Occhio Critico: Apologia del ritardo

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Per anni, e chi mi conosce bene lo sa, ho fatto della puntualità un dogma di vita, arrivando a qualsiasi appuntamento (di lavoro o privato) cinque minuti prima dell’orario stabilito e lamentandomi a gran voce in caso qualcuno mi facesse attendere.Poi, sconfortato nel constatare di essere nato nel paese sbagliato, mi sono abituato ai ritardi altrui, iniziando a lamentarmi solamente per ritardi superiori ai quindici minuti.Poi è arrivata la next gen videoludica, e il ritardo è diventato una triste consuetudine, che nondimeno urta noi videogiocatori, che forse con troppa facilità ci facciamo ammaliare da promesse da marinai.Ma perché sembra che ormai nessuno riesca più a rispettare una cavolo di data di uscita?!?

Aspettare sotto la pioggiaThe Order 1886, The Evil Within, Watch_Dogs, DriveClub, The Witcher 3, The Elder Scrolls Online, Tom Clancy’s The Division, Dying Light…mi fermo qui onde evitare un travaso di bile.Alcuni di questi giochi sono stati rinviati solo per poche settimane, altri per svariati mesi, ma il refrain che ci siamo sentiti propinare è stato sempre lo stesso: “volevamo assicurarci che la qualità finale fosse all’altezza delle aspettative dei giocatori”.Potevano variare le parole, ma il concetto era sempre questo. E la nostra reazione, rinvio dopo rinvio, è passata gradualmente dalla comprensione al malcelato fastidio, fino a sfociare nella rabbia incontrollata, che poi nell’epoca di Internet significa inondare i social network di commenti ironici, offese e meme spesso esilaranti.Difficile attribuire le colpe di questa situazione, anche perché le variabili in gioco sono tante e, di caso in caso, i motivi possono essere molteplici, ma mi sembra che ci siano delle costanti in questa incresciosa situazione, e, sebbene analizzarle non la risolverà (noi come pubblico possiamo solo subire), potrebbe quantomeno aiutare a capire come ci si è infilati in questo vicolo cieco e come se ne potrebbe uscire.Gli attori di questa tragicommedia sono principalmente i publisher e gli sviluppatori, ma anche i vari reparti marketing ci mettono del loro: i primi decidono una finestra di lancio approssimativa (in teoria di comune accordo con i secondi), e i terzi mettono in moto la possente macchina del marketing, con l’intento di creare hype attorno ad un determinato prodotto.Ma, nello specifico, chi è che prende per i fondelli noi videogiocatori?

