Confessioni di una mancata estate

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Fa caldo, troppo caldo. O meglio, penso faccia caldo, forse meno dell’anno scorso, forse di più, ma l’aria tropicale senza mojito e fenicotteri rende insopportabile ogni viaggio in metropolitana. Penso al mare? No, odio pure stare al sole in spiaggia. Allora penso alla montagna? Che palle, tanto lo so che se vado a prendere del fresco finisco per trovare l’unica settimana in cui ci saranno temporali e sfido a sopravvivere per sette giorni chiusi in quattro mura senza wi-fi. La verità è un altra: sono diventato uno di quelli che fanno della lamentela una missione di vita. E allora mi chiedo cosa mi manca davvero delle stagioni estive che furono: semplice, quelle sessioni infinite davanti al pc, dove proprio ti ritagliavi quei tre o quattro spazi vitali necessari per nutrirsi ed espletare i bisogni. Ecco, se penso al me in formato canotta e mutande di qualche anno fa, proprio in questo periodo mi rivedo attaccato al PC con monitor incredibilmente pesante e ingombrante, tapparelle semi-abbassate per non perdere la vista, ma soprattutto carta e penna alla mano per cercare una tattica che mi permettesse di battere il Venezia in Championship Manager 01/02. Sì, il Venezia di Maniero, Di Napoli, Magallanes e Rukavina, quello che nella realtà finì ultimo in Serie A con 18 punti, nel gestionale calcistico di Eidos e Sports Interactive era pressoché imbattibile, non si sa il perché. Ma poi, chi diavolo era Tomislav Rukavina?
La risposta al mio astio verso la quotidianità attuale è tutta racchiusa nell’astinenza da cronache sgrammaticate di partite puntualmente perse a Championship Manager 01/02, per gli amici semplicemente Scudetto. Non so se sia la classica memoria offuscata dai tempi, ma ricordo quell’edizione come la perfezione assoluta, eppure era un gioco insensato, spoglio e dai tratti quasi comici ed ingenui se paragonato al mostro di informazioni, statistiche e dettagli che è diventato ora il suo cugino ricco Football Manager. Eppure funzionava alla grande, anche nella sua versione ovviamente tarocca, perché ero giovane, inesperto e le considerazioni sullo stato di salute dell’industry poco interessavano ad un ragazzino che faceva economia acquistando solo le caramelle da 5 cents, evitando abilmente quelle da borghese valutate la cifra astronomica di 10 cents. Già allora non ero un manager di primo pelo, mi ero fatto le ossa su un paio di edizioni precedenti, soprattutto quella del 97/98, ma allora giocavo proprio a casaccio, piazzavo qualche giocatore in campo e speravo che tutto andasse per il verso giusto e se proprio vedevo il mio team arrancare sul fondo, aggiungevo altri allenatori a varie squadre e poi procedevo con il sistematico smantellamento, vendendo tutti i giocatori alla mia formazione principale. Robe da fare invidia alla Juventus. Con Championship Manager 01/02 ci fu però la svolta, perché quell’edizione entrò a far parte contemporaneamente della collezione mia e di quella di altri tre amici, un’apertura simultanea verso uno sconfinato mondo fatto di nomi, un database di impronunciabili polacchi, bulgari e jugoslavi, che ai tempi la conformazione geopolitica europea e di altre parti del mondo era un po’ diversa. 
Il tempo libero non era un grosso problema durante tutto l’anno, ma d’estate si dilatava proprio verso l’infinito e completare una stagione era una questione di forse una settimana, se ci si impegnava anche di quattro giorni. Eppure, nonostante le ore macinate davanti a quei campi virtuali, Championship Manager 01/02 riusciva a mantenere intatta la sua aurea di ermeticità, alcune cose accadevano sempre puntuali e uguali a sé stesse, ma nessuno dei miei amici, nemmeno io, riuscivamo a dare una risposta a quei quesiti. Forse è proprio questo mistero, il mito dietro a certi nomi, che mantiene intatto il ricordo di quelle estati: oltre al già citato Venezia, anche il Parma era qualcosa di molto vicino a Dark Souls, era praticamente imbattibile e ogni volta che lo affrontavi sapevi che la coppia Milosevic-Di Vaio avrebbe fatto almeno un paio di reti. Forse eravamo solo scarsi noi e non capivamo bene come funzionassero alcuni passaggi, ma le interminabili riunioni pomeridiane al campetto – quello vero stavolta – deliberavano che era semplicemente il gioco a barare. Ne eravamo tutti davvero convinti e quasi a conferma della nostra tesi, Championship Manager 01/02 faceva di tutto per apparire come un giullare in vena di scherzi. Facciamo il confronto con le nuove incarnazioni della serie: ogni giocatore ora è studiato nel minimo dettaglio, ci sono team di osservatori sparsi per tutto il globo a valutare le abilità nel gioco aereo di quell’attaccante che milita nella serie B lituana, ma una volta no, una volta era tutto molto più naïf. La bellezza di Championship Manager 01/02 risiedeva – e lo fa tuttora – nella pletora di improbabili giocatori sparsi per tutto il mondo, di cui nessuno sapeva nulla e che forse nemmeno esistevano, ma che misteriosamente erano dotati di un’accelerazione fulminea, oppure erano delle implacabili macchine da gol. Chi non ha mai avuto il piacere di schierare là davanti Maxim Tsigalko, punteros bielorusso militante nella Dinamo Minsk, non può capire. 
