Immagine di Assassin's Creed Valhalla spiegato dal medievista Roberto Pagani - Speciale
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Assassin's Creed Valhalla spiegato dal medievista Roberto Pagani - Speciale

Abbiamo chiesto ad un esperto della cultura norrena di guardare e commentare insieme il trailer di Assassin's Creed Valhalla: ecco com'è andata

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a cura di Paolo Sirio

Informazioni sul prodotto

Immagine di Assassin's Creed Valhalla
Assassin's Creed Valhalla
  • Sviluppatore: Ubisoft Montreal
  • Produttore: Ubisoft
  • Distributore: Ubisoft
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , XSX , STADIA , PS5
  • Generi: Avventura , Gioco di Ruolo
  • Data di uscita: 17 novembre 2020

Quel che dovevamo sapere di Assassin’s Creed Valhalla ormai lo sappiamo, grazie al puntuale reveal di Ubisoft che si è articolato in un’intensa due giorni e si protrarrà fino al 7 maggio, quando – mosso dalla potenza next-gen di Xbox Series X – mostrerà per la prima volta il suo gameplay.

Se con “Odyssey” era stato ripreso il titolo dell’opera forse più rappresentativa della cultura greca, con “Valhalla” si è puntato su una denominazione immediatamente distinguibile, che richiamasse l’enorme sala in cui Odino accoglieva – secondo la mitologia norrena – i guerrieri più valorosi caduti in combattimento.

Il nome in codice del titolo è stato “Kingdoms” per diversi anni, nonostante rumor rivelatisi poi fake lo avessero identificato in “Ragnarok”. Il gioco rappresenterà un proseguimento del filone RPG lungo il quale la saga degli Assassini si è incamminata da diversi anni, inaugurato da Origins e ampliato a dismisura dall’ultimo capitolo, Odyssey.

Chiacchierando con Anthony Oliveri – admin di Assassin’s Creed Gruppo Italiano, un gruppo da circa 15000 membri fan sfegatati del franchise – ho scoperto che non sono l’unico ad aver preferito Origins ad Odyssey. Tuttavia, mentre io non ho digerito granché bene una certa natura derivativa dell’ultima iterazione dopo aver fatto una scorpacciata della precedente e una semplificazione di elementi che avrebbero dovuto essere simbolo della svolta ruolistica quali le romance, lui si fa portavoce del malessere dello zoccolo duro, che ha storicamente preferito epopee scritte dall’inizio alla fine in maniera lineare e senza colpi di testa concessi ai giocatori che potessero mettere in difficoltà l’equilibrio già precario del canone.

Il trailer ha suscitato nel gruppo reazioni molto positive, mi anticipa, e dunque Ubisoft Montreal può pensare di poter contare, per quanto il “campione” tenuto in considerazione sia naturalmente molto ridotto, su un buon bottino di fiducia acquisito tra i suoi appassionati storici con una presentazione dall’alto tasso di spettacolarità e in uno scenario suggestivo. Permangono giusto dei dubbi atavici legati all’apertura del tessuto narrativo rispetto agli inizi, ma non pare che tale piega verrà abbandonata troppo presto e, se chiedete a me, ormai non ne vedo troppo la ragione – anzi mi consolo con piacere col ritorno del creative director Ashraf Ismail alla guida del progetto (da Origins) insieme allo storico narrative director Darby McDevitt.

Questo proseguimento si tradurrà del resto in un vero e proprio ampliamento delle logiche del franchise, sia sotto il profilo delle meccaniche – pensate alla gestione del villaggio oppure alla dinamica degli assalti – che da quello culturale, che sarà incentrato, dopo le incursioni nei micro-cosmi dell’Antico Egitto e della Grecia, sul brutale mondo dei Vichinghi.

In virtù di questa nuova dimensione in cui si è andata ad infilare la serie, e sapevamo che presto o tardi ci sarebbe finita, ho cercato di saperne di più da un esperto del ramo, e chi più del medievista Roberto Pagani – ricercatore dottorando in linguistica e paleografia islandese all’Università di Islanda, dove ha insegnato diverse materie quali manoscritti medievali islandesi, grammatica e letteratura italiana, storia dell’Opera italiana, con alle spalle supplenze nei corsi di antico nordico, noto in rete per il suo progetto “Un italiano in Islanda” – poteva aiutarmi in un compito così arduo?

