The Legend of Zelda: A Link Between Heroes

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a cura di Redazione SpazioGames

Continua la pubblicazione di The Legend of Zelda: A Link Between Heroes, romanzo di Andrea Paone e vincitore del concorso indetto su Spaziogames che ha messo in palio due biglietti per il concerto The Legend of Zelda: Symphony of The Goddess che si terrà venerdì 24 aprile presso il Teatro degli Arcimboldi di Milano (qui i biglietti).

Se vi siete persi la prima puntata, potete leggerla qui. Di seguito la seconda puntata.
The Legend of Zelda: A Link Between Heroes
di Andrea Paone
Seconda puntata

Hyrule

Carl capì presto di non aver lasciato il Bosco Perduto. Il luogo che gli si parò davanti non appena superato il tronco cavo, era molto diverso dalla selvaggia foresta da cui era venuto, ma era piuttosto chiaro che si trovasse ancora all’interno di essa. Circondata da una radura, estremamente più grande di quella in cui si era risvegliato, sorgeva un piccolo villaggio, a dir poco singolare. Le poche abitazioni presenti erano costituite da ceppi enormi, scavati all’interno in modo da poterne ricavare delle stanze. Una piccola sorgente sfociava nella parte centrale del villaggio, andando a creare uno specchio d’acqua su cui galleggiavano alcune piattaforme, adibite al suo attraversamento. Ponteggi in legno collegavano alcune delle abitazioni, mentre recinti e steccati punteggiavano qua e là il posto. La radura sorgeva all’interno di una valle, essendo interamente circondata da pareti rocciose, oltre le quali si estendeva il resto del bosco. L’atmosfera che aleggiava in quel piccolo villaggio era a dir poco magica: i profumi e suoni della natura più pura ed incontaminata sembravano quasi tangibili, donando a quel luogo un alone di pace e tranquillità più unico che raro. Avanzando verso il centro del villaggio, estasiato per quella visione così evocativa, Carl vide uno degli abitanti del luogo avvicinarsi. A differenza della strana creatura che aveva incontrato nella foresta, quest’ultimo risultava assai meno bizzarro agli occhi del giovane: aveva l’aspetto di un bambino ma le sue orecchie erano a punta. Tutti gli abiti che indossava erano verdi, comprese le scarpe, e sulla testa portava un insolito copricapo a punta, da cui fuoriuscivano alcune ciocche di capelli castano chiaro. Aveva un viso rubicondo, con degli occhietti vispi, che lo squadravano con diffidenza. «Hey tu! Cosa ci fai qui? Gli stranieri non sono i benvenuti!» «Il mio nome è Carl, mi è stato detto che qui avrei trovato delle risposte. Posso sapere il tuo nome?» Il ragazzo cerò di mostrarsi amichevole, non volendo avere problemi con gli abitanti già dall’inizio. «Io sono il grande Mido, capo dei Kokiri!» Disse impettito, puntando le mani ai fianchi. «Ko… kiri?» Più il tempo passava e più Carl si convinceva che quello non poteva essere affatto il suo stesso mondo. «Cosa sei stupido? Siamo noi i Kokiri. Comunque devi andartene, la mia foresta non è un luogo adatto per quelli come te.» Mido aveva un tono scontroso e saccente, cosa che rendeva a Carl assai difficoltoso rimanere amichevole. Prima che il giovane potesse rispondere per le rime, peggiorando inevitabilmente la situazione, giunse una ragazza, anch’essa Kokiri, che aveva sentito la discussione da qualche metro più in là. «Lascialo stare Mido, lui è con me.» Disse la fanciulla con decisione, ma mantenendo comunque un tono gentile. La ragazza era molto bella ed anch’essa era completamente vestita con abiti verdi. Persino i suoi capelli, tenuti in ordine da un sobrio cerchietto, erano del colore della foresta, quasi come se ella stessa fosse la personificazione della natura. I suoi occhi blu erano grandi e limpidi, simili ad una mare calmo e gentile. «Ah! Saria sei fin troppo gentile con gli stranieri!» Disse il bambino dalle orecchie a punta, che iniziò ad allontanarsi borbottando vistosamente. «Perdonalo, vuole soltanto proteggere la sua casa. Come avrai già capito io sono Saria.» Disse la fanciulla rivolgendogli un radioso sorriso.