Do ut desIn realtà nessuno. Sulla carta, infatti, il rinvio di un videogioco dovrebbe essere un evento imponderabile ed imprevisto, motivo di vergogna tanto per chi un gioco lo produce, quanto per chi lo programma.Nei fatti, però, la frequenza con cui questo fenomeno va ripetendosi lo sta rendendo quasi “normale”, come se non mantenere le promesse fatte al pubblico (che, non dimentichiamolo, è quello che paga e che porta avanti il baraccone) sia una cosa accettabile, che faccia parte del gioco, come quando, giocando a poker, veniamo scoperti a bluffare e battuti.Non è esattamente così, e noi videogiocatori lo sappiamo bene, purtroppo: tanti early adopters di PS4 non vedevano l’ora di mettere le mani su DriveClub al lancio della console, e immagino non abbiano preso benissimo le recenti notizie che ne fissano l’uscita al prossimo ottobre, undici mesi dopo il lancio europeo della nuova console Sony.Normale che i videogiocatori vedano del marcio quando gli unici a perderci da una situazione simile sono loro mentre i publisher tirano avanti per la propria strada: la massificazione cui il nostro medium preferito è andato incontro durante la scorsa generazione di console ha considerevolmente aumentato il livello di attesa per le produzioni cosiddette “tripla A”, e con esso l’abitudine a preordinare i propri giochi preferiti, spesso con diversi mesi d’anticipo.Proprio questa massificazione credo sia la principale responsabile dell’attuale scenario: i preordini garantiscono introiti sicuri, e i publisher pressano affinché la data di uscita sia la più vicina possibile, spesso incuranti della qualità finale del prodotto.Basandosi su quella data, strappata con le unghie ai programmatori, il reparto marketing mette in moto il baraccone dell’hype, con uno stillicidio di trailer, informazioni rubate, “rumour” puntualmente confermati e gallerie fotografiche, e noi videogiocatori, spinti dalla passione, abbocchiamo all’amo.Mentre i preordini (fisici e digitali) fioccano, all’avvicinarsi della data di uscita non corrispondono i progressi attesi in fase di sviluppo, e, puntualmente, arriva la notizia del rinvio, che generalmente è abbastanza consistente (nell’ordine dei tre-quattro mesi almeno): a questo punto, il videogiocatore che aveva acquistato una console facendo leva sui titoli in uscita, rimane con un pugno di mosche in mano, e, come molti di noi passati con entusiasmo alla next gen, terribilmente a corto di giochi.Il danno, ovviamente, è anche economico: comprare una console al day one per giocare (anche) ad un titolo dato in uscita e poi rinviato, potrebbe costare eventuali tagli di prezzo o bundle particolarmente appetitosi.Certo, questi sono casi estremi, ma i publisher sembrano non tenerne conto, a giudicare dall’imbarazzante frequenza con cui si rinviano titoli annunciati con largo anticipo.Il fatto che tutti i titoli che ho nominato all’inizio dello scorso paragrafo siano in programmazione anche (quando non solo) per Xbox One e Playstation 4, poi, mi induce a pensare che spesso i rinvii siano strategici, perché, a distanza di sei mesi, la base installata di console così giovani potrebbe essersi ampliata anche considerevolmente, a tutto vantaggio dei dati di vendita e a discapito di chi, riponendo fiducia nell’industria, ha sborsato i suoi soldi al day one.Questa tesi non è ovviamente comprovata, e potrebbe essere letta come una facile dietrologia: i fatti però dicono che, a oltre sette mesi dal lancio, la quantità di giochi annunciati e rinviati a vario titolo sia pari (se non superiore…) a quella dei giochi effettivamente disponibili, e questo dato non può che far riflettere.

Come se ne esce?Bella domanda. Innanzitutto una maggiore comunicazione e un lavoro più sinergico tra produttori e sviluppatori aiuterebbe a divulgare date di uscite assai più realistiche di quelle attuali, facendo riguadagnare credibilità a tutta l’azienda.Secondariamente, ma questo comporterebbe la perdita di una fetta dei profitti derivanti dai preordini, basterebbe annunciare i giochi con minore anticipo, quando cioè la finestra di lancio è ormai alle porte: Nintendo (che pure non è esente da critiche con l’elefantiasi dei tempi di sviluppo di alcuni dei suoi brand più famosi) sta percorrendo questa strada, con dei Direct che anticipano solo di un paio di mesi il rilascio dei titoli.In ultimo, trattare i videogiocatori come parte fondante dell’industria e non come vacche da mungere aiuterebbe: ci sono mille modi di farsi perdonare un ritardo, e fornire motivazioni plausibili invece che stereotipate (“lo abbiamo fatto per voi, per garantire l’altissima qualità del prodotto che vi aspettate e che meritate” e fuffa simile) è solo una di queste.Soprattutto in una fase di ricambio generazionale, quando un’esclusiva o un titolo particolarmente amato possono spostare gli equilibri e far decidere per un esborso non indifferente, produttori e sviluppatori dovrebbero muoversi con maggior cautela, centellinando annunci roboanti e anticipazioni per rispetto delle povere tasche di noi videogiocatori.

Il rinvio rimane una pratica antipatica e poco corretta nei confronti dell’utenza che diventa però una piccola truffa quando si ripete con preoccupante ciclicità.

Ovviamente, ci sono casi in cui un rinvio si rivela invece una mano santa per un prodotto in uscita, ma molto spesso esso viene vissuto come una promessa non mantenuta, il tradimento di un patto non scritto tra chi i videogiochi li produce e chi li gioca.

Le dinamiche di marketing che si sono andate consolidando negli ultimi anni non lasciano molto spazio a scenari futuri troppo migliori di quello attuale, ma la speranza, come si suol dire, è sempre l’ultima a morire. Ne hanno rinviato la dipartita.