L’ambientazione

Assassin’s Creed Valhalla sarà ambientato nelle «ricche terre dei regni infranti dell’Inghilterra», citiamo dalla descrizione ufficiale di Ubisoft, e ci metterà nei panni del clan vichingo di Eivor, che – costretto da guerre senza fine e carestie – abbandona nel IX secolo d.C. la Norvegia in cerca di un futuro migliore dopo aver attraversato il mare del Nord.

«Dopo l’abbandono della Britannia da parte delle legioni romane, le invasioni germaniche di angli, sassoni e muti portarono alla formazione di vari regni», mi spiega Pagani, nel tentativo di motivare come mai quelle terre – tanto prodighe quanto capaci di infiammarsi al minimo soffio di vento – risultassero ai tempi dell’arrivo dei Vichinghi tanto frammentate. «La cristianizzazione acquistò impeto dopo il battesimo del Re Etelberto del Kent, nel 601. Il potere di questi regni subì sorti alterne, fino all’emergere del Regno del Wessex, che avrebbe poi costituito l’ultimo bastione contro l’invasione danese», aggiunge, citando quel Wessex che, insieme ai Sassoni, ritroveremo come baluardo finale dinanzi alla nostra straripante armata nei regni dell’Inghilterra in Valhalla.

Nel trailer di presentazione vediamo una testa coronata firmare una dichiarazione di guerra: quel tale è Re Alfredo. «Alfredo si colloca al termine di una fase storica dell’Inghilterra che tradizionalmente si definiva eptarchia, per il fatto che l’Inghilterra era divisa in sette regni», mi racconta puntualmente il medievista a proposito di questa affascinante e, come capita spesso quando si parla di storia, controversa figura.

«Con l’invasione danese, che porta gran parte dell’Inghilterra centro-settentrionale sotto il controllo danese, Alfredo assume il ruolo di difensore della sfera inglese, e riesce ad arginare l’espansione nordica»; è questa, sostanzialmente, la ragione per cui nel gioco lo troviamo come nostro antagonista, in quanto strenuo difensore dei territori che stiamo provando ad invadere. «È stato il primo Re ad assumere il titolo di “Re degli Anglosassoni”, riuscendo a cucire le divisioni politiche precedenti di fronte all’invasione. Viene ricordato come “il grande”, per il successo dei suoi sforzi» di unificazione di territori che, fino alla sua ascesa al potere, non avevano neppure mai dimostrato un interesse a stare insieme.

La narrazione che salta fuori a tinte innegabilmente forti dal primo trailer di Assassin’s Creed Valhalla sembra prevedere, abbastanza netto, uno schema in cui i Vichinghi reciteranno la parte dei buoni e gli Inglesi quella dei cattivi. Nella redazione di SpazioGames siamo divisi tra quanti trovano fastidiosa questa tendenza di costruire talvolta forzosamente delle figure di antieroi dal tratto positivo e chi invece apprezza il tentativo di rappresentare una popolazione come quella vichinga fuori dagli stereotipi costituiti in secoli di storia e miti.

Interpretando il disappunto del nostro Valentino Cinefra, ho chiesto lumi e, saggiamente, Pagani precisa che «la storia insegna che è sempre difficile, se non velleitario, tracciare linee di demarcazione tra buono e cattivo. La linea tra bene e male attraversa l’animo di ogni persona» e succede spesso che i panni di una parte o l’altra vengano vestiti a seconda delle esigenze e, soprattutto, dei tempi.

Nel nostro caso questo è particolarmente valido perché «i vichinghi erano pirati stagionali che, in un’epoca e in una società assai diversa dalla nostra, si procuravano risorse e ricchezze portandole via agli altri e usando la violenza dove necessario. Giudicare questo con i canoni moderni sarebbe come giudicare la caccia di un leone con l’etica nostra attuale».

Lo studioso riconosce comunque che «senza dubbio si nota una tendenza nei media a voler proporre semplificazioni di questo tipo per un pubblico che è sempre più alla ricerca di un ritorno al frugale e alla natura, in un fuga da una società vista come alienante. In quest’ottica i norreni – chiamarli vichinghi è un errore come chiamare tutti i romani “gladiatori” (giacché con questo termine viene indicata una classe dei norreni, ndR) – vengono letti come la rappresentazione di un’umanità liberata e onorevole che si contrappone alla corruzione della civiltà».

«Ovviamente sono tutte letture attuali che nulla hanno a che vedere con la realtà storica. I vichinghi norreni erano ben felici di assorbire quanto più potevano e imparare dalle nazioni che razziavano».