«Grazie per avermi aiutato, io sono Carl.» Rispose di rimando il giovane, salvo poi continuare. «Mi è stato detto che qui avrei trovato delle risposte.» «Mi basta guardare i tuoi abiti per capire che non sei semplicemente uno straniero. C’è qualcosa di speciale in te, l’ho capito dal primo mento che ti ho visto. Purtroppo io non ho le risposte che cerchi, ma conosco qualcuno che potrebbe averle.» Quelle parole diedero nuova speranza a Carl, consapevole che i suoi dubbi sarebbero presto spariti. «Chi sarebbe questa persona? Possiamo andare da lui adesso?» Il giovane era assolutamente impaziente di ottenere le risposte che cercava. «Lui non è una persona, è il guardiano della nostra amata foresta. Normalmente non porterei mai uno straniero dal Grande Albero Deku, tuttavia sento che il tuo destino è legato indissolubilmente al nostro.» La ragazza era estremamente seria nel pronunciare quelle parole. «Adesso però non posso portarti da lui, il sole tramonterà a breve e tu sembri essere molto stanco.» Trascinato dagli eventi di quella bizzarra giornata Carl non ci aveva fatto caso, ma era veramente esausto. Un po’ di riposo avrebbe sicuramente giovato al suo corpo e alla sua mente. «Puoi dormire lì.» Disse Saria puntando il dito contro una piccola casetta ricavata da un ceppo d’albero, la quale era possibile raggiungere tramite una scala in legno. «E’ la casa di un mio caro amico, ma ha lasciato il villaggio qualche giorno fa. Sono sicura che non avrebbe avuto niente da ridire.» Nonostante il tono gentile e pacato, Saria non riuscì a nascondere la preoccupazione che provava, dimostrando di tenere molto al suo amico. «Domattina ti porterò dal Grande Albero Deku. Cercherò anche di procurarti dei vestiti nuovi, quelli che indossi non sembrano essere molto comodi. Ora va e fa buon riposo.» La fanciulla si congedò dal ragazzo rivolgendogli un ultimo solare sorriso. «Grazie di tutto Saria!» Carl era felice di aver trovato una persona così buona e gentile, tanto da offrirgli un riparo per la notte. Il sole ormai aveva superato per metà la linea dell’orizzonte, e presto il buio sarebbe sceso sul villaggio. Il giovane decise così di seguire il consiglio della bella Kokiri, dirigendosi verso l’abitazione che gli era stata indicata. Rispetto a tutte le altre case, quella era l’unica a possedere un ingresso sopraelevato, raggiungibile mediante una scala che dava su un’impalcatura di legno. L’interno della peculiare abitazione rispecchiava perfettamente il legame che quel villaggio aveva con la natura: vi era un unico punto d’accesso che dava su un ambiente circolare, ricavato interamente dal legno dell’albero in cui la stanza era stata scavata. Al centro vi era un piccolo tavolino circolare in legno, mentre il resto della mobilia presente era posizionata a ridosso delle pareti. Vi era un tavolo dove mangiare, un lavandino sormontato da uno specchio, e un piccolo letto, sopra il quale era posizionata l’unica finestra presente. La fattura della mobilia era piuttosto grezza, essendo ogni oggetto composto unicamente da materiali naturali, caratteristica che la rendeva estremamente confortevole. Visibilmente stanco, Carl raggiunse il letto, il quale sembrava essere esattamente della sua misura, e si infilò sotto le calde coperte. A discapito delle apparenze quel letto era veramente comodo. Mentre i suoi occhi si facevano sempre più pesanti, Carl ripensava a tutto ciò che era successo durante quell’incredibile giornata, dal suo risveglio nel bosco, fino a quel momento. Non era stato facile, ma ogni sforzo compiuto era stato ricompensato dal poter visitare luoghi sconosciuti e conoscere gente nuova, sensazioni che Carl non provava da troppo tempo. La paura di svegliarsi la mattina seguente nel letto di ospedale lo terrorizzava, al tal punto da portarlo a costringersi a rimanere sveglio, tuttavia la stanchezza che provava alla fine ebbe la meglio su di lui, e dopo qualche minuto crollò esausto. Gli occhi sempre più pesanti si chiusero del tutto, mentre i suoni notturni della foresta lo accompagnavano dolcemente nel mondo dei sogni, come una ninnananna.

