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Warhammer Age of Sigmar: Realms of Ruin | Recensione - Non tutto è all'altezza

Realms of Ruin è il primo titolo di spicco dedicato all'ultimo universo di Games Workshop, un biglietto da visita che non ci ha convinti del tutto.

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

In sintesi

  • Realms of Ruin è il primo titolo di spicco ambientato nell'universo di Age of Sigmar.
  • La campagna può finire in tutta tranquillità nella vostra collezione di avventure fantasy della Games Workshop.
  • Come RTS ci sono troppe semplificazioni ed evidenti difetti.

Informazioni sul prodotto

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Warhammer Age of Sigmar: Realms of Ruin
  • Sviluppatore: Frontier Developments
  • Produttore: Frontier Developments
  • Testato su: PC
  • Piattaforme: PC , PS5 , XSX
  • Generi: Strategico
  • Data di uscita: 17 novembre 2023

Warhammer: Age of Sigmar ha bisogno di affermarsi. Nato sul finire del 2015 dalle ceneri del Fantasy, l’ultimo universo creato da Games Workshop è stato accolto in modo tiepido, per usare un eufemismo. I fan di vecchia data non gli hanno infatti perdonato di aver spazzato via – almeno inizialmente – molti degli eroi più iconici, come l’imperatore Karl Franz, Teclis, o Grimgor, ma soprattutto di aver reso pressoché inutilizzabili molti degli eserciti e delle miniature accumulate in svariati decenni. Fidatevi, una spesa non da poco.

Vuoi per una lore scarna, vuoi per quanto appena detto, Age of Sigmar è stato fino a poco tempo fa il brutto anatroccolo della famiglia, ma le cose stanno decisamente cambiando e, giunti alla terza edizione e con una nuova schiera di eroi a cui affezionarsi, il nuovo brand sta finalmente ritagliandosi la sua nicchia di giocatori.

Qualcosa andava fatto anche nel mondo dei videogiochi e Warhammer Age of Sigmar: Realms of Ruin – d’ora in avanti Realms of Ruin per amore di sintesi – vuole esattamente essere ciò che è stato Dawn of War per Warhammer 40.000 o la trilogia dei Total War per l’universo Fantasy. Lo strategico in tempo reale creato da Frontier Developments ha l’ambizione di diventare l’esponente di spicco in mezzo al mare di titoli dalla qualità discutibile

Diciamo che ci troviamo sopra la media, ma non che questo sia un reale merito, vista la scarsa competizione.

Cosa è Age of Sigmar?

Spendiamo giusto qualche riga per inquadrare Age of Sigmar nel suo complesso. Come detto in apertura, si tratta del prosieguo del vecchio universo Fantasy, inghiottito senza troppi onori durante quello che è stato definito l’End Time, un breve arco narrativo in cui, per una volta, sono state le forze del caos a trionfare.

Almeno in apparenza, visto che Sigmar in persona, dopo qualche viaggetto cosmico, si è risvegliato dal torpore, è diventato a tutti gli effetti una divinità e ha dato vita all’era che porta il suo nome, un nuovo contesto che, per dirla in breve, prende le esagerazioni del Fantasy e le eleva all’ennesima potenza.

La lotta tra il bene e il male non si gioca più solo su un pianeta, ma lega più realtà e mondi separati, alcuni dedicati alla luce e altri al fuoco, o alla morte e alla vita.

Realms of Ruin ci porta su Ghur, il Regno delle bestie, uno degli ultimi introdotti da Games Workshop e che ha trovato ampio spazio nella terza e ultima edizione del gioco da tavolo. A suo modo, il videogioco è un tentativo di sponsorizzazione nemmeno troppo velato, visti i protagonisti messi in campo e le vicende raccontate nella campagna.

Romanzo digitale

Durante questa lunga avventura suddivisa in più capitoli, seguiamo le orme di una spedizione delle Città di Sigmar, quelle che in gergo tecnico sono chiamate Dawnbringer Crusade. Il tentativo di colonizzazione – perché di questo si tratta – è guidato dai protagonisti assoluti di questa nuova iterazione, ossia gli Stormcast Eternals: guerrieri forgiati da Sigmar in persona e che, semplicemente, non possono morire in senso letterale.

Nonostante questo apparente vantaggio, la conquista è più complessa del previsto, soprattutto a causa dei Kruelboyz, una razza di pelleverde decisamente più vicina a Mork che a Gork, dedita a sotterfugi e imboscate. Un prezioso aiuto potrebbe venire da un misterioso artefatto scovato sul pianeta, attorno al quale prende vita una storia che interseca presente e passato e che coinvolge altre fazioni, come i Nighthaunt e i Discepoli di Tzeentch. 