I Vichinghi

Quelli che per pura semplificazione chiameremo Vichinghi avevano usi e costumi complessi, per quanto vengano rappresentati come popolazioni sanguinose e illetterate. Il trailer di Assassin’s Creed Valhalla, per quanto si tratti di una cinematic in computer grafica e pure di una piuttosto breve, ha già fornito spunti in tal senso e indicato la strada che sarà seguita in termini di narrazione, che pare quella di un racconto piuttosto realistico contaminato soltanto da alcune suggestioni mitologiche, come vedremo più avanti.

La clip ci mostra diversi passaggi in cui i personaggi, Eivor in testa, si applicheranno delle pitture facciali – «i colori di guerra», come li chiama Ubisoft – e questa dinamica avrà una sua valenza nel titolo, dal momento che gli utenti potranno personalizzarle insieme alla pettinatura, ai tatuaggi e all’equipaggiamento in qualunque momento prima di scendere in battaglia. Questo, ci spiega Pagani, è «un tema abbastanza controverso. Abbiamo un resoconto arabo del X secolo che sembrerebbe indicare l’uso dei tatuaggi, ma è difficile dire se tale pratica fosse comune a tutta l’area nordica», e ciò vuol dire che tale aspetto potrebbe essere la prima di diverse licenze che la casa transalpina potrebbe essersi presa per rendere più allettante – similmente a quanto fatto in serie TV e film recenti – da un punto di vista estetico il suo nuovo action adventure.

Naturalmente, i Vichinghi saranno armati di tutto punto nel momento in cui saranno impegnati in scontri come quello avvistato alla fine del trailer, e in questi frangenti ci troveremo davanti ad una pioggia di asce. «Le asce», osserva il medievista, «erano comuni perché richiedevano meno metallo rispetto alle spade, la cui lama aveva un doppio taglio e raggiungeva i 90cm di lunghezza».

Le spade potrebbero evidentemente qualcosa di abbastanza raro nel gioco, qualora Ubisoft abbia puntato in questa dinamica ad un certo livello di fedeltà storica. Tenendo presente la vena RPG che sta attraversando, con diversi gradi di rarità e aspetti esteriori che punteranno comunque ad essere quanto più attraenti possibile, non è da escludere che verranno prese decisioni di design audaci, specie per quanto riguarda l’armamentario leggendario.

Il trailer di presentazione di Valhalla ha fatto ampio ricorso alle navi, comunemente note come Drakkar; su questo nome, Pagani mi tira le orecchie osservando «intanto che drakkar è un termine sbagliato, una storpiatura originata da una erronea trascrizione francese. Il termine originale è dreki, “drago”, che al plurale fa drekar». Esse, da quanto rilevato nelle saghe islandesi del 1200-1300 che ha studiato lungo la sua notevole esperienza, «erano navi specificamente costruite per la guerra», laddove in questa letteratura gli scontri a bordo di imbarcazioni che si accostavano le une alle altre e vedevano gli equipaggi salire a bordo per completare scontri ‘a terra’ erano molto frequenti.

Tuttavia, «esistevano accanto ad altre concepite per scopi diversi, come il commercio», e pare che questa fattispecie – le fonti sono tante e su certi punti discordanti, quindi non si può parlare di una licenza, in tal caso – meno bellicosa sia stata tenuta presente da Ubisoft per il gioco, dal momento che, diversamente dai predecessori, non includerà scontri navali ma soltanto l’opportunità di esplorare la costa. «Il dreki aveva il vantaggio di un pescaggio minimo, cosa che gli permetteva di spingersi in acque poco profonde», apprendiamo ancora.

Mitologia e fiction

Dopo essere stati per anni ai margini dell’industria dell’intrattenimento (ricordo ancora con piacere quella rarità che fu Too Human, bistrattato, non so bene quanto a ragione, titolo di Silicon Knights per Xbox 360), i norreni sono tornati prepotentemente a dettare legge nel gaming, e Assassin’s Creed Valhalla arriva in un momento forse persino di sovraesposizione mediatica di questa cultura. Ubisoft ha provato a sterzare, come serie TV quali Vikings o The Last Kingdom, verso l’aspetto più terreno e viscerale della vicenda, mantenendosi – almeno a quanto abbiamo visto in questo primo trailer – ad una certa distanza dalla mitologia che ha alimentato le fantasie dei videogiochi proposti finora sul tema vichingo.