La mattina seguente Carl venne svegliato dai tiepidi raggi del sole, che filtrando dalla finestra illuminarono il suo volto, come se fossero le carezze di madre amorevole. Mentre il tepore del sonno scemava, la consapevolezza di non essere ritornato in quel letto di ospedale si faceva sempre più forte, rendendo Carl raggiante già di prima mattina. Dopo essersi sciacquato il viso e aver fatto colazione con l’abbondante assortimento di frutta presente sul tavolo, il giovane notò la presenza degli abiti che Saria aveva menzionato il giorno prima. Essi consistevano in una lunga tunica, da stringere sulla vita tramite una fibbia, e un copricapo a punta, entrambi dello stesso verde che caratterizzava gli abiti dei Kokiri. Vi erano anche un paio di scarponi marroncini, dall’aspetto robusto ma allo stesso tempo comodo. La stoffa con cui erano composti gli abiti, oltre ad essere estremamente morbida e confortevole, possedeva la stessa fragranza della foresta, e il solo indossarli faceva sentire Carl come se fosse parte integrante della natura. Il giovane era felice di poter finalmente togliersi il camice di ospedale, senza di esso si sentiva più leggero, come se anche l’ultima catena che lo ancorava al suo triste passato si fosse finalmente spezzata. Uscendo all’esterno dell’abitazione Carl vide immediatamente Saria, la quale sotto di lui lo salutava energeticamente. «Buongiorno Carl!» Il giovane si precipitò giù dalle scale, ansioso di fare visita al guardiano della foresta. «Buongiorno anche a te Saria!» Quella ragazza aveva fatto così tanto per lui che ringraziarla era il minimo che potesse fare. «Hai dormito bene? Oh stai benissimo con i tuoi nuovi abiti!» L’allegria della fanciulla era contagiosa. «Mi piacciono molto, grazie ancora per avermeli donati.» «Figurati, sono felice di esserti stata d’aiuto. Sei pronto per andare dal Grande Albero Deku?» Era finalmente giunto il momento, il guardiano della foresta lo avrebbe illuminato su ciò che gli era successo, Carl ne era certo. «Sì, sono pronto.» Disse il giovane con convinzione. «Seguimi, ti porterò da lui.»Senza perdere altro tempo i due si misero in cammino. Il guardiano della foresta non si trovava molto lontano, essendo raggiungibile tramite una stretta via posizionata nella parte orientale del villaggio. «Da quanto tempo ti trovi ad Hyrule?» Esordì Saria curiosa. «Hyrule? E’ così che si chiama questo posto? Non so bene come spiegartelo, semplicemente ieri mi sono svegliato nel mezzo del bosco.» Nonostante ci avesse riflettuto più e più volte, Carl non era riuscito a spiegarsi ciò che gli era successo. Tutto sembrava così confuso da dargli il mal di testa al solo pensarci. «Intendi il Bosco Perduto? Quel posto è molto pericoloso per chi non lo conosce, sei stato fortunato ad uscirne sano e salvo.» Era già la seconda volta che Carl veniva ragguagliato sulla pericolosità di quel misterioso luogo, chissà cosa gli sarebbe accaduto se non avesse trovato l’eccentrico individuo che lo aveva guidato. «In realtà uno strano tipo mi ha aiutato ad uscirne. E’ stata dura convincerlo, ma alla fine ha mantenuto la sua promessa. Avrei voluto ringraziarlo, ma è sparito prima che potessi farlo.» «Tu hai incontrato uno di loro? E ti ha aiutato? Quelle povere anime tormentate una volta erano bambini che hanno smarrito la via nel Bosco Perduto, finendo per diventare parte di esso.» Ecco cosa gli sarebbe accaduto, si sarebbe trasformato in quella creatura. Il solo pensiero che una cosa del genere potesse accadere terrorizzava Carl. «Sono molto capricciosi e solitamente tendono più a combinare guai che ad aiutare gli altri. Ricordi se ti ha detto qualcosa di particolare?» Tra le tante bizzarrie che gli aveva detto, una in gli era rimasta ben in mente. «Mi ha chiamato ragazzo dell’altro mondo.» Sentendo quelle parole Saria tacque per alcuni istanti, pensierosa. «E’ come pensavo, anche lui deve aver percepito la stessa sensazione che io ho provato quando ti ho visto. Probabilmente aveva ragione, tu non provieni da questo mondo. Eppure allo stesso tempo sento che fai parte di esso. E’ molto strano ma è così.» «Beh a me non dispiace questo mondo, mi trovo molto meglio qui che da dove vengo.» «Hyrule è una terra magnifica, piena di luoghi e creature straordinarie, tuttavia l’oscurità non l’ha risparmiata. Non lontano da qui sento che il male si sta facendo sempre più forte ed intenso. Ricordi il mio amico di cui ti ho parlato ieri? Ha lasciato il villaggio proprio per combattere questo male. Sono preoccupata per la sua incolumità. E’ molto coraggioso, ma da solo neanche lui può sperare di sconfiggere l’immensa oscurità che incombe su di noi.» Saria sembrava estremamente preoccupata, sia per le sorti della propria casa che per quelle dell’amico. «Sono sicuro che andrà tutto bene.» Carl non era molto bravo a confortare le persone, ma provò comunque a farlo. «Ma sai cosa sta accadendo di preciso? Cos’è esattamente l’oscurità di cui parli?» «Questo purtroppo non lo so, noi Kokiri non possiamo uscire dalla foresta, periremmo se