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We Happy Few

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Avatar di erik369

a cura di erik369

Pubblicato il 28/07/2015 alle 00:00
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Nella costruzione di un mondo narrativo ben riuscito, l’implementazione di una società immaginaria è certamente da attribuire come uno dei fattori più caratterizzanti ed intriganti. Spesso queste distopie ricalcano comunità realmente esistite, enfatizzate ed estremizzate nei loro aspetti più eccentrici, arrivando così a delinearne un’identità propria. Gli esempi di tali società alternative sono innumerevoli, riscontrabili tanto nella letteratura quanto nel cinema, e, naturalmente, anche nei videogiochi. E’ proprio il medium videoludico a vantare alcune fra le distopie meglio costruite e riuscite, annoverando esempi come Rapture di Bioshock o  City 17 di Half Life. In questo scenario lo sviluppatore Compulsion Games inserisce la propria personalissima visione distopica tramite We Happy Few, progetto finanziato con successo tramite kickstarter nel quale essere felici significa non esserlo affatto.

It’s a lovely day!Immaginate di abitare in una città in cui ogni singolo abitante è costantemente felice. Fantastico, no? Immaginate adesso che questa felicità vi sia stata imposta sotto forma di una droga dai potenti effetti collaterali, la quale è stata disciolta nell’acqua che bevete e nel cibo che mangiate. Non esattamente il migliore degli scenari, vero? Immaginate adesso che chiunque non assuma questa droga venga marchiato come un reietto ed emarginato in veri e propri ghetti, la cui popolazione è formata per la maggior parte da individui resi schizofrenici e paranoici dall’assunzione della sostanza. Questo è il background su cui è stata costruita Wellington Wells, una distopica cittadina britannica degli anni ’60, caratterizzata da una società divisa in vere e proprie caste e dalle radici profondamente contraddittorie. La nostra prova con le versione pre-alpha del titolo ci ha portati ad impersonare l’individuo rappresentate il gradino più basso dell’intera comunità, il cosiddetto Downer, colui che per scelta ha sfidato l’autorità e la legge decidendo di non assumere la droga chiamata Joy. Il titolo si configura come un roguelike dalle meccaniche survival, caratterizzato dunque da mappe costruite proceduralmente e dall’impossibilità di riprendere la propria partita dopo la morte. Nonostante siano molti i giochi di questo genere, We Happy Few, già in questa sua fase embrionale, introduce diversi elementi che contraddistinguono profondamente il titolo. Così come nella natura selvaggia, anche a Wellington Wells non è il più forte a sopravvivere, ma bensì colui che riesce ad adattarsi meglio. Tale principio sarà assolutamente fondamentale per assicurarsi una lunga permanenza tra le strade della città, soprattutto qualora si voglia raggiungerne i quartieri più ricchi. Ecco quindi che vi ritroverete ad indossare una vera e propria maschera, costruita per farvi sembrare un individuo uguale fra innumerevoli individui altrettanto uguali. Distogliere lo sguardo, salutare allegramente i passanti, non dare nell’occhio, leggere un giornale, vestirsi in modo adeguato e perfino assumere dosi di Joy saranno azioni necessarie per mantenere l’anonimato. Queste interazioni di depistaggio sono una delle caratteristiche più interessanti di We Happy Few, le quali hanno il potenziale di rendere l’esperienza di gioco unica se ben approfondite ed implementate.