L’unica concessione sembrerebbe essere stato fatta alla figura di Odino, che nel bel mezzo della battaglia conclusiva del video – in una fase particolarmente drammatica dello scontro, che pare volgere in favore delle armate di Alfredo – pare comparire appoggiato ad un albero, vestito di abiti trasandati e con il volto ben nascosto da un cappuccio.

«Si tratta di una raffigurazione tipica di Odino, un pochino romanticizzata», mi illustra Pagani. «Egli era descritto come un viandante orbo che vagava di tanto in tanto per il mondo alla ricerca degli eletti che sarebbero assurti nella sua sala a seguito della morte in battaglia».

Va osservato che diversi fan si sono interrogati su chi sia davvero questo personaggio: mentre la lettura più semplice è appunto quella che gli conferisce i panni di Odino, c’è chi arriva ad immaginare possa trattarsi di una proiezione di un Assassino di un’epoca precedente (come successe ad Ezio in Revelations con Altair). C’è chi pensa si tratti addirittura di Darius, il creatore della lama celata, la cui presenza giustificherebbe – mi fa notare Oliveri – come mai Eivor indosserebbe la lama per il verso giusto, diversamente da quanto fatto dal povero Bayek che in Origins si mozza un dito equipaggiandola male.

Nel trailer, un volatile familiare si staglia nel cielo simultaneamente all’urlo del protagonista che afferma con gioia che «Odino è con noi!», e potrebbe essere quello che adopereremo per scrutare le ambientazioni dall’alto come ormai topos della serie: «i corvi rappresentano il pensiero e la memoria di Odino, viaggiano per il mondo portandogli notizie», per cui da una prospettiva tematica sembrerebbe calzare a pennello.

In alternanza al materiale concreto e a quello dell’ampia mitologia, Valhalla accederà anche a licenze, come abbiamo anticipato, che gli permetteranno di colmare i tanti vuoti riconosciti anche da Ubisoft in una vaga quanto sincera Q&A ufficiale a proposito dell’accuratezza storica del prossimo capitolo della serie Assassin’s Creed. Nelle battute iniziali del trailer possiamo vedere un’enorme statua mentre il protagonista si applica delle pitture facciali, e «questo è un motivo inventato», mi spiega il medievista. Sebbene il publisher sottolinei in maniera abbastanza convinta come il culto abbia ricoperto un ruolo fondamentale nella vita di tutti i giorni dei norreni, Pagani ribadisce che «non abbiamo notizie riguardo ai rituali della religione nordica. L’archeologia aiuta poco, e i testi che abbiamo sono stati composti secoli dopo la conversione al cristianesimo e non sono dunque attendibili».

Le donne

In Assassin’s Creed Valhalla si ripresenterà il doppio protagonista, con un personaggio di sesso femminile e uno maschile; tuttavia, questi due personaggi non esisteranno simultaneamente nella finzione del gioco, e selezionarne uno implicherà che l’altro non verrà mai menzionato nella storia – diversamente da quanto implementato in Assassin’s Creed Odyssey.

In redazione ci siamo detti, su spunto interessante del nostro Adriano Di Medio, che inserire almeno la possibilità di scegliere una protagonista avrebbe reso l’idea di quanto fosse progredita la civiltà norrena dal punto di vista della parità dei sessi, dal momento che i media e certi rami della tradizione ci hanno trasmesso che le donne non venissero escluse proattivamente da parti della vita sociale.

Tuttavia, dalla sua prospettiva di studioso, Pagani trova che «la parità dei sessi è stata notevolmente esagerata, perché si è voluto a tutti costi trovare dei precedenti storici per giustificare delle (sacrosante) battaglie moderne per i diritti civili», in quella che potremmo definire una fallacia tipica dell’età moderna, che rilegge il passato con le chiave di lettura acquisite nella contemporaneità e spesso con un occhio di parte.

Su taluni aspetti, è il caso di confermare che i norreni fossero piuttosto avanzati – «è vero che, da un lato, le donne nordiche potevano divorziare» – e che alcuni “avanzamenti” che si sono visti pure nella cultura greca si sono come persi per strada nel percorso evolutivo della specie, «ma è anche vero che la suddivisione dei ruoli era ben demarcata», sottolinea l’intervistato.