lo facessimo. Ad ogni modo siamo quasi arrivati, il Grande Albero Deku è l’essere più antico e saggio del bosco, lui ne saprà certamente di più.» Lo stretto passaggio si aprì improvvisamente, sfociando in un enorme spazio all’aperto al cui centro troneggiava un albero gigantesco. Sulla sua corteccia era inciso un volto austero e solenne, che fissava impassibile i due giovani. «Ben ritrovata Saria, chi è il giovane che ti accompagna?» La voce proveniva dall’enorme quercia, profonda e antica «Vi porgo i miei saluti Grande Albero Deku, lui è Carl.» Disse Saria avvicinandosi. Carl era allo stesso tempo meravigliato e intimorito, non capitava tutti i giorni di vedere un albero di quelle dimensioni, specialmente parlante. «Ehm s-salute, vostra a-alberosità…» Pronunciò titubante il giovane seguendo la fanciulla. Il grande albero osservò attentamente il ragazzo, rimanendo in silenzio per qualche istante. «Dunque sei tu.» Deku si limitò a pronunciare quelle brevi parole, lasciando che il silenzio calasse sui presenti. «Voi sapete perché sono qui? Vi prego ho bisogno di trovare delle risposte, troppe sono le domande ad esserne prive.» Carl facendosi coraggio ruppe il silenzio, decidendo di andare dritto al centro della questione, piuttosto che continuare a girarci intorno. «Purtroppo io non conosco il motivo della vostra venuta ad Hyrule.» Le parole del saggio albero colpirono duro Carl, che ancora una volta si ritrovava a brancolare nel buio. «Tuttavia so che provenite dall’altro mondo e so che il vostro arrivo qui non è stato un caso. Qualcuno vi ha portato qui, qualcuno di molto speciale. Non sono in molti a poter fare una cosa del genere.» Il morale di Carl si risollevò di colpo. L’Albero stava dimostrando di possedere la stessa saggezza che gli veniva attribuita, forse avrebbe davvero scoperto qualcosa sulla sua condizione. Chi poteva essere l’individuo che lo aveva portato in quel mondo? «Ma certo, come ho fatto a dimenticarmene!» Carl sapeva chi era stato a portarlo lì, ne aveva sentito anche la voce. «Prima di svegliarmi nel bosco ho sentito la voce di una ragazza, pensavo fosse un sogno, ma evidentemente non era così! Mi ha detto che io ero la sua unica speranza!» Il Grande Albero Deku rimase pensieroso per alcuni istanti, riflettendo sulle parole del ragazzo. «Si tratta senza dubbio della principessa Zelda.» Finalmente Carl aveva un nome: Zelda. Aveva percepito fin dal primo momento che quella fanciulla era una persona importante, ma che fosse addirittura la principessa di Hyrule non avrebbe mai potuto immaginarlo. «Devo andare da lei il prima possibile!» «Temo che non sarà così semplice, la nostra amata principessa è prigioniera all’interno del suo stesso castello. Il suo carceriere, Ganondorf, è un essere vile e spietato, capace di corrompere e distruggere tutto ciò che di buono c’è su questa terra.» «Se Zelda è in pericolo allora ho un motivo in più per andare da lei!» Carl dimostrò tutto il proprio coraggio e la propria determinazione con quelle parole. «Non posso lasciarti andare nella tana del nemico. Non sei preparato a tutto questo…» «E io non posso starmene con le mani in mano! Devo fare qualcosa per aiutarla!» L’Albero Deku, sospirò vistosamente. «La tua testardaggine è paragonabile a quella di Link. Anche lui, nonostante l’immenso pericolo, si sentiva in dovere di fare qualcosa per combattere il male.» Era la prima volta che Carl sentiva quel nome, ma qualcosa gli diceva che quel Link era lo stesso menzionato da Saria, proprietario della casa in cui aveva dormito. Aveva quindi lasciato il villaggio per cercare di cambiare le sorti del regno. «Va bene, farò tutto ciò che posso per aiutarti. Devi sapere che Ganondorf è un potente stregone venuto dall’est. Con i suoi inganni e i suoi incantesimi è riuscito ad impadronirsi non solo del castello, ma anche della sacra reliquia custodita al suo interno. Con essa il suo potere è cresciuto a dismisura, diventando praticamente inarrestabile. E’ solo questione di tempo prima che l’intera Hyrule cada nelle sue mani. La principessa, ahimè, è sua prigioniera, all’interno di quel castello una volta luogo di pace e prosperità.» Carl ascoltò attentamente le parole del saggio albero, esse dipingevano una situazione disperata, che rischiava di tramutarsi in una catastrofe. Finalmente sentiva di aver trovato un posto capace di offrirgli innumerevoli possibilità e non poteva sopportare l’idea di perderlo così presto. Doveva fare qualcosa, per quanto rischiosa fosse. «Ma ci sarà pure un modo di entrare nel castello?» «Effettivamente un passaggio c’è. Sul versante orientale del castello c’è un’apertura abbastanza piccola da risultare inaccessibile per gli adulti, ma non per te. Passando da lì potrai entrare all’interno. Nonostante ciò non sarà facile, il castello sarà circondato dalle guardie e se Ganondorf ti scoprisse per te sarebbe finita.» «Cercherò di fare più attenzione possibile, grazie di tutto Grande Albero Deku.» «Cerca di non essere avventato figliolo, molto potrebbe dipendere da ciò che farai.»

