Un videogioco con ghiaccio, grazie - Puntata 5

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Benvenuti al quinto appuntamento di Un Videogioco con Ghiaccio, la rubrica estiva che vi guida alla scoperta (e riscoperta) dei videogiochi con cui combattere la torrida afa di luglio e agosto. Dove nel mese precedente in queste righe si sono affaccendati videogiochi più o meno di nicchia, apriamo con questa puntata il filone dei titoli più “popolari”. Parleremo di videogiochi che, per una ragione o per un’altra, sono dichiaratamente rivolti a un pubblico più ampio. Quello di oggi è Prince of Persia. Se da una parte abbiamo solo pochi giorni fa abbiamo già parlato della storia più generale del brand, oggi ci concentriamo sulla sua ultima incarnazione ufficiale. Riempite il bicchiere e accendete il ventilatore, è tempo di acrobazie.
Ci son un ladruncolo, una principessa e un dio maligno…
L’anno è il 2008, e Ubisoft è in piena espansione. Le ambizioni della casa di sviluppo francese si sono infatti concretizzate con la pubblicazione del primo Assassin’s Creed, il cui successo la porterà ben oltre i loro più arditi sogni. Ma non è ancora il brand di punta. In quegli anni Ubisoft è ben consapevole che c’è un’altra proprietà intellettuale che, prima di AC, l’ha fatta nascere e ri-nascere: Prince of Persia. Un videogioco a piattaforme nato dalla mente di un singolo uomo, quel Jordan Mechner che creò la Persia medievale col rotoscopio. Riportato a nuova vita 3D con la Trilogia delle Sabbie su PlayStation 2, una volta che anche questa fu conclusa era tempo di PS3 e Xbox 360, occasione per un nuovo reboot. Era tempo di osare, e Ubisoft prese alla lettera l’allora nuova potenza delle console. Il risultato è un Principe assolutamente atipico, che di regale non ha praticamente nulla. Viene trasformato in un tombarolo dalla battuta facile, che si trova suo malgrado coinvolto nel dualistico confronto tra il bene e il male. Ciò accade tramite l’incontro con Elika, ragazza il cui padre risveglierà il dio dell’oscurità Ahriman. Al Principe spetterà quindi il compito di assisterla nel rinchiudere nuovamente Ahriman. La ragazza infatti ha ricevuto misteriosi poteri mistici a seguito della liberazione del dio, che saranno ovviamente indispensabili nella lotta al male. La presenza stessa di questa energia azzurra è l’artificio di design per concretizzare un’idea che (ai tempi) era ben più che progressiva: l’eliminazione del game over. A ogni errore, caduta o possibile sconfitta del nostro Principe, Elika ci salverà riportandoci ad una situazione sicura, che sia l’ultima piattaforma stabile o l’inizio del combattimento.
Tra una spadata, un salto e un dialogo
L’obiettivo primario del gioco sta nel raggiungere e ripristinare i Suoli Fertili, zolle di terra che forniscono al Tempio l’energia mistica atta a reprimere Ahriman. Ovviamente quest’ultimo ha sguinzagliato i suoi seguaci per tutto il mondo. Il gioco è costruito su questo ritmo: prima bisognerà combattere con il Corrotto che ha in affido la zona, purificarla e poi esplorarla alla ricerca dei Semi di Luce (sono in tutto 1.001, chiara citazione alle Mille e Una Notte). Il gameplay non è cambiato di molto: è sempre un platform dalla forte componente acrobatica e coreografica, in cui saper “leggere” l’ambiente è essenziale per andare avanti. Ciò che cambia veramente le carte in tavola rispetto al passato sta proprio nella sinergia che si crea tra i due protagonisti. Tutt’oggi lascia basiti l’alchimia acrobatica che il Principe e Elika riescono a creare. Un rapporto di spontaneo e reciproco aiutarsi, condito da piccoli gesti galanti (di lui) e spontanea raffinatezza (di lei). Il gioco però è fortemente scriptato, e non vengono lasciati grandi spazi interpretativi nel risolvere le situazioni. Proprio per questo gameplay fin troppo semplicistico il gioco non è né difficile né longevo. Si completa in poco tempo, ma è anche evidente come sia stato pensato come un flusso che non conosce interruzioni, più che una sfida a tutti i costi. Anzi, ciò su cui si è voluto puntare è sulla costruzione di un contesto in cui ci si potesse immergere. L’indizio più evidente di questo viene dalla colonna sonora, fatta di sonorità atmosferiche e vagamente orientaleggianti, che per quanto non possegga tracce che si fissano nella mente riesce a creare un morbidissimo sottofondo. Il gioco sembra dire che a contare non è l’obiettivo ma il viaggio, e soprattutto chi ci fa compagnia in esso. Elika non è una comprimaria, ma una vera e propria protagonista. Una principessa che è tale solo di nome, talmente lontana dallo stereotipo da definirsi personaggio femminile perfettamente paritario. Elika non solo ha un livello di agilità e acrobazia assolutamente uguale al Principe, ma in qualunque momento (basta il grilletto sinistro del pad) è possibile parlarle. I dialoghi che ne escono sono probabilmente la maggiore attrattiva della (altrimenti basica) narrativa. Brevi scambi di battute che però si sviluppano man mano che li si porta avanti. Il Principe e Elika sono infatti due facce della stessa medaglia: l’uno che crede nel libero arbitrio e l’altra nel destino e nella propria missione. Questo genera dialoghi arguti, a volte caustici e a volte ironici, rendono palpabile la complementarietà dei due personaggi, oltre che il loro legame.