Pillola rossa o pillola rossa?Ingannare gli occhi dei cittadini non sarà però la nostra unica preoccupazione: in quanto survival dovremo assicurarci di mantenere gli indicatori di fame e sete sempre su livelli accettabili, dato che trascurare uno di questi bisogni diminuirà inesorabilmente la salute del nostro alter ego, avvicinandolo progressivamente alla morte. Dovremo quindi raccogliere risorse per l’intero scenario, adattandoci di volta in volta alle profonde differenze che caratterizzano i vari quartieri della città. La zona di partenza è anche la più povera di Wellington Wells, un vero e proprio ghetto, separato dal resto della comunità. Qui vengono rinchiusi tutti coloro che hanno reagito negativamente all’utilizzo di Joy, sviluppando comportamenti aggressivi e paranoici. Case fatiscenti si alternano a strade desolate, in una povertà sconcertante ed enfatizzata dalla possibilità di vedere in ogni momento la zona ricca della città, come un miraggio a noi vicinissimo ma comunque ineffabile. Quel miraggio sarà proprio il nostro obiettivo, portandoci a compiere una lunga preparazione per superare le barriere poste al confine. Nonostante queste possano essere superate con la forza bruta, il metodo migliore per oltrepassarle è quello di utilizzare la pillola della felicità. Più Joy assumeremo più passeremo inosservati, mentre la nostra percezione andrà sempre più ad alterarsi, tramutando ogni cosa attorno a noi in un tripudio di colori sgargianti, accompagnati da musiche allegre e gioiose. Purtroppo gli effetti quasi prodigiosi della droga spariranno molto presto, lasciando spazio a dei gravi effetti collaterali, i quali diminuiranno drasticamente gli indicatori di fame e sete, rendendo il nostro alter ego facilmente individuabile per l’intera durata del processo. Risulta dunque evidente che l’utilizzo di  Joy dovrà essere considerata come l’ultima delle opzioni, in quanto estremamente dannosa.

Tutte le contraddizioni insite nel mondo creato dai Compulsion Games risulteranno evidenti non appena raggiunto il quartiere cittadino. Dopo aver passato diverso tempo nel distretto povero trovarsi davanti all’opulenza della città non può che lasciare straniti. Graziose e colorate abitazioni si schierano in perfetto ordine ai lati di strade ampie e pulite, gremite di allegri cittadini e vigili tutori dell’ordine. Tutti mantengono un’ostentata facciata di cordialità ed allegria, grazie all’uso continuo della droga presente non solo in cibi e bevande, ma disponibile gratuitamente e in gran quantità in ognuna delle caratteristiche cabine telefoniche, che fungono da veri e propri spacci. Il tenore di vita decisamente più elevato viene rispecchiato dalla possibilità di trovare molte più risorse, tuttavia cittadini solitamente armati, guardie inclini alle maniere forti e sistemi di allarme antifurto controbilanciano la cornucopia di oggetti trovabili svaligiando una delle tante case presenti nel borgo. La sola raccolta di risorse si dimostrerà inefficace per affrontare i numerosi ostacoli presenti a Wellington Wells, i quali richiederanno spesso l’uso di oggetti specifici realizzabili solamente tramite il sistema di craft. Quest’ultimo si presenta in maniera del tutto tradizionale, richiedendo risorse specifiche per la costruzione di determinati oggetti, alcuni dei quali potranno essere creati solo tramite l’utilizzo di banchi da lavoro presenti nei rifugi all’interno delle fogne, unici luoghi in cui il Downer può trarre un sospiro di sollievo. Nonostante la versione da noi provata sia ancora povera di oggetti realizzabili, da segnalare sono certamente gli abiti, i quali, grazie alle loro caratteristiche, permettono di passare inosservati tra una determinata categoria di individui, di aumentare la difesa o rendere il nostro alter ego più difficile da individuare.

– Background narrativo intrigante

– Meccaniche di gameplay inedite e ricche di potenziale

– Possibilità di scegliere il proprio stile di gioco

We Happy Few è quel genere di titolo in grado di attrarre una vasta fetta di pubblico solo grazie all’eccentrico background narrativo ideato dagli sviluppatori. Nonostante quest’ultimo rappresenti uno degli elementi più intriganti dell’operato dei Compulsion Games, le particolari idee di gameplay riscontrate durante la nostra prova potrebbero innalzare ulteriormente la qualità del prodotto finale. La commistione di meccaniche inedite con altre ben rodate ha il potenziale di offrirci un titolo affascinante, capace di avere grande risalto nel genere di appartenenza. C’è ancora molto lavoro da fare, ma se gli sviluppatori sapranno approfondire e sfruttare a dovere i punti di forza già riscontrabili in questa primissima versione del titolo, potranno rendere We Happy Few un autentico successo.

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