Coraggio«Quando partirai?» Saria e Carl camminavano una di fianco all’altro, mentre attraversavano la stretta via serpentina che li avrebbe riportati al villaggio dei Kokiri. «Il prima possibile, magari oggi stesso. Più passa il tempo più ho paura di cosa possa succedere a Zelda, rinchiusa com’è in quel castello.» Nonostante cercasse di mascherarlo con quelle parole audaci, Carl aveva paura di essere trascinato da quel vortice di eventi in cui era stato catapultato. Fino ad allora non aveva fatto altro che vivere passivamente la vita, seppur non per sua scelta, e adesso si trovava a dover salvare una principessa prigioniera di uno stregone. Come avrebbe potuto affrontare un tale compito? Il fato però gli aveva dato una seconda possibilità che non voleva sprecare, nessun timore o preoccupazione gli avrebbe impedito per lo meno di tentare. «Mi sarebbe piaciuto averti nel villaggio ancora per un po’, ma capisco quanto sia importante ciò ti attende. Il castello non è molto distante dalla foresta, per raggiungerlo dovrai attraversare la piana di Hyrule, in direzione nord. La tua destinazione è visibile da molto lontano, quindi non avrai problemi a trovarlo. Devi fare attenzione però, la piana di notte può diventare un posto molto pericoloso, specialmente di questi tempi, quindi devi superarla prima che il sole tramonti.» Carl non conosceva per nulla Hyrule, ma era consapevole di quanto strani potessero essere i suoi abitanti. Il suo viaggio avrebbe potuto portarlo ad incontrare creature aggressive e pericolose, e la cosa lo preoccupava non poco. La breve via che conduceva al villaggio venne attraversata in pochi minuti, alla fine di essa i due trovarono una figura famigliare ad aspettarli. «Saria si può sapere cosa ti passa per la testa?! Prima accogli uno straniero al villaggio e poi lo porti anche dal Grande Albero Deku. Metterai in pericolo tutti noi in questo modo!» Mido rosso in volto, guardava entrambi contrariato, puntando loro il dito contro, accusatorio. «Non preoccuparti Mido, sto per lasciare il villaggio, così non ti darò più fastidio.» «Tu pensi che io possa farti andare via completamente disarmato? No, no, tu resti qui fino a quando non avrai almeno una spada e uno scudo!» Mido era un tipo davvero strano, un momento prima ostentava diffidenza e sospetto, e adesso sembrava quasi che si preoccupasse per l’incolumità di Carl. «Mido ha ragione, non puoi andartene disarmato. Ti donerò una spada e uno scudo creati da noi Kokiri. Sono oggetti resistenti e molto leggeri, ti saranno sicuramente utili durante il tuo viaggio.» Ancora una volta Saria stava dimostrando di avere un cuore d’oro, offrendo così tanto a Carl senza chiedere nulla in cambio. «Cosa?! Non puoi farlo, quegli oggetti appartengono ai Kokiri e a nessun altro!» Mido era letteralmente in escandescenza, con un viso più simile ad un pomodoro che ad altro. «La missione di Carl è estremamente importante, ancora una volta dobbiamo fare un’eccezione.» «Beh se proprio li vuole allora dovrà guadagnarseli! Laggiù c’è un passaggio che conduce alla spada e allo scudo. Entrambi gli oggetti sono rinchiusi in una cassa, se riuscirai a prenderli allora saranno tuoi.» Mido indicò sprezzante un punto a sud del villaggio, sicuro del fatto che Carl non sarebbe mai riuscito a recuperare l’equipaggiamento. «Carl non devi farlo, è pericoloso e ti farebbe solo perdere tempo.» «No, va bene così Saria, prenderò la spada e lo scudo come dice Mido.» Carl era ben consapevole di quanto fosse importante evitare perdite di tempo, tuttavia aveva bisogno di mettersi alla prova, per dimostrare sia agli altri che a sé stesso quanto valesse. «Tornerò a breve.» Il giovane si congedò così dai due Kokiri, dirigendosi verso il passaggio menzionato da Mido. Questo era talmente stretto da poter essere attraversato solo strisciando all’interno di esso, cosa