Recensione

Lost Sphear, la recensione del nuovo lavoro di Tokyo RPG Factory

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Tokyo RPG Factory è un team dal nome eloquente, messo su da Square Enix per raccogliere l’eredità storica delle decine di giochi di ruolo giapponesi che hanno contribuito a fare grande il genere tra la fine degli anni ’80 e l’intera decade successiva.
Con il suo esordio, I Am Setsuna, il team di sviluppo aveva dato prova di talento, proponendo un prodotto canonico, che si atteneva a regole non scritte ma ben note ai fan del genere, senza stupire mai ma, nel contempo, senza deludere.
Lost Sphear, successore solo spirituale di quel prodotto, giunge domani sugli scaffali per PS4 (versione qui recensita) Switch e PC: siamo dinanzi ad una brillante conferma o ad un inusitato passo indietro?

The moon belongs to everyone…

Elgarthe è un ridente villaggio in cui tutti si conoscono, sovrastato da una luna timida ed affascinante, circondato da verdi boschi adatti a lunghe passeggiate e sormontato da un’enorme campana, utile ad allarmare la popolazione in caso di attacco da parte dei mostri.
Sì, perché nell’ultimo periodo gli attacchi delle bestie si sono fatti più frequenti e più feroci, costringendo il villaggio ad affidarsi alle capacità combattive di tre adolescenti, che condividono una forte amicizia ed un infausto destino, essendo tutti orfani.
Kanata, protagonista ed alter ego del giocatore, padroneggia l’arte della spada, possiede un forte senso della giustizia e vive nel ricordo perpetuo della madre, misteriosamente scomparsa quando lui era in tenera età.
Lumina incarna, almeno inizialmente, il tipico ruolo della ragazza tsundere, tanto energica durante i combattimenti quanto nel fare da severa sorella maggiore ai due compagni di viaggio: ci ha ricordato molto la Tifa di Final Fantasy VII, ma le somiglianze con il settimo episodio della saga figlia di Hironobu Sakaguchi non si fermeranno qui.
E poi c’è Locke, anima comica ed elemento più giovane del trio, abile con l’arco ma maldestro e pasticcione in quasi tutto il resto: gli sparuti momenti leggeri dell’intera avventura, in cui i personaggi prendono una pausa dalle tematiche serie e meste della quest principale, sono tutte figlie della sua dabbenaggine.
Questo è il cast iniziale di Lost Sphear, cui presto si aggiungerà un quarto, scontroso elemento, Van, ombroso ed irascibile, probabilmente il più sorprendente e sfaccettato dell’intero gruppo.
Le vicende prenderanno inizio dalla sparizione del villaggio, sprofondato in un mare di bianco con tutti i suoi abitanti: Kanata, in seguito ad una serie di bizzarri sogni, scopre di avere il potere di riportare nel piano fisico persone ed oggetti scomparsi, a patto di immagazzinare ricordi che li riguardano.
Presto l’Impero verrà a conoscenza dell’incredibile potere del nostro, e chiederà il suo aiuto per debellare la piaga bianca che incombe su tutti i continenti del mondo (e persino sui mari): ma le apparenze ingannano, e spesso il confine tra amici e nemici è assai più sfumato di quanto sembri.
Sulla falsariga del precedente lavoro, gli sceneggiatori di Tokyo RPG Factory dipingono un quadro melanconico, con un intreccio relativamente semplice ma punteggiato da personalità estremamente umane e da dolorose scelte etiche, toccando temi eterni come il valore dei ricordi e domandandosi, in più momenti, se il fine giustifichi sempre i mezzi.
Pur senza scomodare l’Academy che assegnerà tra qualche settimana gli Oscar, allo scorrere dei titoli di coda il giocatore è pervaso, nel contempo, da un senso di compiutezza e di tristezza e da grande empatia nei confronti di Kanata e dei suoi amici, e tanto basta per promuovere il comparto narrativo della produzione Square Enix.

