questi episodi potrebbe solo trarre giovamento quantomeno da un’ibridazione.

Le ambientazioni esotiche

Insieme al malvagio di turno, la saga si è sforzata negli anni di mantenere la connessione stabilita sin dal primo capitolo di Crytek con le ambientazioni esotiche. Veniamo, ad esempio, da un Montana quasi incontaminato che ha lasciato il segno sia con Far Cry 5 che con New Dawn, o dal Kyrat ai piedi dell’Himalaya di Far Cry 4 – per tacere dell’Africa del secondo, e delle isole tropicali del capostipite e del terzo.

Ognuno di questi setting ha dato innegabilmente qualcosa al DNA del franchise, stabilendo un distanziamento netto rispetto agli altri open world che affollano il mercato, nonché la libreria della stessa Ubisoft, e alimentando la fantasia del dittatore necessaria per costruire l’immagine tanto decantata dell’antagonista fuori di testa.

Tuttavia, la fittizia Yara si è proposta all’istante come una reinterpretazione di Cuba e stavolta, ferma restando la caratteristica dimensione dell’esplorazione in una fitta vegetazione (fuori dal centro abitato), potrebbe mettere sul piatto una scenografia più urbana oltre alla classica ambientazione immersa nel verde com’era stato finora.

L’ambientazione sarà poi una di quelle turbolente: a Yara imperversa una rivoluzione e questo, mentre la rende molto diversa dal Montana che seguiva ciecamente gli ordini di Seed, ci riporta all’immaginario rivoluzionario di Far Cry 4, con una resistenza – di cui faremo parte e saremo un elemento di spicco – che darà di continuo filo da torcere al suo contraltare Castillo.

Questo rinnovato focus su cosa possa fare un Far Cry in termini di location, ed esplorazione della stessa, ci porta alla problematica forse più grossa che abbiamo dovuto affrontare con l’ultimo capitolo del filone numerato: la scarsità di contenuti “fatti a mano”, che siano legati alla storia principale oppure secondari e la cui palpabile penuria aveva contribuito ad abbassare, e non di poco, il nostro giudizio nei suoi confronti.

Se dobbiamo essere sinceri, il primo trailer in computer grafica, con quelle inquadrature dal palazzo del governo di Castillo, ci aveva restituito subito l’immagine di una Yara abbastanza simile all’Harran di Dying Light: una città in cui sia possibile muoversi tra le strade e i palazzi, sia al loro interno che in verticale, pescando in quel parkour che ha sedotto e gradualmente abbandonato i fan di Assassin’s Creed.

Ciò potrebbe effettivamente imprimere una svolta rispetto a Far Cry 5, un titolo dalla struttura molto semplice, con la conquista di una regione per chiamarne fuori il boss (da marchio di fabbrica di Ubisoft, ci aspettiamo che rimanga ma almeno che non sia così scolastica) e una carenza di contenuti che già nel giro di poche ore ti spingeva a cercare con la lente d’ingrandimento gli elementi più piccoli per riempire quella barra.

Con Far Cry New Dawn, il team di sviluppo è parso comprendere come questo rappresentasse un ostacolo sulla via di una fruizione godibile di un gioco in cui la libertà è così tanta da poterti smarrire (letteralmente): è stata introdotta una componente gestionale della base, ad esempio, e l’ingrediente RPG ha fatto capolino nella saga con un rank affibbiato sia alle armi create che ai nemici progressivamente più difficili da battere.

Insieme a questo, sono arrivati gli avamposti: non il massimo della vita o dell’originalità, specie se consideriamo che essi non sono legati alla storia ma sono alfieri di una logica di design quantitativa anziché qualitativa (quella che vogliamo vedere in Far Cry 6), ma almeno – con la chicca di tenerli o lasciarli al nemico per ricompense maggiori – guidano la progressione senza abbandonare per forza l’utente al suo destino.

In conclusione

Se da un lato, quindi, Far Cry 6 appone tutte le spunte dove un nuovo capitolo del franchise dovrebbe metterle, dall’altro quello che abbiamo visto finora – sia di questo gioco che dei precedenti – traccia una strada abbastanza chiara verso ciò che l’IP dovrebbe fare per compiere un salto di qualità.

In primis, non riversare tutta la personalità sul villain, per quanto carismatico possa essere, e coinvolgere il protagonista nel processo narrativo, ed estendere quest’ultimo ad un’ambientazione che non funga più da semplice scatolone dove veniamo catapultati e lasciati a noi stessi.

La sfida è complicata ma la vittoria potrebbe essere a portata di mano.

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