che Carl riuscì a fare agilmente in virtù della sua costituzione minuta. Dall’altra parte del cunicolo si apriva uno stretto percorso, che andava ad intersecarsi con un altro formando un incrocio. Carl iniziò ad avanzare lentamente, incerto di cosa aspettarsi. Giunto nel punto in cui le due brevi vie si incrociavano, Carl si arrestò, percependo un suono provenire dalla sua sinistra. Questo, all’inizio distante, si fece sempre più forte e vicino, fino a diventare praticamente imminente. Il ragazzo non realizzò cosa stava accadendo fino a quando vide la fonte che generava quello che era divenuto un vero e proprio frastuono: un masso enorme stava rotolando verso di lui, minacciando di schiacciarlo sotto la sua imponente mole. Terrorizzato per quell’apparizione, Carl si gettò in avanti proprio un istante prima che il masso lo raggiungesse, schiacciandone il corpicino. Il giovane finì malamente sul terreno, raggiungendo la fine del vicolo cieco perpendicolare alla via da cui proveniva il masso. L’enorme macigno intanto raggiunse la fine del suo percorso, arrestandosi per un attimo, salvo poi ritornare a spostarsi ripercorrendo al contrario la sua traiettoria. Carl capì immediatamente che quello era l’ostacolo da superare per raggiungere lo scrigno, cosa le lo consolava ben poco. Quel sasso avrebbe potuto schiacciarlo senza lasciarne traccia. Alzandosi dolorante Carl rimase qualche minuto immobile, osservando il comportamento del macigno: questi sembrava eseguire sempre lo stesso percorso, avanti e indietro, mantenendo una velocità costante. Con uno spostamento così prevedibile aggirare l’ostacolo non sarebbe stato molto impegnativo, ma la preoccupazione principale di Carl era rappresentata dal non conoscere come proseguiva il percorso e dove si potesse trovare la cassa contenente gli oggetti che cercava. Il momento che il giovane cercava per superare il masso arrivò quando quest’ultimo passò davanti a lui, procedendo in direzione del vicolo cieco alla sua sinistra, dove, dopo essersi fermato, sarebbe ritornato indietro. Carl scattò rapido immettendosi nella via a destra, consapevole di avere solo una possibilità. Il macigno stava già tornando indietro, inseguendo Carl con una velocità decisamente superiore alla sua. Il giovane sentendo i suoni della trappola mortale farsi sempre più vicini, capì che non sarebbe riuscito a raggiungere il fondo della via prima che il masso lo avesse raggiunto. Impegnato con ogni fibra del proprio corpo in quella corsa disperata, Carl scorse improvvisamente un’ulteriore via che si apriva alla sua destra, ricoperta da una vegetazione abbastanza alta da arrivargli alla vita. Giudicando quel passaggio come la sua unica speranza, il giovane si infilò rapidamente in esso, sperando che quella via non facesse parte dell’itinerario del minaccioso macigno. Carl aveva il fiatone, la corsa disperata e la paura di poter essere schiacciato lo avevano provato molto, ma era felice di essere riuscito ad arrivare fin lì. Con mente più lucida capì che quella non poteva far parte del percorso del sasso, poiché la vegetazione sarebbe dovuta essere stata schiacciata e non avrebbe potuto crescere fino a raggiungere quell’altezza. Capendo di essere momentaneamente al sicuro, Carl continuò a proseguire, esplorando gli stretti sentieri che avrebbero dovuto condurlo alla cassa che cercava, mantenendo grande cautela. Dopo qualche minuto di attenta esplorazione, il giovane riuscì finalmente ad individuare la cassa che cercava. Carl si avvicinò allo scrigno, mentre un brivido di emozione gli percorreva la schiena. La cassa era piuttosto grande, composta in solido legno rinforzato con giunture di ferro, ma non sembrava essere chiusa a chiave. Con grande emozione il giovane aprì il coperchio della cassa, rivelandone il contenuto. Nonostante stesse solo aprendo quello che alla fine non