Ma le donne vichinghe combattevano? «Le fonti archeologiche sono altamente dibattute su questo specifico problema», ha osservato Thierry Noël, lo storico che ha fornito consulenza ad Ubisoft per la realizzazione di Valhalla in una Q&A ufficiale. «Ma il fatto è che, e penso che sia quello che è davvero importante, essa [la figura della donna guerriera] era parte della loro concezione del mondo».

«Saghe e miti della società norrena sono pieni di personaggi femminili forti e guerriere. Era parte della loro idea del mondo che le donne e gli uomini siano ugualmente formidabili in battaglia, e questo è qualcosa che Assassin’s Creed Valhalla rifletterà».

La “canzonatura” e i combattimenti

Un aspetto fondamentale del loop del gameplay di Assassin’s Creed è chiaramente rappresentato dai combattimenti e, dal momento che Valhalla sarà incentrato su un popolo che la tradizione ci tramanda come particolarmente intenso sul campo di battaglia, era interessante scoprire come questa loro natura avrebbe avuto un impatto sul gioco in sé. Nel materiale giratoci alla presentazione, Ubisoft ha parlato di uno «spietato stile di combattimento dei guerrieri vichinghi con un sistema rinnovato, che include la capacità di impugnare due armi per affrontare una maggiore gamma di nemici», per questo ho chiesto lumi riguardo alla possibilità che questo «spietato» modo di fare la guerra avesse radici lontane.

«Non sappiamo molto dello stile di combattimento, se non quello che può essere dedotto dalle armi usate (spade, scudo, asce, lance, archi, coltelli…)», mi racconta Pagani. «Tuttavia, l’idea che gli Anglosassoni o i franchi cristianizzati fossero diventati delle mammolette deboli alla mercé della brutale potenza mascolina dei nordici pagani è un altro mito contemporaneo».

Anche questa una fallacia, insomma, perché «elemento tipico della rappresentazione che si vuole dare oggi proiettando nel passato le proprie aspettative attuali: si vogliono vedere i nordici, o i vichinghi, come degli antesignani di un modello di civiltà che vorremmo in qualche modo reintrodurre, e si proietta sugli anglosassoni e agli altri popoli europei cristianizzati tutto ciò che di negativo troviamo nella civiltà attuale».

Probabilmente, ma questa è una nostra speculazione, in virtù di quanto ci siamo detti finora l’armamentario potrebbe essere più povero in termini di pura qualità costruttiva ed elaboratezza, perlomeno rispetto ai capitoli precedenti di Assassin’s Creed che affondavano gli artigli in corpus storici e mitologici più sostanziosi e forse raffinati al confronto.

Il gioco includerà anche una «tradizionale arte norrena della canzonatura», come viene descritta in via formale, e il nostro studioso ha chiarito che dovrebbe trattarsi della derivazione di una «poesia della raccolta dell’edda poetica, Lokasenna, dove il Dio Loki insulta tutti gli altri dei riuniti per una festa, svergognandoli pubblicamente per i loro peccatucci (specialmente sessuali)». «Questa poesia è stata interpretata come un modo dell’autore di criticare indirettamente comportamenti dei suoi contemporanei (promiscuità, infedeltà… atteggiamenti che troviamo in ogni epoca)» e, a giudicare dal tono, è possibile che la ritroveremo nelle serate conviviali negli accampamenti che costruiremo mentre ci stabiliremo in Inghilterra con il nostro clan.

Non avremmo potuto cominciare in modo diverso, affrontando la cultura con la quale Ubisoft si misurerà alla fine del 2020 e tutte le possibili ripercussioni che questo contatto avrà sulla saga degli Assassini – e soprattutto sui suoi fan, che legittimamente si chiedono se la prima versione next-gen della loro saga preferita sarà all’altezza. Questo è stato soltanto il nostro primo appuntamento con Assassin’s Creed Valhalla, aspettando di poter scoprire il gameplay il prossimo 7 maggio, quando lo vedremo girare per la prima volta su Xbox Series X.

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Non avremmo potuto cominciare in modo diverso, affrontando la cultura con la quale Ubisoft si misurerà alla fine del 2020 e tutte le possibili ripercussioni che questo contatto avrà sulla saga degli Assassini – e soprattutto sui suoi fan, che legittimamente si chiedono se la prima versione next-gen della loro saga preferita sarà all'altezza. Questo è stato soltanto il nostro primo appuntamento con Assassin's Creed Valhalla, aspettando di poter scoprire il gameplay il prossimo 7 maggio, quando lo vedremo girare per la prima volta su Xbox Series X.