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L'importanza (relativa) di un nove - Occhio Critico

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Avatar di Gianluca Arena

a cura di Gianluca Arena

Editor

Pubblicato il 14/07/2018 alle 00:00

Questa è la storia (vera) di un Occhio Critico diverso dal solito, in cui mi siedo e guardo indietro ai miei nove anni abbondanti di Spaziogames e ai voti elargiti durante questo periodo.

Lo spunto mi è venuto da alcuni dei miei lettori più affezionati, che non smetterò mai di ringraziare per il continuo supporto (è soprattutto per quelli come voi che continuo, imperterrito, a fare questo mestiere!): mi è stato fatto notare che nell’ultimo mese e mezzo ho graziato con un nove su dieci ben quattro titoli diversi.

Visto l’andazzo del mercato e della critica di settore, direte voi, non c’è nulla di cui meravigliarsi, ma questi stessi lettori, che mi seguono da anni e sanno quanto sia di manica stretta, mi hanno chiesto se è solo un caso o c’è dell’altro dietro.

Donde questo pezzo.

Freddi numeri

Prima di tutto i numeri, che in genere non amo snocciolare ma che possono spiegare lo stupore dei miei lettori abituali dinanzi agli ultimi sviluppi: sono andato a spulciare il ricchissimo database del sito, che tiene conto di ogni singolo articolo scritto dal mio esordio fino all’ultimo, che, al momento di redigere questo pezzo, risulta essere la recensione di quel gioiellino di Octopath Traveler su Switch (premiato, manco a dirlo, con un sonoro 9/10).

Escludendo rubriche, provati, anteprime e speciali, tutti pezzi che non portavano un voto in calce, il sistema mi dice aver recensito 547 titoli, che coprono praticamente ogni piattaforma sul mercato dal 2009 ad oggi, cominciando dai primordi del gaming su smartphone e finendo con Nintendo Switch. Stante un voto medio di 7,4 (quindi lontano dalle medie dorate che ci si potrebbe aspettare leggendo solamente i miei ultimi pezzi), ho “insignito” con un voto pari o superiore al 9 solamente 29 titoli. Sì, avete letto bene, 29 titoli in nove anni e spiccioli, 29 titoli su 547, per una media percentuale infima, oserei dire, che corrisponde, grossomodo, al 5,3%.

Avete capito, adesso, perché adoro certi miei lettori?

Non solo la domanda riguardo ai miei ultimi voti era pertinente, ma veniva da molto lontano, e aveva ampiamente motivo di essere, considerando che, a partire dagli inizi di giugno scorso, i 9 sono stati ben quattro, equamente distribuiti tra Switch e Xbox One (Ikaruga, Hollow Knight e Octopath Traveler sul primo, Nier Automata sulla seconda).Per non rimanere a metà del guado, già che c’ero sono andato a guardare ancora più dietro, e ho fatto scoperte ancora più clamorose: nell’anno in corso ho dato altri due nove (Into the Breach su PC e Night in the Woods su Switch), e ne avevo elargiti altri quattro nel corso del 2017, anno eccezionale per chi ama i videogiochi. Questo porta il totale degli ultimi 18 mesi a ben dieci votazioni pari o superiori al nove, che sono quasi un terzo del totale, e quindi tantissime in un lasso di tempo così breve.

La successiva domanda sorge spontanea: la qualità media dei videogiochi si sta alzando o, tutto ad un tratto, le primavere sul groppone iniziano a farsi sentire per questo stagionato redattore?

Boom

Per rispondere brevemente alla domanda con cui si è concluso il paragrafo precedente, direi nessuna delle due. O entrambe.

Segni di una precoce demenza senile del sottoscritto a parte, il mercato sta vivendo innegabilmente un momento d’oro, le cui basi sono state gettate nelle due precedenti generazioni di console: il bacino d’utenza e la percezione del videogiocare sono mutate in maniera radicale dopo il successo planetario di Playstation 2, e questo, oltre a portare nuovi adepti al nostro medium preferito, ha anche portato nuove menti creative dall’altra parte della barricata. Ragazzi degli anni ’80 e ’90, cresciuti con il NES, il Commodore o il Master System, andati a letto decine di sere bramando una cartuccia piuttosto che una bicicletta come la grande maggioranza dei loro coetanei: sono loro i protagonisti del mercato di oggi, e stanno portando una sensibilità e un modo di intendere i videogiochi che al sottoscritto, e a larga parte della critica specializzata, piacciono un sacco.

Ecco che, allora, accanto a produzioni multimilionarie che fanno cadere mascelle (come l’ultima avventura di Kratos, che il cielo protegga Cory Barlog), ci sono i Team Cherry della situazione, uno sparuto gruppetto di sviluppatori australiani senza alcuna esperienza pregressa che tira fuori dal cilindro quel capolavoro che risponde al nome di Hollow Knight. E poi quelli che sono cresciuti con le avventure di Ron Gilbert e Tim Schafer, che oggi propongono al mercato titoli straordinariamente fuori dalla logica commerciale eppure straordinariamente ben fatti, come il già citato Night in the woods o Thimbleweed Park, o ancora quel pugno allo stomaco travestito da carezza che è What remains of Edith Finch.