era altro che un contenitore, per Carl fu uno dei momenti più emozionanti della sua vita. Mido non aveva mentito, all’interno del baule erano custoditi gli oggetti che stava cercando. Impugnatura, guardia ed elsa della spada erano composti interamente in legno, mentre la parte superiore dell’arma era composta da una affilata e corta lama scintillante, interamente in metallo. L’unica decorazione sull’oggetto era rappresentata da un rubino incastonato nella guardia di legno. Le dimensioni ridotte e il peso ben distribuito, rendevano quella spada estremamente semplice da maneggiare, complice anche la leggerezza offerte dalle componenti in legno. Lo scudo, di forma irregolare, era interamente ricavato dal legno, e pur mantenendo la leggerezza che contraddistingueva la spada, sembrava molto solido e resistente. Sulla sua superficie era stato inciso un simbolo, che rappresentava la stirpe dei Kokiri. Nonostante Carl non avesse mai impugnato un’arma in vita sua, si sentiva estremamente a suo agio nel maneggiare quegli oggetti, come se fossero estensioni dei propri arti. Sembrava quasi che il suo corpo fosse predisposto nell’uso di tali armi. Era una sensazione strana, ma allo stesso tempo rassicurante. Dopo aver assicurato lo scudo al braccio sinistro e aver assestato un paio di fendenti a vuoto con il destro, Carl decise di ritornare al villaggio, estremamente soddisfatto per essere riuscito a recuperare i due oggetti. Ritornare fu molto più semplice del previsto: Carl aveva imparato a conoscere le vie e la traiettoria del macigno e con un po’ di prudenza riuscì a raggiungere lo stretto passaggio che riportava al villaggio. Dall’altra parte di esso Mido e Saria attendevano con impazienza. «Mido sono questi la spada e lo scudo di cui parlavi?» Con una punta di presunzione e ironia Carl mise entrambi gli equipaggiamenti in mostra, sotto gli occhi entusiasti di Saria e quelli attoniti di Mido. «Non è possibile, lo Scudo Deku e la Spada Kokiri!» Mido paonazzo, guardava con gli occhi spalancati entrambi gli oggetti, giudicati fino a un momento prima impossibili da recuperare. «Sapevo che ci saresti riuscito Carl!» Il sorriso di Saria era colmo di entusiasmo e sollievo. Nonostante credesse fermamente nel ragazzo non aveva potuto fare a meno di preoccuparsi per lui, consapevole della presenza della trappola a difesa degli oggetti. «Ho fatto ciò che mi hai chiesto, immagino di poter contare sulla tua benedizione adesso.» Forse stava un po’ esagerando nel punzecchiare Mido, ma restituirgli parte della sua stessa medicina era un’occasione troppo ghiotta per Carl. La provocazione sembrò toccare un nervo scoperto, poiché Mido palesemente stizzito si voltò allontanandosi e borbottando. «Anche con tutta quella roba, un buono a nulla è sempre un buono a nulla…» «Saria mi piacerebbe poter restare ancora un po’, ma ho perso più tempo del previsto.» La fanciulla consapevole della veridicità delle parole di Carl annuì, facendogli cenno di seguirla. L’uscita per la piana di Hyrule era situata nella parte occidentale del villaggio. Così come quella per il bosco perduto anche questa era composta da un imponente tronco d’albero cavo, che poteva essere attraversato all’interno. «Sii prudente Carl, sono molti i pericoli che si celano fuori dal nostro villaggio.» «Lo sarò Saria. Ti sono debitore, non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto ciò che hai fatto per me.» «Promettimi solo di tornare a trovarci una volta che sarà tutto finito.» «Te lo prometto. A presto!» Carl rivolse un ultimo sguardo carico di significato a Saria, addentrandosi poi nel passaggio che lo avrebbe portato alla piana di Hyrule. Il ragazzo sapeva che da quel momento in avanti le cose sarebbero state ancora più difficili, ma la volontà di proteggere le persone che aveva conosciuto, seppure per poco, lo spronava a proseguire.