Senza scendere troppo nei dettagli, vi basti sapere che il racconto è stato affidato alle sapienti mani di Gavin Thorpe, celebre autore della Black Library e qui capace di scrivere una perfetta avventura fantasy degna degli altri romanzi targati Age of Sigmar.

Naturalmente molto dipende dalle vostre aspettative, perché qua ci sono eroi volutamente sopra le righe, azione a non finire, sacrifici e tradimenti e un confine molto più sfumato tra il bene e il male, ma non aspettatevi particolari riflessioni o archi evolutivi per i protagonisti – che, al contrario, incarnano tutti gli stereotipi esagerati dell’universo Games Workshop.

Il comparto narrativo è degno di un titolo di alto profilo e presenta anche la traduzione in italiano.
Tutti questi elementi vengono esaltati durante delle cinematiche dal forte impatto, dove brillano il buon doppiaggio e una realizzazione tecnica davvero pregevole, con una qualità degna di un titolo dall’alto profilo e che non si accontenta di qualche scritta di accompagnamento tra un capitolo e il successivo.

Segnaliamo inoltre la presenza della traduzione in italiano – non del doppiaggio, però – anche se scegliendo la lingua nostrana vengono cambiati anche i nomi delle fazioni, con esiti quasi comici, con i Kruelboyz che diventano ad esempio i Krudelazzi. 

Le missioni sono state infine capaci di raccontare esattamente cosa sia il mondo di Age of Sigmar tramite una accurata ricreazione del pianeta, un regno delle bestie che ha una vita propria, dove tutti sono sia prede che predatori, con quel pizzico di corruzione del caos che non guasta mai.

Oltre che per la narrativa, la campagna spicca poi per la varietà degli incarichi. Le missioni non sono un semplice susseguirsi di partite tutte uguali, ma propongono obiettivi sempre differenti, con compiti primari e secondari, e che spesso sono messi al servizio di ciò che si vuole raccontare. Inoltre, per quanto gli Stormcast Eternals la facciano da padroni, non mancano spezzoni in cui si vestono i sudici panni dei Kruelboyz o i mantelli spettrali dei Nighthaunt.  

Un Core Book dalle poche pagine

La voglia di giungere al termine di questo interessante romanzo fantasy ha solo parzialmente lenito i fastidi derivanti da un gameplay che, mouse alla mano, si è rivelato tutt’altro che esaltante.

Con Realms of Ruin siamo molto più nei paraggi di un Dawn of War che non di un Age of Empires. Il sistema economico è infatti legato al controllo di alcune aree strategiche sparse sulla mappa che, in automatico, generano l’accumulo dei punti comando e della pietra del potere, gli unici due materiali da raccogliere.

Questi punti strategici possono poi essere sviluppati tramite una manciata di edifici, come strutture utili ad incrementare l’estrazione delle risorse, a guarire le truppe alleate o, ancora, delle torrette difensive.

Ciascuna zona ospita al massimo una sola costruzione e anche la base centrale non si espande durante il corso della partita, ma viene solo migliorata tramite sempre gli stessi upgrade, che permettono l’arruolamento di più truppe e di migliore qualità.

Il base building è dunque ridotto all’osso e il controllo della mappa si ottiene inviando un continuo afflusso di truppe lungo le zone nevralgiche dello scenario. Purtroppo, a livello tattico, Realms of Ruin presenta davvero troppe debolezze.

Anche in questo caso ritorna la somiglianza con il già citato Dawn of War, dato che non si guidano singole unità, ma piccoli gruppi di truppe. Gli scontri si basano sul classico sistema carta-forbice-sasso, ben evidenziato dall’interfaccia, e solo gli eroi sfuggono a questa stretta gerarchia – pedine volutamente sbilanciate e in grado di ribaltare da solo gli esiti degli scontri.

Inconvenienti tecnici

L’unico modo per sfuggire a questa evidente semplificazione era il ricorso ad un micro-management a tratti invasivo e Realms of Ruin segue proprio questa strada. I duelli vengono dunque vinti grazie alla velocità di click e ai riflessi e non tramite una attenta pianificazione.

Inoltre, raggruppando unità di tipologie differenti, i comandi finiscono col sovrapporsi e questa difficoltà gestionale viene punita con più severità dal fatto che, una volta coinvolte nel corpo a corpo, le truppe non possono staccarsi dal duello, a meno di non effettuare una ritirata fino alla propria base. 

A causa dei problemi, il risultato finale delle battaglie è spesso una mattanza con ben poca tattica.
Sono scelte di design molto discutibili, a cui si aggiungono poi difetti tecnici. Il principale è l’intelligenza artificiale – se così si può chiamare – dei propri alleati, che spesso se ne stanno immobili a subire degli attacchi dalla distanza, oppure preferiscono osservare un proprio compagno che sta lottando a pochi passi da loro, senza intervenire.

