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L’umanità di Alan Wake: American Nightmare – Il Dettaglio

Attori. Semplici uomini che rappresentano storie pensate per essere vissute da giocatori in un tempo indefinito, in un luogo lontano... da Night Springs.

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Avatar di Francesco Ursino

a cura di Francesco Ursino

Pubblicato il 24/04/2020 alle 10:43
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Il Verdetto di SpazioGames

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L’intero mondo delle avventure Remedy mi affascina particolarmente, ma c’è qualcosa della storia di Alan Wake che mi attira ancora di più. E tra i motivi, c’è anche l’uso di attori reali nelle cutscene e tutta l’impostazione seriale/televisiva della presentazione. Alan Wake: American Nightmare, con il suo finale romanticone, è un piccolo concentrato di tutte queste cose.

Attenzione: l’articolo include spoiler su Alan Wake, Alan Wake: American Nightmare e Control

Ripensando ad Alan Wake, e in particolare ad Alan Wake: American Nightmare, mi è venuta in mente una cosa strana. Perché sarà pure un fatto piuttosto frivolo, ma se un gioco propone almeno una delle due cose che adesso descriverò, per me è già un prodotto da considerare con attenzione.

La prima è la presenza di cutscene con attori in carne e ossa. La seconda è la presentazione televisiva, o meglio episodica. Che c’entra con Alan Wake, e il finale di Alan Wake: American Nightmare? Adesso spiego.

Alan Wake: American Nightmare e il suo lato umano

Questa riflessione sull’eroe Remedy, e in generale su tutti i giochi della casa finlandese, mi è venuta in mente dopo aver letto un interessante articolo pubblicato qualche giorno fa queste pagine. La sempre ottima Stefania Sperandio ci parlava del videogioco come finestra sull’Io. E dopo essermi reso pacificamente conto di non conoscere un sacco di riferimenti bibliografici sui videogiochi e la loro psicologia, la mia memoria da giocatore superficiale ha lasciato le vette dei temi proposti da Stefania per tornare decisamente su un piano più pratico. Anzi, visivo.

Perché ripensando a Control e Alan Wake, mi è tornato in mente il finale di Alan Wake: American Nightmare, che è la cosa che ricordo di più del gioco. Per carità, il capitolo supplementare delle avventure dello scrittore di Remedy non è un capolavoro, ben intesi, però ricordo di averlo giocato con piacere e di essere rimasto folgorato dalle sequenze conclusive.

Questo fatto che Remedy tenda a inserire cose “reali” nelle sue opere, fa sì che Sam Lake e compagnia siano tra i miei sviluppatori preferiti. La presenza di attori in carne e ossa nei videogiochi è una delle cose che mi piace di più fin da bambino. Pensandoci, da piccolo era così forse perché era un modo per mostrare, agli occhi di chi mi circondava, che i videogiochi erano una cosa così importante che c’erano dentro anche “gli attori veri”. Ai tempi, avessi avuto il SEGA Mega CD sarei andato in brodo di giuggiole con Night Trap e tutti gli altri capolavori (chiamiamoli così e non parliamone più) del genere di quel periodo.

Un finale che dice e non dice

E com’è, allora, il finale di Alan Wake: American Nightmare? Intanto è possibile rivederlo qui. Non entriamo troppo nei particolari, ma diciamo che il cattivo perde e Alan vince, e nel processo ritrova addirittura sua moglie Alice. Un finale che, come da tradizione, dice e non dice, perché comunque chissà in quale piano temporale, spaziale, emotivo o psicofisico è avvenuto.

Però a me piace perché, appunto, su schermo a recitare sono persone vere. Come nel primo Max Payne, con le cutscene create in modo da sembrare fumetti ma comunque basate sulla presenza di persone in carne e ossa. Come dimenticare la faccia un po’ così di Sam Lake nei panni del detective più noir e disgraziato dei videogiochi? O come in Quantum Break, che addirittura si spingeva a proporre non solo cutscene con attori reali, ma addirittura veri e propri episodi simil-televisivi. E come in Control, dove le cose si fanno ancora più strane (tipo con questo video qui).

Nelle puntate precedenti

L’altra cosa che mi piace tantissimo in un videogioco, e che ovviamente rientra sia in Alan Wake che in Alan Wake: American Nightmare, è quando l’avventura viene presentata come se fosse una serie televisiva. Con possibili sigle di apertura e chiusura, i titoli di coda e il “riassunto delle puntate precedenti”. Nel primo titolo dedicato allo scrittore Remedy, questo espediente probabilmente è stato usato per dare ancora più peso al ruolo di Alan, scrittore e autore televisivo. E probabilmente anche per cercare di far riprendere il filo di un discorso che spesso si ingarbugliava in maniera piuttosto importante.

Guardate, ad esempio, l’episodio 5 di Alan Wake, The Clicker. La presentazione è più che mai affascinante. Abbiamo l’inizio con il riassunto di cosa è successo prima. Poi ovviamente tutta la parte centrale, dove il giocatore è chiamato ad agire e a entrare nella storia. Infine la cutscene conclusiva, dal taglio puramente televisivo, che si chiude con la sigla di chiusura. Questa impostazione seriale, per qualche motivo, mi piace.

E lo stesso succede tutto sommato anche in Alan Wake: American Nightmare. Che addirittura si spinge oltre, visto che alla fine viene rivelato che l’intera avventura era un episodio di Night Springs, scritto da Alan Wake, vissuto da Alan Wake. In un’altra dimensione. In un altro tempo. Insomma, se uno inizia a parlarne non ne esce più…

L’intero mondo delle avventure Remedy mi affascina particolarmente, ma c’è qualcosa della storia di Alan Wake che mi attira ancora di più. E tra i motivi, c’è anche l’uso di attori reali nelle cutscene e tutta l’impostazione seriale/televisiva della presentazione. Alan Wake: American Nightmare, con il suo finale romanticone, è un piccolo concentrato di tutte queste cose.

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