…but no one owns it

Cardine del gameplay è un sistema di combattimento rinnovato rispetto a quello visto in I am Setsuna, che pone maggiore enfasi sul posizionamento dei personaggi attivi del party, che può essere cambiato a piacimento dal giocatore in ogni turno, contestualmente all’azione intrapresa: la stessa boss fight può prendere pieghe completamente differenti nel caso in cui si riesca a trovare l’angolo cieco del mostro fronteggiato.
I richiami a titoli che hanno fatto la storia del genere (e di Square Enix) sono molteplici: le mosse incrociate e la possibilità di indossare degli esoscheletri in combattimento citano tanto il mai dimenticato Xenogears quanto quel capolavoro senza tempo di Chrono Trigger (per tacere di Final Fantasy VI), mentre la presenza di magie personalizzabili ed equipaggiabili a piacimento sembra un evidente omaggio alle Materia di Final Fantasy VII.
Cionondimeno, i riferimenti non sfociano mai nel plagio, e il cocktail proposto da Tokyo RPG Factory funziona da subito, con solo un paio di combattimenti necessari ad acclimatarsi alle dinamiche di battaglia: i turni sono scanditi dal mai troppo lodato Active Time Battle, ed accanto al ritratto di ognuno dei combattenti c’è uno slot diviso in tre sfere, che si riempie man mano che si infliggono e si ricevono danni.
Sulla falsariga del Gambit System visto per la prima volta in Final Fantasy XII, oltre alle magie attive, vi sono diversi effetti passivi equipaggiabili che si attivano a determinate condizioni, perlopiù collegati a questo indicatore, chiamato Momentum: è possibile, ad esempio, contrattaccare gli attacchi fisici al riempimento del secondo indicatore, curare il party in seguito ad un colpo critico, ripristinare parte dei punti magici quando si subisce uno stato alterato e così via.
Il ritmo degli scontri è elevato, aiutato anche dal tempismo richiesto per sfruttare al massimo i punti Momentum, e premia i giocatori capaci di prendere decisioni nel breve volgere di un secondo, nonché coloro che impiegheranno parte del loro tempo in-game al micromanagement delle magie e delle abilità del proprio party.
La rapidità degli scontri alleggerisce i combattimenti dall’esito più scontato e rende adrenalinici gli scontri con i boss, che riservano picchi di difficoltà niente male già a metà avventura, anche solo a difficoltà Normale (la seconda delle tre selezionabili alla prima run).
Quando non si combatte i mostri sparsi per il globo (a proposito, questi sono visibili e facilmente evitabili, con un respawn rate mediamente elevato), si esplora una mappa dalle dimensioni abbastanza contenute, ma proprio per questo ben particolareggiata, costellata di parti perdute nel vuoto, che vanno riportate sul piano fisico: tra queste vi sono numerosi punti in cui generare un artefatto, ognuno dei quali offre bonus di varia natura al giocatore, tra cui una maggiore probabilità di colpi critici e la possibilità occasionale di ricaricare i punti Momentum, giusto per citarne un paio.
Oltre al denaro, utile a migliorare l’equipaggiamento al canonico raggiungimento di un nuovo villaggio, un’altra valuta fondamentale è rappresentata dai ricordi, lasciati sul campo dai mostri sconfitti: oltre a rendere possibile il salvataggio delle parti di scenario perdute, i ricordi possono essere scambiati in apposite botteghe magiche con le succitate skill ed abilità equipaggiabili.
Complice questo semplice stratagemma e il summenzionato, godibile sistema di combattimento, Lost Sphear induce il giocatore a perdersi in un numero di combattimenti superiore a quello strettamente necessario per l’avanzamento durante la quest principale, ad ulteriore conferma della bontà delle meccaniche di gioco, che pure hanno poco di originale.
Alla fine della fiera, insomma, l’ultima fatica di Tokyo RPG Factory si rivela un efficace e ben diretto esercizio di stile, che difficilmente passerà alla storia come i titoli cui si ispira ma che saprà intrattenere tutti gli appassionati del genere.

Arte malinconica

Come e più del precedente lavoro, Lost Sphear colpisce per la direzione artistica piuttosto che per la modellazione poligonale: anche nell’estetica, il titolo richiama i grandi classici del passato a cui il team di sviluppo si è ispirato, concentrandosi sulle ambientazioni più che sui modelli dei personaggi, sul colpo d’occhio complessivo piuttosto che sulle minuzie.
Scorci meravigliosi (ne troverete uno alla fine del cimitero delle navi, ad esempio) si alternano a piccoli villaggi bucolici, che sembrano usciti direttamente da un gioco di ruolo del 1996, quando entrare nelle case della gente era un buon modo per racimolare qualche oggetto bonus.
Il motore di gioco non viene mai messo alla frusta dalla quantità di poligoni a schermo, e questo si traduce in prestazioni impeccabili anche su una PS4 Slim, peraltro leggendo il gioco da disco: fluidità e qualità complessiva dell’esperienza hanno avuto la priorità sulla mole poligonale, ma questa è una scelta che ci sentiamo di appoggiare in pieno.
La possibilità di eseguire un salvataggio veloce in ogni momento, unita ad una distribuzione generosa dei punti di salvataggio, rende il titolo adatto anche alla fruizione portatile, strizzando l’occhio a Switch (versione che siamo ansiosi di provare).
Il punto più alto della produzione a livello audiovisivo viene raggiunto, senza ombra di dubbio, dall’incantevole colonna sonora, che alterna ballate malinconiche a temi vivaci e ritmati, restituendo sensazioni di tranquillità, tristezza ed urgenza a seconda degli avvenimenti raccontati.
Il lavoro di Tomoki Miyoshi è un tributo all’epoca d’oro della musica nei JRPG, ma riesce a conquistarsi un’identità tutta sua, sorpassando il citazionismo di I am Setsuna per proporre una scelta di tracce che meriterebbe una versione fisica: dal tema dell’overworld a quello della sacra montagna di Rahet, passando per la struggente melodia udibile nel piccolo centro di Maarport, Lost Sphear accarezzerà le orecchie del giocatore come una mamma farebbe con il suo bambino.
Chiosa finale per la longevità complessiva, quantificabile in un tempo variabile tra le venticinque e le trenta ore abbondanti, a seconda di quanto gusto si avrà nell’esplorare il mondo di gioco.

Un tuffo nel passato

Echi di alcuni tra i migliori JRPG di sempre

Combat system snello ma non privo di risvolti tattici

Colonna sonora malinconica e sognante

A tratti troppo “manieristico”

Marcatamente lineare

8.0

Anche con Lost Sphear Tokyo RPG Factory svolge il suo compitino con classe, aggiungendo qualche guizzo alla rodata formula del precedente lavoro e regalando ai fan di una certa tipologia di JRPG un prodotto per molti versi fuori dal tempo, che li immergerà in un mare di ricordi, citazioni e nostalgia.

Alle nuove leve, al netto dei sentimenti, il team di sviluppo nipponico consegna un’avventura ben ritmata, un combat system puntuale, un notevole livello di personalizzazione del party e, cosa da non sottovalutare, una colonna sonora di gran pregio.

Siamo curiosi di vedere di cosa sarà capace questo talentuoso gruppo di ragazzi se e quando potrà godere di un budget più cospicuo.

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8