La globalizzazione, tra i suoi tanti effetti dubbi, ha portato tantissime realtà locali ad avere una visibilità impensabile fino a qualche anno fa, facendo emergere talenti dove meno li si aspettava: Australia (ci sono anche i ragazzi di Grinding Gear Games lì), Scandinavia, Spagna, Polonia, Repubblica Ceca, Ucraina, Canada e finanche il nostro Belpaese (lode ai ragazzi di Ubisoft Milano), mentre fino a una decina di anni fa gli attori sul mercato erano molti meno.

Se a questo si aggiunge il ritorno in grande stile del Giappone, che ha vissuto una crisi d’identità che è coincisa, a grandi linee, con la scorsa generazione di console ma ha saputo rialzarsi e ricominciare a proporre titoli di primissimo piano, ecco che il numero di produzioni è aumentato a dismisura, e questo, ovviamente, ha portato ad un aumento dei titoli meritevoli, spalmati su un numero impressionante di piattaforme, che vanno dai device mobile fino a PS4 e Xbox One, con eventuali nuovi attori che potrebbero aggiungersi alla corsa (Google?).

In generale, quindi, possiamo dire che sia il rapporto ad essere mutato e non la qualità intrinseca dei giochi, sebbene, nuove sensibilità abbiano giovato enormemente al mercato, ampliando la gamma dei giochi offerti e il loro pubblico.

Certo, sopravvivono manie del momento (prima erano gli FPS, poi i titoli online-only, ora le battle royale), ma ognuna delle tre grandi console sul mercato consta di una libreria così variegata da soddisfare praticamente ogni tipo di palato, dal quasi quarantenne fino al neo adolescente, e questo è un traguardo da non sottovalutare.

Emozioni

Due altri elementi vanno tenuti in considerazione: l’eliminazione dei decimali, decisa dalla redazione qualche anno fa, e la pura, semplice emozione, quel qualcosa di inafferrabile e difficilmente trasferibile a parole che molti videogiochi sono in grado di dare. Riguardo alla prima, va detto che, per quanto minimi nella valutazione complessiva, i decimali permettono una maggiore diversificazione dei voti, e consentono, in caso di indecisione da parte del redattore, di porsi a metà tra un 8,5 ed un 9, ad esempio.

Alcuni dei titoli da me recensiti e citati poc’anzi (morirei piuttosto che dirvi quali, però!) avrebbero probabilmente meritato qualche decimale in meno, assestandosi comunque su voti più che onorevoli come 8,7 o 8,8, ma dovendo scegliere tra il mezzo voto e quello pieno, l’arrotondamento è avvenuto per eccesso.

Spesso, la discriminante è rappresentata dalle emozioni, da ciò che un titolo riesce a veicolare al di là della mera conta poligonale o dei valori produttivi generali: la storia ed il messaggio dietro a What remains of Edith Finch, la colonna sonora e i finali di Nier Automata, i dilemmi morali di alcuni dei personaggi di Octopath Traveler sono capaci di oltrepassare barriere di età, sesso, cultura (videoludica e non) ed arrivare dritti al cuore, causando reazioni forti nei videogiocatori e lasciando segni indelebili nella loro memoria.

Ecco perché i videogiochi sono molto più che un semplice passatempo, e, anzi, al giorno d’oggi stanno diventando sempre di più una delle forme d’arte più moderne e multiculturali, capace di parlare lo stesso linguaggio a fasce di pubblico sempre più ampie, e magari molto distanti tra loro.

Che il tenero cuore di un redattore più vicino ai quaranta che ai trenta si stia finalmente sciogliendo, dopo trent’anni abbondanti di militanza videoludica?

Più probabile che l’allargamento del mercato videoludico e il talento di tantissime nuove leve tra gli sviluppatori stia portando il mercato ad una ricchezza incredibile, sotto molti punti di vista mai riscontrata prima.

Ci sono avventure grafiche capaci di far riflettere, JRPG con trame decisamente mature, metroidvania con una lore ricchissima, giochi di ruolo d’azione di cui Philip K. Dick sarebbe orgoglioso.

E, al di là della loro realizzazione, questi prodotti contribuiscono a far fare al medium passi avanti decisivi, dal punto di vista dello storytelling, della maturità dei temi trattati, della ricchezza del gameplay e della diversità dell’offerta.

In ultimo, come vi abbiamo sempre detto, un voto è un voto, una fotografia sintetica di vari parametri misurabili, non la parola sacra scolpita nella pietra: fatevi guidare dalle emozioni, oltre che dal parere di chi videogioca da tutta una vita.

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