Mancando poi degli avvisi sugli attacchi subiti, capita spesso di vedersi decimare il proprio esercito per queste mancanze della AI. A questo si aggiunge poi lo strano comportamento delle truppe da lancio, che faticano a leggere le istruzioni e gli input, e si gettano nel corpo a corpo al posto che attaccare come dovrebbero da lontano.

Il risultato finale è una mattanza con ben poca tattica, un continuo click su e giù per la mappa nella speranza che le unità a disposizione del giocatore non se ne stiano immobili.

Un’altra scelta che fatichiamo a comprendere è un tetto massimo alle unità davvero risicato, con un numero di truppe che fatica a coprire l’intera mappa e che, di conseguenza, deve essere spostato lungo tutto lo scenario, amplificando i difetti poco sopra elencati.

Siamo, è evidente, al cospetto di un titolo volutamente semplificato, creato in un'ottica multipiattaforma e con i pochi comandi raggruppabili anche sui joypad Xbox e PlayStation: una scelta commerciale che non ci sentiamo di discutere ma che di certo non può fare felici i puristi della strategia.

Tra fisico e digitale

Infine, permetteteci qualche considerazione da appassionati del gioco da tavolo. Arrivati alla terza edizione, Frontier avrebbe potuto scegliere con maggiore criterio quali miniature trasportare nel proprio gioco, mentre ci troviamo al contrario al cospetto di notevoli buchi e anacronismi.

Giusto per fare un paio di esempi, gli Stormcast Eternals hanno a disposizione gli antiquati Liberators – usciti ai tempi della prima edizione – mentre sono assenti i più recenti e interessanti Vanquishers o le truppe di “cavalleria” come le Dracothian Guard. Un discorso analogo può essere fatto anche per le altre fazioni, con una selezione di miniature davvero troppo esigua e che riduce i differenti approcci strategici. 

Trattandosi di un gioco a tema Warhammer fatichiamo a non vedere all'orizzonte la solita sfilza di DLC, che si tratti di eroi aggiuntivi – già promessi – o di nuovi eserciti delle quattro alleanze principali.

Le modalità di gioco

Questi scivoloni in termini di gameplay si sentono con forza in tutte le modalità di gioco che, oltra alla già citata storia, mettono a disposizione anche le classiche partite contro l’AI o le classificate contro gli altri giocatori umani – oltre a una tipologia di campagna chiamata Conquista, dove occorre vincere numerose battaglie sempre diverse per colonizzare completamente Ghur alla guida di una delle quattro fazioni disponibili. 

Esattamente come per Dawn of War – scusate l’ennesimo riferimento – o per il cugino Company of Heroes, le fortune future di Realms of Ruin passano per la componente online e il multiplayer.

In questa ottica è stata un’ottima scelta quella di inserire fin da subito un potente strumento di editor per la creazione delle mappe, sul quale la community ha già iniziato a sbizzarrirsi per creare campi di battaglia dettagliati fino alla singola texture.

Al contrario, ci aspettavamo molto di più dal tool per dipingere le miniature, che permette solo di scegliere fra una manciata di colori – tutti targati Citadel – per decorare gli elementi delle unità, uno strumento che poco ha da spartire con quello davvero ben fatto di Moonbreaker

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Voto Recensione di Warhammer Age of Sigmar: Realms of Ruin | Recensione


6.5

Voto Finale

Il Verdetto di SpazioGames

Pro

  • Uno dei pochi giochi di Warhammer degni di questo brand

  • La campagna ha un'ottima scrittura e tiene incollato il giocatore fino alle battute finali

  • Molto bello da vedere

  • Il map editor è un prezioso alleato per la longevità del titolo

Contro

  • Le meccaniche da RTS sono ridotte all'osso

  • Evidenti problemi con i comandi e con l'intelligenza artificiale

  • Le unità sono poche e non rappresentano nemmeno le ultime miniature create da Games Workshop

Commento

Ci aspettavamo molto di più da Warhammer Age of Sigmar: Realms of Ruin.  Il primo impatto è davvero ottimo, la realizzazione tecnica è di primo ordine, la campagna ci ha accompagnati dentro un vero romanzo 2.0 e anche le missioni non sono per nulla banali. Purtroppo è quando ci si concentra sugli aspetti ludici che Realms of Ruin mostra tutte le sue mancanze, che si tratti della poca profondità strategica o degli scivoloni tecnici che hanno accompagnato ogni nostra battaglia nei Reami Mortali.
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