La Piana di Hyrule era un luogo immenso, una gigantesca distesa erbosa che si estendeva in tutte le direzione, al tal punto da nasconderne i confini oltre la linea dell’orizzonte. Una placida brezza soffiava lungo la piana, facendone danzare l’erba, che costituiva la componente principale della vegetazione, affiancata solo dalla presenza di sparuti alberi, che ne punteggiavano principalmente le estremità. Vie e sentieri si diramavano in ogni direzione, intersecandosi in più punti, salvo poi continuare il loro percorso. Quel luogo sembrava essere un vero e proprio crocevia di proporzioni gigantesche. Sembrava quasi che da lì ogni luogo di Hyrule potesse essere raggiunto. Carl osservò meravigliato quello spazio aperto così esteso, lasciando che il proprio sguardo si perdesse oltre i confini delimitati dall’orizzonte. In tutta quella vastità due luoghi dello scenario catturarono l’attenzione del giovane: su una collina in direzione direzione ovest sorgeva quella sembrava una singola proprietà, simile ad una fattoria, mentre davanti a lui, in direzione nord, la cinta muraria esterna del castello di Hyrule si stagliava imponente. Nonostante le mura fossero ben visibili, il castello sembrava essere piuttosto lontano, raggiungibile probabilmente con diverse ore di marcia, seguendo il sentiero che conduceva nella sua direzione. Consapevole di dover raggiungere quelle mura prima che il sole calasse, Carl si mise immediatamente in marcia. Più si avvicinava alla propria destinazione più Carl si sentiva a disagio: la strana sensazione di oppressione che provava, non faceva altro che intensificarsi, rendendolo nervoso. Presto si rese conto che il disagio provato era probabilmente causato dalla malefica presenza di Ganondorf, la cui aura era talmente malvagia e nera da poter essere avvertita da grande distanza. Il ragazzo sapeva che avrebbe dovuto evitare in qualunque modo un confronto diretto con lo stregone, e sapeva anche che andare dritto nella sua residenza non era certo il migliore dei modi per impedire che ciò accadesse. Il suo cuore però continuava a dirgli di procedere dritto, nonostante ciò avrebbe potuto segnare la sua fine. Avvicinandosi ulteriormente alle mura, Carl notò che queste erano circondate da un fossato, dentro il quale scorreva dell’acqua, attraversabile solo per mezzo di un potente levatoio. Il castello di Hyrule non si trovava immediatamente dietro le mura, ma in una porzione molto più interna dell’area che la cinta muraria delimitava. A ridosso di quest’ultima sembrava invece trovarsi una sorta di borgo, satellite al castello stesso. Nonostante fosse piuttosto grande e nonostante Carl fosse ormai vicino, nessun suono proveniva dalla città, come se quest’ultima fosse completamente deserta. La partenza ritardata e l’attraversamento di quell’enorme piana aveva fatto in modo che Carl giungesse in prossimità del ponte levatoio quando il sole era ormai prossimo ad attraversare la linea dell’orizzonte, lasciando alla sorella luna il ruolo di protagonista, nel teatro che la volta celeste rappresentava. Con la graduale scomparsa del sole, la piana, che fino a qualche momento prima sembrava essere un luogo di pace e tranquillità, cambiò letteralmente aspetto, diventando sinistra e oscura. Un brivido percorse la schiena di Carl, che impugnò rapidamente la spada nella mano destra, mentre affrettava sempre di più il passo in direzione dell’ormai imminente ponte levatoio. Improvvisamente un silenzio quasi sovrannaturale piombò sulla piana, tutto sembrava completamente immobile, anche il vento stesso che aveva continuato a soffiare per l’intera giornata, sembrò paralizzarsi. Ad un tratto si udì un ululato lontano e da diversi punti del terreno iniziarono a fuoriuscire delle creature mostruose, composte esclusivamente da ossa. Questi scheletri viventi iniziarono a dirigersi in massa verso Carl, con l’intenzione di aggredirlo. Il giovane colpì con la spada Kokiri una delle creature che gli si pararono davanti, mandandola letteralmente in frantumi. Il loro corpo sembrava essere estremamente fragile, ma per ogni mostro che abbatteva ne fuoriuscivano altri due dal terreno. La situazione non fece altro che peggiorare, quando Carl vide che il ponte levatoio che lo avrebbe condotto fuori dalla portata di quei mostri, si stava lentamente sollevando. In una corsa disperata per la salvezza il giovane guerriero mandò in frantumi diversi scheletri, attaccandoli con colpi di scudo e fendenti di spada, cercando di aprirsi una via fino al ponte. Proprio davanti a quest’ultimo emerse un’altra di quelle sinistre creature, ma dalle dimensioni colossali. Il gigante scheletrico cerò di abbattere l’esile ragazzo, con un movimento repentino dell’enorme mano, che da solo avrebbe potuto scaraventarlo a diversi metri di distanza. Carl non si fermò, né cambiò direzione, consapevole di avere solo pochi istanti per raggiungere il ponte levatoio prima che arrivasse fuori dalla sua portata. Mantenendo la propria corsa il giovane inclinò il proprio corpo in avanti, piegandolo in modo da arrivare il più in basso possibile, mentre la mano sinistra, armata di scudo, si posizionava a pochi centimetri dalla sua testa. La differenza di dimensioni fra i due fece in modo che il gigantesco scheletro mancasse Carl, che sentì le dita ossute della creatura artigliargli lo scudo, scavandone profondi solchi nella sua superficie. La sua tuttavia corsa continuò a proseguire inarrestata, portandolo a passare in mezzo alle stesse gambe della creatura per superarla. Quell’ultima, avventata azione gli permise finalmente di raggiungere il ponte, che superò trattenendo il respiro. Esausto Carl cadde sulle ginocchia, mentre un tonfo sordo alle sue spalle segnava la definitiva chiusura del ponte levatoio.