Più mitologico non si può
Concettualmente parlando, Prince of Persia si presenta come una vera e propria contrapposizione con il coevo Assassin’s Creed. Dove quest’ultimo si costruisce l’identità in grandi mappe affollate e con una trama a metà tra fantascienza e romanzo storico, Prince of Persia è un fantasy mitologico e ne è orgoglioso. Il cast è limitato, l’azione si ferma ai combattimenti a singolar tenzone e viene abbandonata qualunque pretesa di realismo. A cominciare dall’estetica stessa: il gioco è infatti costruito in un cel-shading fumettoso e ispirato. Pennellate di inchiostro sporcano i colori incredibilmente carichi ma dalle sfumature variegate. L’acrobazia che fa da padrone, gli scontri sempre uno contro uno e il game over eliminato cercano con consapevolezza un modo “nuovo” di intendere il platform, basato sull’intuitività. E non si può non rimanere impressionati quando si constata come, anche dopo dieci anni, le ambientazioni siano ancora in grado di affascinare. Per quanto sostanzialmente guidato, il level design del gioco è pensato per portarci in luoghi esotici, dove la silenziosa maestosità si sposa alla bellezza appassita per restituire l’immagine di un popolo totalmente votato al compito affidatogli millenni prima dal dio della luce Ormazd. E contemporaneamente, è innegabile come l’estetica ormai non nasconda più i difetti grafici: dalla poca consistenza degli elementi scenici all’aspetto polveroso e un po’ anonimo di certe zone. Ma lasciateci dire che stare a vedere questi dettagli è solo una pignoleria che sminuisce ingiustamente un’estetica che ancora oggi raramente si trova.
Tutto molto bello… Ma veramente solo questo?
C’è solo una cosa veramente deludente di questo gioco, e riguarda proprio la sua trama. Sappiamo bene che (per quanto sia un gioco di quasi 10 anni fa) uno spoiler non è mai bello a prescindere Ma è necessario per quest’ultima riflessione, dunque non leggete oltre questo paragrafo se non volete rovinarvi la sorpresa.
Una volta purificate tutte le zone e avuto ragione dei vari corrotti, il Principe e Elika tornano al Tempio per sigillare definitivamente Ahriman. La missione è un successo ma Elika stessa precipita in un sonno di morte. Ed è qui che il Principe prende la decisione più umana (e più egoistica) possibile: spezza nuovamente i quattro sigilli, risvegliandola ma liberando definitivamente Ahriman. Il gioco si conclude con il Principe che porta via Elika, mentre la grande ombra del dio maligno distrugge il tempio e si propaga nel mondo. Venne successivamente pubblicato un DLC chiamato Epilogue, che mostra brevi eventi successivi al risveglio di Elika (e la rabbia di quest’ultima per le azioni del Principe). Anche qui, nessuna chiosa definita: fuggiti da Ahriman, i due si separano in quanto Elika va a radunare quel che resta del suo popolo in vista di un ovvio sequel.
Un sequel che purtroppo non ci sarà mai. Il gioco ebbe un buon successo di critica e pubblico, ma venne inevitabilmente sorpassato proprio dal “figlioccio” Assassin’s Creed. Abbiamo solo uno spin-off per Nintendo DS intitolato Prince of Persia The Fallen King, che per quanto prenda le mosse da Epilogue non porta effettivamente avanti la lotta contro Ahriman. Una trama frettolosa, chiaramente pensata per guadagnare un tempo rivelatosi poi infinito.

Inutile negarlo: Prince of Persia del 2008 con il ghiaccio sta benissimo. Un gameplay semplice ma efficace, dialoghi ironici, ambienti colorati e maestosi. E che nonostante la trama troncata si merita un pensiero da parte di chiunque possegga ancora una console di settima generazione. Ugualmente, non si può fare a meno di pensare e sognare una nuova incarnazione del Principe di Persia. Un gioco capace di riproporre un gameplay platform innovativo, coadiuvandolo con una sceneggiatura intimista ma allo stesso tempo di ampio respiro. Un gioco dove l’ambientazione si comporta da padrona, e in quanto tale mette al proprio centro la cerimonia di costruzione della fiducia tra due esseri umani.