L’elenco dei misteri potrebbe andare avanti all’infinito, solo che ai tempi chi acquistare o meno era davvero un enigma, internet c’era, ma eravamo giovani, candidi e inesperti, non sapevamo assolutamente dove recuperare la lista dei wonderkids e di software sulla gestione del database nemmeno l’ombra. L’editor però c’era, ma non serviva a scovare i prossimi giocatori da mettere sotto contratto, bensì a creare una replica di sé stessi con tutte le statistiche sparate al massimo. Come ingaggiare quindi al prezzo giusto il nuovo astro nascente sudafricano? La risposta la danno Bourdieu, Coleman o, ancora, Putnam ed è il capitale sociale. Praticamente i talenti nascosti venivano scoperti da qualcuno, che poi condivideva la scoperta con l’amico al pomeriggio, che a sua volta riportava la notizia ad un terzo amico, fino a che la rete non si espandeva e nel giro di un paio di giorni ecco che l’attacco di tutte le squadre era sostenuto da Tò Madeira, leggenda vivente del calcio portoghese. Vivente non troppo in realtà, visto che è frutto di uno scherzo di un programmatore del gioco e che non esiste nessun vero calciatore con quel nome. Questo lo scoprii solo molti anni dopo, perché Championship Manager 01/02 era la Bibbia e quello che c’era nelle sue sacre scritture era la pura verità: perché Diego Fuser era l’unico giocatore di movimento con 2 in parate? Per quale motivo Oliver Kahn, celebre portiere della Germania, aveva 20, il massimo possibile, in colpo di testa? Perché c’erano un Vitali Kutuzov – fortissimo – e un Vitaly Kutuzov – scarsissimo – dove cambiava solo mezza lettera? Materiale degno di una puntata di Mistero e spero che Daniele Bossari legga questo pezzo, solo per vederlo ad una finta seduta di ipnosi mentre ricorda il suo antenato Anatoli Todorov. 
Il vero momento clou di Championship Manager 01/02, una volta fatta incetta di calciatori forse mai esistiti, era la creazione della formazione. Ora, i recenti Football Manager ti generano proprio uno scompenso nella personalità e con tutte le tattiche e le istruzioni da dare ai singoli o al collettivo finisci con il credere di essere davvero il nuovo José Mourinho, ma risalendo indietro nelle edizioni appare un gusto decisamente più arcade, con giocatori disposti sul rettangolo verde in modo molto fantasioso. Il 4-4-2, il 4-3-3 o il 4-3-1-2 erano cose da pavidi, mentre i veri allenatori virtuali giocavano senza un terzino destro, il centrale con la freccetta – Miles Jacobson sbrigati a reintrodurle – in direzione laterale, il centrocampista di fascia messo in posizione arretrata e poi una serie di indicatori che coprivano ogni centimetro di campo e che formavano una sorta di spirale. Il bello è  che tutte queste formazioni avevano un codice di riconoscimento come Vol.1.2 e simili, funzionavano e ricordo un mondiale del 2026 vinto dall’Italia proprio con uno schema di gioco simile. Il 2026 era naturalmente un orizzonte raggiungibile senza fatica, perché uno dei massimi divertimenti di allora era proprio fare impazzire il database per vedere che giocatori generava in modo casuale: il massimo lo si raggiunse però credo nell’annata 04/05, dove ad un certo punto venivano riciclate le foto dei giocatori reali e applicate ai nuovi arrivati, che alle volte erano però identificati con foto appartenenti a non si sa bene chi. 
Riprendere in mano oggi il caro vecchio Championship Manager 01/02 potrebbe creare un mix di nostalgia e raccapriccio verso qualcosa che è stato superato e doppiato, ma se siete abbastanza coraggiosi da ritornare indietro nel tempo, quando Saliou Lassissi era ancora una promessa del calcio, c’è sempre la possibilità di scaricare legalmente la versione freeware del titolo. Quale è invece lo scopo di questo articolo? Perché non sto passando intere giornate a giocare con Championship Manager 01/02 e questo non va bene.

Ognuno di noi ha un gioco che collega indelebilmente con la stagione estiva e il mio è senza ombra di dubbio il manageriale creato da Eidos e Sports Interactive. Prendete questo semplice pezzo come una dichiarazione d’amore, come una dedica a qualcosa che difficilmente tornerà indietro: i tempi sono cambiati, probabilmente in meglio per quel che riguarda l’industria videoludica e anche Football Manager si è – più o meno – sempre migliorato con il passare degli anni, eppure nella sua spontaneità, con le sue stranezze e mitologie quell’edizione di oltre 15 anni fa risulta ancora insuperata e non faticherei citare a memoria il mio undici titolare della Roma con cui vinsi tutto.